Iniziamo a parlare degli archetipi narrativi e nello specifico approfondiremo l’archetipo del mentore, ma prima una doverosa e breve introduzione.

Che cos’è un Archetipo? Solitamente si potrebbe rispondere a questa domanda in modo abbastanza ovvio e semplicistico. Volendo agganciarci alla definizione letterale del termine, Archetipo significa “figura originaria” o “modello originario”, da esso viene concepita la prima immagine e la prima rappresentazione fornitaci di un determinato oggetto o situazione.

Dall’Archetipo deriva conseguentemente lo Stereotipo, ovvero il suo “duplicato“, potremmo dire il suo diretto discendente.

Nella conoscenza comune, l’Archetipo e lo Stereotipo sono spesso confusi e uniti, e vengono riconosciuti principalmente perché appaiono come una manifestazione fisica o concettuale di un luogo comune, di uno stilema comportamentale o di una situazione più o meno consona.

Un Archetipo è l’eroe indomito, il saggio mentore, il vile ingannatore che mette i bastoni tra le ruote per il mero gusto di farlo.

Allo stesso tempo, un Archetipo diventa Stereotipo quando lo si rapporta (per esempio) a una città futuristica popolata da robot senzienti; a un drago di colore rosso che sorveglia un tesoro prezioso; oppure a un serial killer armato di ascia con indosso una maschera terrificante da hockey (o da football, il concetto è lo stesso).

Per me l’Archetipo oramai è diventato associabile direttamente alla conoscenza e alla cultura popolare, a un visto e rivisto che ci è familiare, a un colore o a un sistema che riconosciamo immediatamente.

Prima di procedere con questa definizione, che farebbe storcere il naso ai più accademici, va ricordato che l’Archetipo ha radici ben diverse.

Radici potremo dire quasi “scientifiche”, antropologiche, metafisiche.

Radici persino teologiche e che hanno a che fare indirettamente, con la storia dell’umanità tutta.

I sette Archetipi Junghiani

Mettendo da parte Plotino e Procio con i loro “modelli universali”, partiamo piuttosto da Carl Gustav Jung, psicanalista collega di Freud, e dalla sua introduzione della figura archetipica per come la intendiamo oggi.

Il modello archetipico Junghiano verrà in seguito ripreso da Christopher Vogler e trasposto in Narrativa nel suo libro “Il Viaggio dell’Eroe”, che negli anni è diventato una sorta di ABC per scrittori, fumettisti e sceneggiatori.

Jung ha legato le figure archetipiche alla conoscenza comune, chiamandola con il nome di “Inconscio Collettivo”: una sorta di contenitore psichico condiviso che lega ogni uomo esistente sulla superficie della terra.

Dunque, cosa otteniamo da questo inconscio collettivo?

Figure ricorrenti in più o meno tutti i componimenti scritti della storia dell’umanità, dalle Ande all’Himalaya.

Tutto questo perché in fondo gli Archetipi (sempre relazionandoci alle parole del dottore) sono in realtà parti ben delineate della nostra persona.

Aspetti distinti ma collegati all’interno dell’inconscio collettivo. Frammenti di carattere (o anima se vogliamo osare) che permeano ogni singolo individuo.

In ogni caso, il mio lavoro non vuole soffermarsi sull’analisi accademica di ogni Archetipo (per quel tipo di esame ci sono persone molto più competenti del sottoscritto) ma puntare principalmente alla spiegazione di come inserire, contestualizzare, uniformare o de-strutturare la figura archetipica che sceglierete di inserire nella vostra opera.

Farvi capire come poterle permettere di vivere in modo unico all’interno del vostro romanzo, del vostro racconto o della vostra sceneggiatura.

Dunque, riassumendo.

Per Archetipi ci si riferisce a dei “modelli di temperamento” (tradotti in termini narrativi in distinti personaggi) che svolgono funzioni più o meno canoniche loro assegnategli dall’autore.

Gli archetipi Junghiani si dividono in sette tipologie:

Immagino che già semplicemente leggendo i loro nomi, vi sarete fatti un’idea su come essi vengono utilizzati all’interno di una narrazione e su quale funzione ognuno di loro vada a svolgere.

Ora, tralasciando l’Archetipo dell’Eroe (che svilupperò per ultimo e a cui dedicherò maggior spessore), inizierò con il presentarvi la figura del Mentore, ovvero una delle più comuni e potremmo dire anche necessarie, allo sviluppo di una storia.

Archetipo: il Mentore

Dunque, chi è questo Mentore? Nient’altro che una vera e propria guida che istruisce e consiglia l’eroe, procurandogli aiuti, doni e spingendolo verso l’avventura.

Fin troppo spesso il Mentore altri non è che un precedente eroe (negativo o positivo) che ha già compiuto il suo viaggio e che è dunque in grado di dispensare consigli al nascituro avventuriero.

Il mentore risulta fortemente correlato con la “figura genitoriale” per ragioni potremmo dire ovvie, ma oltre a questo, è anche strettamente legato alla “voce di dio”, della coscienza comune o dei valori condivisi dalla società di cui si narra nell’opera.

