Si sveglia che è già giorno da un pezzo. La testa bruna con tanti capelli. Si vede da lì, da sotto le lenzuola sottili: fa troppo caldo per usare ancora il piumone. Il sole giallo illumina la stanzetta, le bambole allineate accanto alla porta, il poster di Frozen, i peluches e i vestiti sparpagliati sul pavimento, la scrivania bianca col pc ancora acceso. Non ha voglia di alzarsi, scivola piano piano dentro al letto, ancora un po’. Ancora cinque minuti. Tanto mamma è già andata via e non tornerà fino a sera. Pazienza, si dice. Pazienza. Ha tanti amici lì fuori che l’aspettano. Basta solo cercarli.
Da oggi iniziano le vacanze! Evviva! Per due mesi pieni, almeno, non dovrà preoccuparsi di compiti dimenticati e maestre arrabbiate, di panini mangiati in fretta e di nascosto durante i dieci minuti di ricreazione, di penne e disegni strappati, di venir scelta per ultima nell’ora di educazione fisica, di bagni puzzolenti e bidelli scontrosi.
Si stiracchia.
Ha aperto gli occhi da cinque minuti ed è già stanca. Chissà che può essere. Alla sua età, poi. Dondola i piedi fuori dal letto e li appoggia sul pavimento freddo. Il parquet rinfresca la pianta liscia e lei si rianima. Le scappa uno sbadiglio e la piccola mano si porta alla bocca. Non ha fame. Cosa ci sarà per colazione? Latte e cereali sono finiti, mamma ha scordato di prenderli l’ultima volta. Non ha fame, comunque. È solo stanca, molto stanca. È stata sveglia fino a tardi, certo che è stanca! Ma d’altrocanto doveva battere l’ultima palestra e i suoi pokémon continuavano a rimanere esausti, uffa. Cammina stropicciandosi gli occhi e, quasi meccanicamente, riaccende la sua console portatile buttata lì per terra. Lì per terra rimane, a gambe incrociate, con ancora il pigiama addosso. Gioca per mezz’oretta ma già si annoia. Spegne tutto e va in cucina.
Le pareti del corridoio inghiottono il suo corpicino. Le attraversa sempre di corsa, soprattutto quando è a casa da sola. E non guarda ai lati, tira dritto velocemente. Così quando giunge nella stanza si sente come se avesse corso una maratona di venti chilometri.
La cucina le piace: è spaziosa e bene illuminata e poi, quando mamma non deve lavorare, le fa sempre i pancakes. Ne sente già l’odore zuccheroso, la consistenza soffice, il sapore dolce sotto al palato. Lo sciroppo d’acero che quando cola sembra una cascata di vetro colorato. Sì, la cucina è la sua stanza preferita. Ora però non ha fame, non ha voglia di mangiare. Non da sola.
Le piace invece sistemare la dispensa, mettere in ordine tutte quelle lattine con le etichette, dalla più grande alla più piccola, dalla più bassa alla più alta, oppure allinearle come a formare una perfetta scala cromatica. Prende una sedia e sale su: non potrebbe aprire gli sportelli più alti altrimenti. Da sinistra a destra legge: Mayflower caffé, miscela arabica e miscela robusta, Mayflower tè nero, tè verde, tisana al miglio, ai frutti rossi, alla camomilla. Il motivo del fiore di maggio stilizzato con la grossa “M” si ripete davanti ai suoi occhi. Poi qualcosa, oltre quel muro di latta, si muove.
Scosta piano piano i barattoli e si sente sfiorare le dita. Due occhi neri e profondi la stanno osservando.
Muove la testa all’indietro trattenendo il respiro. A poco però serve e si sente pizzicare. Mentre ritira subito la mano adesso urla e quasi cade giù, il dolore la coglie: è una punta, un taglio sottile. Ma fa male, fa malissimo. E piange. Il topo fugge in una fessura dentro la parete. Sembra che lì scompaiano anche i suoi desideri.
Un po’ è già passato e non piange più. Non serve. La mamma non potrebbe sentirla. Si avvolge l’indice sanguinante con un fazzoletto, si fa così finché il dolore non passa del tutto. Era solo uno stupido topo, niente altro. Poi sprofonda sul divano, mentre la tv accesa, come un ronzante sottofondo, le alleggerisce la pena.
