Il Compositore è tornato: «Questo orrore l’avete fatto voi»
«Avete fatto voi questo orrore, maestro?» chiese l’ufficiale nazista di fronte al Guernica.
«No,» rispose Picasso, «l’avete fatto voi».
Così una nuova opera del misterioso artista conosciuto solo come il Compositore è comparsa ieri su un muro di Mosca. Il graffito iper realistico, intitolato Kyev, è la personale Guernica dello street writer. Sul campo di battaglia, proprio sopra la madre che piange stringendo a sé il cadavere del suo bambino, campeggia la scritta rosso sangue: You made this horror. [Continua a pag. 15]
«Sei ancora a lavoro su quell’articolo?» Elisa sussultò, riemergendo dalla propria bolla, ma subito Roberta si chinò a posarle un bacio sulla guancia. Solo allora si rese conto che si era già fatta ora di cena.
«Scusa, amore. È solo che… c’è qualcosa che non mi torna» rispose frustrata, accettando la tazza di tè che le porgeva.
«Ma non era uno dei tuoi artisti preferiti?»
Lei annuì, tuttavia il suo sguardo tornò allo schermo, dove scorrevano le foto di repertorio delle opere del Compositore. «Quanti artisti conosci che producono per cinquant’anni?»
«Nessuno. Ma io sono ignorante in materia». La sua compagna scrollò le spalle senza il minimo senso di colpa.
«Vedi questi? Risalgono agli anni ‘60». Il cursore si mosse sullo schermo. Click. New York, diceva la didascalia in alto a sinistra: la foto in monocromo mostrava il graffito di una bambina nera che si dipingeva la faccia di bianco con un grande pennello, un dizionario sotto il braccio. I dettagli così nitidi da sembrare un ritratto a olio.
«Il Compositore è sempre stato a passo con i tempi e politicamente impegnato. Dicono che il suo stile si sia evoluto con il tempo, ma guarda qui. Anni ‘70…» Click. Washington, in colori pallidi e slavati: omini stilizzati caricavano i cannoni di mazzi di fiori.
«Anni ‘80…» Click. Berlino, due foto affiancate: ai lati opposti nel Muro, ancora in piedi, un ragazzo e una ragazza in stencil neri comunicavano con due bicchieri uniti da un filo rosso.
«Anni ’90…» Click. Londra: un giovane con in spalla un enorme stereo e accanto a lui una coppia di anziani che ballava un valzer. Le figure così nitide da rassomigliare più a un murales.
«Anni 2000…» Click. Italia: una moneta da un euro stilizzata e vestita in frac, che dava un calcio alle vecchie mille lire, mentre dietro di lei erroneamente i cartelloni dei prezzi di un mercatino cambiavano da tremila lire a tre euro. Stavolta in stile cartoon.
«Sono del tutto diversi. A un certo punto della decade, il Compositore scompare per qualche anno e quando ritorna la sua mano è cambiata».
«Vuoi dire che…»
«Non è un’evoluzione di stile. Sono tutte persone diverse».
«Uoh! Potrebbe essere lo scoop del secolo». Roberta le strinse una spalla con entusiasmo, negli occhi quello sguardo caldo che diceva: sono fiera di te. «Ma come pensi di dimostrarlo?»
«È quello che sto cercando di capire anche io».
Elisa sparse le foto davanti a sé, la tazza di caffè era l’unica cosa che la teneva in piedi nel bel mezzo della notte. Dopo aver fatto i piatti, Roberta era andata a letto, lasciandola al suo lavoro con un sospiro rassegnato. Dopo dieci anni di convivenza, sapeva che non c’era modo di ragionare con lei quando era così concentrata.
In alto a sinistra posizionò la foto di una maschera bianca e liscia, la replica di quella dietro cui il Compositore celava il suo volto e da cui prendeva il nome. Google, così come i libri d’arte contemporanea, la informavano infatti che si trattava di una figura carnevalesca di una remota provincia Italiana: Su Componidori della Sartiglia di Oristano, che rappresentava un semi dio.
La scelta già di per sé era singolare, considerato che le prime tracce del Compositore erano apparse in America. È anche vero che è un paese di immigrati in cerca del Sogno, però.
La maschera stessa era un oggetto dal concetto ancestrale, che nasceva nelle tribù per incanalare lo spirito di ciò che rappresentava. In questo caso… lo spirito di un semidio? Forse sto pensando troppo. La scelta doveva essere dovuta solo a un uso più pratico: una maschera per celare la propria identità. Prudente, visto che gli street writer erano considerati spesso più come criminali che come artisti, in passato.
