Il cielo grigio ferro. Le nuvole vorticanti scendono e salgono in un ballo convulso. Poi il tuono. La luce che mi acceca.

Sento gli artigli affondare nella carne, un ruggito e il fuoco polverizza quell’insetto. Vedo zampe ovunque. Mi stanno circondando. Poi non vedo più nulla. Hanno fatto qualcosa al nostro mondo. Come osano!

Il ruggito del fuoco sorge nuovamente e si espande. Ora, attraverso le fiamme, vedo. Dieci teste, un solo corpo, ali come d’acciaio. Alla mia destra una massa informe scaglia i suoi tentacoli multicolore contro di me, mi riparo dietro il braccio e ne afferro uno. Tiro.

L’urlo indicibile della creatura, mentre le mie fiamme ne mordono il corpo, mi carica e un grido mi squarcia la gola. Subito la mia rabbia ribollente viene trafitta da milioni di aghi invisibili, mi sento lacerare.

Alle mie spalle un piccolo essere tiene le braccia sollevate e mi scaglia contro la sua magia. No, è altro. Sento il mio fuoco come ghiacciare, il freddo mi ottenebra la mente, sento il ginocchio toccare terra e due mani si appoggiano per evitare che io cada, intanto non lascio la presa sulla massa tentacolare.

Un altro tuono, questa volta sono io. Sento le mie membra percorse dalla familiare sensazione del fulmine. Mi risollevo e capisco.

Questa sarà la mia ultima battaglia…

Sento montare il potere, la rabbia del mondo. Sento provenire da intorno a me il ribrezzo per questi esseri, la nostra terra che grida aiuto. Chiamo a me queste forze. Le assorbo. Le rinchiudo e le fondo con il mio potere. Devo scacciare questi esseri.

Poi le rilascio. Sento la forza che fuoriesce in fiamme dense come olio e poi l’esplosione li lancia verso quel maledetto portale. Finalmente queste bestie sono tornate nel loro mondo.

Poi un pensiero… Torneranno.

Devo sperare di farcela. Dormite. Dormite finché non toccherà a voi.


Nel buio della stanza, le fiamme proruppero avvolgendo il letto e l’uomo che vi dormiva. L’energumeno prese a levitare continuando il suo sonno irrequieto, finché, con un urlo non riuscì a strapparsi alle grinfie del sogno e cadde sul giaciglio ancora in fiamme.

«Ma che cazzo era quella roba!» Gli occhi neri si volsero verso il pavimento dove il fuoco stava attecchendo.

«Devo spegnere queste cazzo di fiamme», ma come fece per alzarsi il braccio destro prese a bruciare. Si guardò la mano come fosse aliena e proprio sopra di essa, inciso a fuoco, un triangolo tripartito.

Strinse i denti e corse al catino al piano di sotto, ma capì subito che non poteva fare nulla.

«Maledizione! Prima che qualcuno di quei bastardi arrivi a darmi una mano sarà tutto carbone. Cazzo!» guardandosi intorno realizzò che, usando l’acqua del lago, forse poteva cercare di circoscrivere l’incendio ed evitare una catastrofe.

«Buona questa cazzo di birra, Jori. Se avessi saputo che me l’avresti offerta, avrei fatto bruciare prima quella catapecchia!» Il boato di un pugno sul tavolo fu il segnale e tutti gli avventori del Porco Rosso scoppiarono a ridere.

«Ma Beryn, non era “l’unica casa vista lago”? Ora al massimo sarà l’unico rudere!» Dagorv si accorse troppo tardi che il padrone del “rudere” non apprezzò la sua battuta.

Beryn sollevò il braccio e, un attimo dopo, Dagorv era riverso a terra con il boccale di terracotta fracassato sul cranio.

«Come cazzo ti permetti, idiota? Ringrazia il Porco che mi ha messo di buon umore sennò ti avrei già fatto a pezzi.» La mano sinistra stretta appena sopra il suo polso destro, accompagnò i passi pesanti dell’uomo nella sua camera al piano di sopra.

Una corona di montagne che abbraccia l’immenso lago sotto di me. Mi sento fatto di aria, ma una sensazione più forte mi pervade.

Non sono solo.