Con soli novanta dollari riceverete a casa un set di pentole in acciao inox!… Elton John in Italia ai fan, durante un concerto: “Sono stufo della Brexit. Sono europeo, non un inglese idiota imperialista”… Mayflower caffé, miscela arabica: per i tuoi più sereni risvegli!… Frankly, my dear, I don’t give a damn… Per una pelle liscia e senza peli superflui… Trust in my self righteous suicide. I, cry, when angels deserve to die… È di poche ore la notizia della scomparsa dell’impiegato Mike Long, 43 anni, dalla vicina Staten Island, l’uomo è stato visto per l’ultima volta nel suo ufficio. Fonti certe pensano che si sia recato volontariamente in Ontario…
Spegne. Non c’è niente di interessante, nemmeno i cartoni. Come passerà il tempo fino a questa sera? Fuori il cortile illuminato sembra attirarla, ma non ne ha voglia. Certi bambini idioti passano sempre di lì per rubarle qualcosa. L’ultima volta era la bambola di Elsa che le aveva regalato la zia Milly dalla Florida. A quest’ora lì ci sarà un caldo pazzesco.
Meglio tornare in camera allora. Se solo riuscisse ad attraversare il corridoio senza paura! Cammina quasi in punta di piedi, come se avesse timore di far svegliare qualcosa sotto al pavimento. Non esiste niente del genere, no, che stupida! Eppure non riesce a guardare ai lati, non ce la fa. Strizza gli occhi e li riapre solo quando è arrivata in fondo. Una faccia bianca e sorridente la scruta e lei cade all’indietro. È solo la maschera dello scorso halloween che è rimasta attaccata alla porta per tutto quel tempo. Sei una fifona! Una fifona! Se lo ripete, ed è come se la sua voce si accavallasse a quella di altri trenta bambini nella sua testa. Così porta le mani alle orecchie. Non voglio sentire, state zitti, tutti!
Apre la porta ed entra, ma la assale una strana desolazione. Come si fa, a nove anni, a sopportare un mondo così grande, così immenso? Il mondo ti schiaccia, ti umilia, ti rende piccola piccola e lo sai. Lo sai che sei solo uno scarafaggio. Lo sai che i grandi non ti ascoltano, lo sai che i bambini come te sono in competizione, ma tu non vuoi. Non ti interessa. Tu vuoi solo che qualcuno ascolti i tuoi sogni. E tu vorresti viaggiare, andare un po’ più in là della linea che separa il confine di questo stato in cui sei nata. Vedere cosa c’è oltre l’oceano. Come fai però a viaggiare quando hai solo le tue gambe? Per fortuna sei nata nel ventunesimo secolo.
La rete è piena di luoghi che una bambina non ha mai visto. Ci sono spiagge, montagne, valli sconfinate, ci sono video creati da persone che stanno dall’altra parte del globo. Alcuni sembrano felici di raccontare la propria vita, altri sembrano divertirsi facendo scherzi o roba stupida: tipo far esplodere bottiglie di Pepsi con le Mentos, o gettarsi con lo skate da rampe di venti metri. Nel mondo c’è gente davvero strana, eppure è affascinante. Ci sono anche luoghi in cui si può parlare. Quelli sì, quelli sono interessanti. Si possono incontrare tanti nuovi amici. Da un paio di giorni ha trovato un server niente male. C’è un bambino della sua età con cui chatta spesso e a volte si divertono a scambiarsi le foto dei loro giochi.
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» scarafaggina entra nella chat
13: 34: 10 scarafaggina: ehy!
13: 34: 20 timmydoo: Ciao
13: 34: 23 scarafaggina: ciao. che fai di bello?
13: 34: 23 timmydoo: Mi annoiavo, tu?
13: 34: 25 scarafaggina: anche io. ehy senti. a me è finita la scuola
13: 34: 26 timmydoo: Io non vado a scuola.
13: 34: 29 scarafaggina: sei davvero fortunato. davvero davvero
13: 34: 30 scarafaggina: mamma è a lavoro
13: 34: 30 scarafaggina: come al solito
13: 34: 35 timmydoo: Vuoi vedere un video divertente?
» timmydoo sta inviando un file
Lo fa partire. Sullo schermo del pc compaiono una serie di numeri incomprensibili, poi, dopo qualche minuto finalmente, parte il video. Sono immagini in bianco e nero, girate forse in un’epoca remota. Mamma non era nemmeno nata. Sono tanti bambini che si tengono per mano. Le facce coperte da maschere di Topolino, cantano una canzone. E istintivamente si mette a cantarla anche lei. È un video strano ma sembra piacerle.
13: 40: 45 scarafaggina: sai. timmydoo
13: 40: 45 timmydoo: Cosa?