Solitamente il suo compito termina con la morte dello stesso, proprio di fronte alle porte della “prova principale” che l’eroe dovrà quindi fronteggiare da solo.

Sono abbastanza sicuro che solamente leggendo la mera descrizione della figura del Mentore dentro la vostra testa siano scattati numerosi processi mentali che vi abbiano spinto a ritrovare queste caratteristiche e questi elementi, in comune a moltissime figure della letteratura e della cultura popolare di cui i nostri tempi sono pregni.

Alcuni esempi di archetipo del Mentore

Figure note, come per esempio Gandalf il Grigio che viene a “mancare” poco prima del momento topico del eroe/viaggiatore Frodo Baggins, quando la compagnia si scoglie e i membri si danno alla macchia.

Frodo sarà poi sostenuto dall’Archetipo dell’Aiutante (non presente nell’elenco Junghiano ma fondamentale nello schema di Propp, di cui parleremo in futuro).

Pensiamo anche alla figura di Albus Silente che guida e istruisce il giovane Harry Potter fino alla sua maturità spirituale, morendo poco dopo per mano dell’Archetipo del Mutaforme, Severus Piton.

Mi sono limitato a citare esclusivamente gli elementi più comuni e probabilmente conosciuti da tutti voi lettori (ciao Merlino), altrimenti la lista sarebbe risultata potenzialmente infinita.

Infinita perché (come detto anche prima) il Mentore è fondamentale allo sblocco narrativo del Viaggio dell’Eroe.

Tramite esso si passa dalla realtà ordinaria a quella straordinaria.

Tramite esso si forniscono le basi, i presupposti e le armi per affrontare l’ardua prova che verrà.

De-strutturazione dell’archetipo del mentore

Il lettore più attento (o l’autore) tuttavia, si sarà già informato sulla natura degli Archetipi e sul loro significato intrinseco, e in questo momento molto probabilmente si starà chiedendo: “Ok, ma come faccio a inserirli nella mia opera senza risultare banale o scontato? Senza dover ripercorrere a una strada già vista in precedenza?”

Per quanto una figura archetipica, proprio perché parte del collettivo umano e della conoscenza comune, non stoni mai realmente all’interno di un’opera, seppur presentata nella sua maniera più canonica, potrebbe essere intenzione dell’autore giocare con essa e con i suoi cliché.

Decontestualizzarla o affidarla nelle mani di un personaggio, di un luogo o anche di un oggetto che ne rappresenti la funzione intrinseca.

Ricordiamo sempre che l’archetipo altri non è che una parte di noi, di conseguenza una parte dell’Eroe, ovvero il protagonista della nostra narrazione.

Pertanto, noi stessi possiamo decidere come l’eroe riesca a entrare in contatto con la funzione che l’Archetipo del Mentore deve svolgere.

L’esempio di Saga

Nel libro che sto scrivendo “Saga: La Ragazza di Woodenvale”, il mentore è ben presente come in ogni fantasy che si rispetti.

Tuttavia, esso è stato smontato della sua peculiarità di individuo unico, e ogni aspetto che lo caratterizza viene “smistato” in alcuni personaggi molto diversi tra loro.

Il mentore quindi diventa plurale, ogni aspetto che lo caratterizza si snoda attraverso le volontà e le peculiarità di personalità differenti, andando a comporre però una figura unica che istruirà la protagonista e la affiderà alle sue sole forze nel momento più opportuno.

Quindi con che idee procedere?

Il Mentore, per esempio, potrebbe essere anche il protagonista stesso, che riesce a imporsi e ad autoconvincersi al viaggio verso la realtà straordinaria, magari attraverso un oggetto particolare, una determinata frase letta su un libro, un luogo che rimanda a un ricordo ben delineato, un’epifania dei sensi giunta da un mero pensiero.

L’oggetto/feticcio, diventa il fulcro dello snodo narrativo che è già dentro il protagonista e che attende solo di essere rivelato alla coscienza dello stesso.

Ma un Mentore, ricordiamo, è anche “Voce di Dio”, quindi lo si potrebbe manifestare all’interno della propria opera, sotto forma di un sogno, di una visione, di una potenza soprannaturale che interviene a soccorso dell’eroe e che lo guida verso la prova centrale.

Un incontro casuale lungo la strada, le ultime parole di un padre morente mai conosciuto, le quali diventano di importanza cruciale per l’eroe durante l’ultimo spiro del genitore. Insomma, il Mentore da Archetipo diventa funzione.

Da manifestazione fisica muta verso l’onirico, l’ancestrale o il percettivo.

Il Mentore è nell’eroe, perché è l’eroe stesso di un passato simile o diametralmente opposto, anche se non ha importanza.

Conclusioni

In conclusione potremmo affermare che l’utilizzo degli Archetipi è “più che altro una traccia, che un vero e proprio regolamento” (avete colto la citazione?).

Un po’ come tutte le direttive imposte in riferimento a un’arte così personale e soggettiva quale la scrittura.

Gli Archetipi tutti sono i nostri punti di riferimento all’interno del Viaggio/Opera. Possiamo urtarci contro, scostarli, arginarli, farli nostri, decontestualizzarli.

Ma quei punti restano e resteranno sempre lì, a disposizione e a utilizzo unico del narratore.