Con le altre foto, Elisa ricostruì una linea temporale delle opere del Compositore e dei suoi movimenti. Tutti i graffiti erano accomunati dalla stessa firma, che non era mai cambiata ed era risultata autentica sotto ogni ispezione.
Nonostante mille congetture, nessuno era mai riuscito a scoprire chi fosse davvero. Sul finire degli anni ‘70, qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che si trattasse di un artista minore del Bronx, Jamal Brown. E in effetti il suo stile e quello del Compositore negli anni ‘60 mostravano diversi punti in comune, che potevano portare a pensare che si trattasse quantomeno del suo maestro. Un intrepido reporter del New York Times, tale Thomas Spade, aveva perfino cercato di intervistarlo, ma tutto ciò che Brown aveva commentato in merito era stato: «Che ti importa? Il Compositore non ha bisogno di una faccia per fare il suo lavoro».
Quando l’artista era morto, nel 1987, ma il writer mascherato era riapparso in un’altra città, i sospetti e le congetture erano cadute come un castello di carte.
Ma se è come penso, Elisa affiancò altri esempi dell’arte di Brown a quelli del Compositore negli anni ’60, forse Spade era arrivato più vicino alla verità di quanto gli abbiano mai dato credito.
Il Compositore non aveva mai avuto un sito internet o dei profili social. Molti lo attribuivano alla sua supposta età; un boomer confuso dal progresso. Solo una volta una donna di Bristol era riuscita a mettersi in contatto con lui, tramite gli annunci su un giornale: Cerco imbianchino e/o artista freelance per pitturare e decorare muro. Compenso da pattuire. Seguivano le misure della parete e l’indirizzo della signora.
Nel giro di una notte, la donna si era vista comparire sul retro della casa un originale del Compositore e la mattina dopo una risposta era arrivata sullo stesso quotidiano, dando indicazioni per devolvere il compenso a una onlus.
Elisa posizionò entrambe le foto degli annunci nella sua linea temporale. Trovare tutti gli artisti che avevano le stesse caratteristiche del Compositore avrebbe impiegato mesi. No, devo attirarlo in modo che sia lui – o lei – a uscire allo scoperto. Ma come?
Il suo sguardo cadde sul cavalletto in veranda, su cui sostava una tela ancora bianca. Quando era stata l’ultima volta che aveva trovato il tempo o l’ispirazione per dipingere? Anni di studi d’arte e una laurea in beni culturali con master in giornalismo non l’avevano mai portata da nessuna parte, se non a scrivere per una manciata di giornali online, che a malapena le permettevano di racimolare i soldi per le bollette. Questa è la mia occasione per far risuonare il mio nome. Doveva trovare il modo di attirare a sé il Compositore.
«Cos’è ‘sta roba?»
«Uhm?»
Elisa sollevò gli occhi arrossati dalla mancanza di sonno. Per un momento pensò che Roberta stesse parlando del murder wall che aveva trasferito dal tavolo alla parete della cucina, ma no, la sua compagna stava guardando qualcosa sul cellulare.
«Muro in cerca d’artista?» lesse a voce alta il titolo del post che Elisa aveva pubblicato su tutti i social, sia in italiano che in inglese. «Davanti alla sede del comune? Ma deve essere di tua proprietà per una cosa del genere» esclamò.
«Infatti l’ho comprato».
Roberta boccheggiò, i capelli ancora arruffati e i pantaloncini del pigiama storti. «Con quali soldi?» Bastò la sua smorfia colpevole per capire. «Quelli ci servivano per l’affitto!»
«Lo so, lo so, amore» si affrettò a rispondere, stringendo i suoi polsi. «Ma questo è l’unico modo per stanarlo».
Lei batté le ciglia, con evidente confusione. «Chi?»
«Il Compositore». La giornalista accennò alla ricostruzione folle sul muro.
Roberta strappò i polsi dalla sua presa. «Tu ti sei bevuta il cervello!»
«Amo…»
«Amo un cazzo! Eli, sono sempre stata dalla tua parte, ti seguirei fino all’inferno e ritorno. Ma prima di spendere i nostri soldi, mi devi consultare, porca puttana».
Lei si morse il labbro inferiore e annuì. «Non c’è guadagno senza rischio» disse tuttavia. Devo scoprire la verità.