13: 40: 47 scarafaggina: sei il mio amico
13: 40: 48 scarafaggina: intendo
13: 40: 49 scarafaggina: l’unico
13: 40: 50 timmydoo: Anche tu.
13: 40: 51 scarafaggina: mamma non è mai a casa
13: 40: 51 timmydoo: Se vuoi posso farti compagnia.
13: 40: 55 scarafaggina: lo fai già
13: 40: 56 scarafaggina: ogni giorno
» timmydoo sta scrivendo
13: 43: 00 timmydoo: Non guardare dietro.
Si volta di scatto e in maniera istintiva. Di’ a un bambino di non fare una cosa e lui la farà.
Vede per primi gli occhi, neri come pozzi profondissimi. E la bocca tagliata in più parti. Il suo volto è bianco come un cencio. Non ha capelli. È nudo e ritto lì davanti. Quello urla e così anche lei, ma è come se mugugnasse, come se non riuscisse a far uscir fuori il suo terrore. Così si mette seduta in un angolo, le mani contro gli occhi. Trema e urla, urla e trema sperando che se ne vada. Che se ne vada.
Ha il coraggio di guardare su soltanto dopo una buona mezz’ora. La stanzetta è vuota. Il solito disordine: le bambole al loro posto, i vestiti per terra, il poster di Frozen, il letto e la scrivania con il pc ancora acceso. Il pc!
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13: 13: 00 scarafaggina: timmydoo.ci sei ancora?
13: 13: 00 timmydoo: Ti avevo detto di non guardare dietro.
13: 13: 10 scarafaggina: quello chi era?
13: 13: 11 timmydoo: È un uomo cattivo. Molto cattivo.
13: 13: 15 scarafaggina: tornerà?
13: 13: 16 timmydoo: Sì, devi stare attenta.
13: 13: 15 scarafaggina: come devo fare? io ho paura.timmydoo
13: 13: 17 timmydoo: C’è solo un modo per liberarsene.
13: 13: 17 timmydoo: Io ci sono riuscito.
13: 13: 17 timmydoo: Ma devi fare tutto quello che ti dico.
13: 13: 20 scarafaggina: e dopo sarò libera?
13: 13: 21 timmydoo: Sì, sarai libera.
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Cammina cammina, i passi sono lenti e sotto ai suoi piedi il pavimento di legno scricchiola. Cammina cammina nel buio del corridoio, trascina una sedia, una grossa e lunga corda nell’altra mano: era nel vecchio ripostiglio degli attrezzi di papà. Cammina cammina. Tutto è immobile e non muta, non muta niente. Poggia la sedia a terra e ci sale su. Poi lancia la corda in alto, a intercettare la trave. Deve farlo più di una volta perché all’inizio non ci riesce, ma fa come le è stato detto. Le istruzioni del suo amico risuonano nella testa. Avvolge, incrocia, lega. Appoggia il mento. Si lascia andare.
Addio uomo cattivo. Addio solitudine. Sarà libera. Da fuori giungono le voci degli altri bambini che giocano, e il sole lambisce le sue guance di latte. È però solo dolore. Altro dolore. Pena su pena. E ora non può fare più niente.
Sente qualcuno entrare in casa. È forse mamma? No, sono passi più grossi, è una nera figura. C’è un signore che non ha mai visto: un lungo cappotto nero copre il suo corpo e gli occhi sono nascosti da un grosso cappello a falde larghe. Ha una valigetta.
«Siamo forse arrivati troppo tardi», dice mentre la scruta dal basso con rassegnazione. Lei prova a parlare ma non ci riesce.
Qualcos’altro però attira l’attenzione di quell’uomo. È un rumore sordo, come di unghie che grattano il legno. Lui si volta ed estrae una strana pistola dalla valigetta. Corre nella sua stanzetta. Un grosso lampo di luce investe l’intera casa e si ode un urlo terrificante. Quando la luce si attenua, l’uomo esce con la valigetta in mano a passo sostenuto e si lascia alle spalle la porta d’ingresso.
Ehi, timmydoo, dove sei? Mi senti? Sono qui tutta sola e non riesco a parlare. Timmydoo, sono sola e ho paura. Cosa succede? L’uomo cattivo è andato via?
Chi è? Chi c’è?
Mamma, mamma! Finalmente sei tornata. Sono qui. Ti ho tanto aspettato. Mamma! Mamma, perché urli? Mamma, sono io. Sono Elie, la tua bambina, e mi sentivo tanto sola.
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Racconto di Liliana Costa.
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