«Stavolta hai passato il limite». Roberta fece dietrofront e marciò fuori dalla cucina.
La fiamma dell’accendino sfavillò, rischiarando per un momento l’interno buio della vecchia Fiat Panda. Elisa sbuffò un rivolo di fumo fuori dal finestrino spalancato. L’orologio sul quadro della macchina indicava l’una e trenta del mattino. Si strinse nella giacca di pelle e sospirò.
Era la terza notte che trascorreva appostata vicino al muro. Dall’altro lato della via e un po’ più indietro, così da non farsi notare troppo. A quell’ora solo qualche sporadica auto o un gatto randagio attraversavano la strada, rompendo la monotonia della notte. E da altrettanti giorni, da quando aveva pubblicato quel post, Roberta a malapena le rivolgeva la parola.
Questa è la volta che mi scarica, tirò su col naso e prese un altro tiro nervoso dalla sigaretta. Come il bidone che sono. Se quell’azzardo non avesse funzionato, si sarebbe giocata anche la loro relazione, l’unica cosa davvero importante della sua vita. Forse me la sono già giocata comunque.
Doveva funzionare, non c’erano altre alternative. Gli argomenti su cui fare critica non mancavano, il Compositore avrebbe trovato il messaggio perfetto da veicolare con quel muro. Era solo questione di tempo. Dopo di che i giornali avrebbero fatto a gara per pubblicare il suo articolo, per la prima volta avrebbe potuto permettersi di aspettare l’offerta più alta. E poi – perché no? – avrebbe potuto scriverci anche un libro. Già immaginava il titolo, qualcosa sulla linea di: “Da chi è composto il Compositore?”
E se davvero si presenta, cosa pensi di fare?, la interrogò una voce nella sua testa che suonava sospettosamente come Roberta. Pensi di coglierlo sul fatto, allungargli un biglietto da visita e aspettare che ricambi la cortesia?
Lanciò la cicca fuori dal finestrino con un gesto stizzito. Lo capirò quando arriverà il momento.
In tasca aveva un coltello a serramanico e una bomboletta di spray al peperoncino. Dove sei disposta a spingerti per scoprire la verità? Non voleva arrivare a tanto. È solo per autodifesa. Sì, giusto in caso.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, forse si era perfino assopita, ma all’improvviso un rumore metallico la riscosse. C’era qualcuno accanto al muro. Una sagoma incappucciata che agitava qualcosa – clic-clac!, clic-clac!, clic-clac! – poi il fruscio della vernice che eruttava dal cilindro.
Si piantò gli incisivi su un labbro per soffocare un’esclamazione. Cercando di fare meno rumore possibile, Elisa aprì lo sportello, sgusciò fuori dalla Panda, e lo appoggiò accompagnandolo con un palmo per evitare che sbattesse. Sfruttando le auto parcheggiate come copertura, si tenne bassa e si avvicinò quanto più possibile al writer. Da quel lato della strada e con la figura di schiena, non riusciva a scorgere se indossasse una maschera. Era alto e magro. Dai fianchi dritti e le spalle larghe, dedusse che si trattava di un uomo.
Decisa a tentare il tutto per tutto, attraversò la strada a passi cauti – le scarpe da ginnastica non producevano quasi alcun rumore sull’asfalto – arrivò a una spanna dietro di lui… e gli afferrò un braccio. Il tizio si voltò di scatto. Elisa ebbe appena il tempo di intravedere un lampo bianco – la maschera! – che quello le lanciò addosso la bomboletta. Con uno strattone liberò il braccio dalla sua presa e scattò via, dandosela a gambe.
Elisa prese un respiro per assorbire la sorpresa, la latta l’aveva colpita al petto senza causare nessun dolore, poi si lanciò all’inseguimento. Per quanto Roberta la costringesse a tenersi in forma, lei non era mai stata una maratoneta e il Compositore aveva gambe molto più lunghe delle sue. Elisa gli rimase dietro per pura ostinazione, tirando avanti anche quando un dolore al fianco la supplicò di fermarsi. Il writer era ben più avanti di lei, lo vide scartare di lato in una via più stretta, ma quando arrivò a imbucarla, di lui non c’era più traccia.
Continuò comunque ad andare avanti, guardandosi attorno per cercare di capire se si fosse infilato in un vicolo o nascosto da qualche parte. Dietro il cassonetto, forse? E poi la vide.
Al centro della strada c’era una macchia bianca, su cui baluginava la luce dei lampioni. La raggiunse con poche falcate e la raccolse da terra. La maschera era liscia come porcellana, androgina, anonima: naso dritto, due sottili linee nere a delineare le sopracciglia, rosa sfumato sugli zigomi e labbra sottili tinte di scarlatto. I fori degli occhi erano due perfette mandorle vuote. Due lacci neri ai lati per legarla dietro la testa.
La voltò per esaminare anche la parte concava, non avrebbe saputo nemmeno lei per cercare cosa, forse qualche traccia dei suoi precedenti possessori, un’ombra di rossetto, un alone di dopobarba. Per uno strano gioco di luci, parve quasi risplendere tra le due mani, come un’onda olografica che la percorreva da parte e parte. Poi notò una scritta sull’incavo della fronte che, avrebbe potuto giurarci, non c’era un attimo prima: È il tuo turno.
Ipnotizzata, le sue mani portarono la maschera al volto e annodarono i lacci dietro la testa. Il suo fisico venne percorso da una scarica elettrica.
Sapeva esattamente cosa fare. E doveva farlo ora, subito.
Il suo corpo si muoveva da solo, animato da una frenesia di cui in passato aveva conosciuto solo una pallida ombra. Un’energia che bruciava nello stomaco e si diffondeva lungo le vene, infiammando il cervello. Ora, gridava insistente, ora! Sciolse i capelli, sollevò il bavero della giacca contro la nuca e ripercorse a ritroso i propri passi. Arrivata davanti al muro, raccolse la bomboletta da terra – clic-clac!, clic-clac!, clic-clac! – e schiacciò l’erogatore.
Con uno scrollata, Roberta la svegliò di soprassalto. «Hai visto?»
«Uhm?» Elisa si stropicciò il volto con una mano, allontanando i capelli dalla fronte. Era crollata addormentata sulla poltrona del soggiorno. Senza attendere, la compagna le ficcò il cellulare sotto al naso. La giornalista impiegò qualche secondo a mettere a fuoco, ma infine vide il muro – il loro muro – coperto da un graffito: tre scheletri bianchi presi per mano, due adulti ai lati e un bambino al centro, sul brillante sfondo di una bandiera arcobaleno.
Amor Vincit Omnia, recitava una scritta in alto e, in basso a destra, c’era l’inconfondibile firma del Compositore.
La persona che l’aveva caricato sui social, gridava in capslock: “I. BAMBINI. DELLE. COPPIE. OMOGENITORIALI. SONO. UGUALI. A TUTTI. GLI ALTRI. BAMBINI.” Ogni punto era rafforzato da un emoji di battito di mani.
«Allora l’hai beccato?» Roberta le diede un’altra scrollata impaziente.
Lei sorrise. Aprì la giacca ed estrasse dall’interno la maschera del Compositore.
A bocca aperta, l’altra gliela sfilò dalle mani. «È proprio lei?» Elisa annuì. «Quindi hai scoperto chi è?»
«Qualcosa del genere». Allungò le braccia a circondarle la vita, guardandola da sotto in su. «Ma sai cos’è più importante?» Attese che lei scuotesse il capo, poi sogghignò. «Che siamo in possesso di un’originale del Compositore».
«Oh mio dio… oh mio dio… Siamo ricche!» Scoppiarono entrambe a ridere, e Roberta – la maschera ancora stretta tra le dita – le cinse il collo e le piantò un bacio sulla bocca. Poi si scostò e la scrutò con fronte accigliata. «Era il tuo piano fin dall’inizio?»
«Diciamo che contavo sul fatto che, se avesse funzionato, il muro sarebbe valso molto più di quello che avevo speso. E doveva funzionare».
«Il fatto che tu ci abbia preso, non cambia il fatto che avresti dovuto parlarmene prima».
«Lo so. Ho fatto una stronzata, ho scommesso tutto su un solo numero. Ero ossessionata» riconobbe, chinando il capo. «Puoi perdonarmi?»
«Solo se prometti che non ricapiterà più. Non puoi prendere queste decisioni da sola. A costo di svegliarmi nel bel mezzo della notte». Afferrò una manciata dei suoi capelli e le diede una leggera scrollata per rimarcare il concetto. «O si fa insieme, o niente».
Elisa annuì entusiasta, grata per la seconda occasione. «Promesso. Ti amo».
–
Racconto di Letizia Loi
Vincitore Assoluto del Contest Stagionale “Maschere” 2023
Scrivi un commento