Intorno a me decine di figure indefinibili, come sbuffi di fumo lieve, si librano senza vincoli. Esattamente come me stesso.

Le pareti rocciose sono particolari, i pendii attirano la mia attenzione. Finché non ne comprendo il motivo: sembrano smembrate da una potenza distruttiva.

«Porca troia!» Senza indossare la tunica, solo in calzoni, Beryn corse al piano di sotto.

«Jori, dove sono Dagorv e gli altri?» Il grosso petto villoso che si alzava e abbassava nel tentativo di riprendere fiato.

«Ma, Beryn cosa ne so, eh? Credo che sono andati dalla Vecchia per curare Dagorv, ti ricordi si che gli hai rotto la testa? Eh?» L’omino guardò il gigante con gli occhi socchiusi, sporgendosi a malapena verso di lui.

Ma Beryn stava già imboccando la porta per raggiungere i suoi sottoposti.

La casa della Vecchia sarebbe stata anche grande e spaziosa, se non fosse stipata di erbe e strane terrecotte dall’odore pungente. Ogni sorta di oggetto dell’arte che lei praticava riempiva scaffali, il soffitto e anche alcuni angoli del pavimento.

Dagorv era accomodato su uno sgabello troppo basso per le sue gambe, ma la Vecchia era intenta a sistemargli delle bende sopra l’occhio sinistro.

«Quanto cazzo di tempo vuoi metterci ancora, Vecchia?» Le braccia incrociate per coprire il petto nudo, gli occhi puntati sul ferito.

«Non spaccare la testa ai ragazzi e poi io faccio in fretta, stupido bestione che non sei altro!» Le mani della donna si mossero con precisione per chiudere la fasciatura. Così gli occhi cerulei di lei si posarono finalmente su Beryn.

«Io me ne vado, puoi parlare qui, ma se ferisci qualcuno di loro giuro che trovo il modo di perforare quella tua dannatissima pelle!» Muovendosi un po’ a fatica, si allontanò dalla stanza.

Beryn rimase ancora un momento a fissare davanti a sé i suoi uomini più fidati. Poi si sedette a terra a gambe incrociate. Si passò una mano sulla faccia e prese a parlare ai quattro davanti a lui.

«Ragazzi… come cazzo posso spiegare tutto questo? Insomma, voi sapete di quello che posso fare, lo avete visto molto spesso», un ghigno spezzò il suo discorso, «e quasi una settimana fa credo di aver scoperto perché posso farlo.»

Gli uomini davanti a lui rimasero basiti e si guardarono tra loro, finché non fu Dagorv a esprimere quello che pensavano tutti.

«Una settimana fa è bruciata la tua casa, sono collegate le cose, vero? Anche quel marchio che hai sul braccio è collegato, vero?» L’unico occhio azzurro fissò Beryn in attesa.

«Perspicace come al solito eh? Sei una cazzo di volpe del cazzo. A proposito, non volevo farti così tanto male, spero che non sia permanente, e abbiamo fatto anche le cazzo di scuse. A far andare a fuoco quella dannata casa sono stato io. Nel senso che, letteralmente, ero io Il Fuoco! Porca puttana, poi mi sono ritrovato a gemere dal dolore, io? Capite? Questo marchio del cazzo mi ha fatto male!» Gli occhi scuri spalancati al ricordo di quel momento. Eppure, riuscì a riprendere a parlare senza essere interrotto.

«Ci credereste se vi dicessi che questa non è la cosa più assurda?» Il ghigno riapparve, questa volta gli occhi lo accompagnavano fissi su una preda visibile solo a lui. «La cosa peggiore è che da allora ho come un sentore di morte imminente, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere. Soprattutto da quando il cielo è cambiato in quel modo. Sento come se mi ribollisse il sangue, ho voglia di distruggere qualcosa… Poi oggi, dopo aver colpito Dagorv, è successo.» Alzò gli occhi verso i compagni e si toccò la tempia destra con il dito. Sorrise e continuò. «Cazzo se è successo, ho finalmente capito. Già quella notte ho fatto uno strano sogno, terribilmente realistico. Ero una creatura gigantesca che combatteva contro qualcosa di stranissimo, finché non mi sono sacrificato per scacciarli. Mentre poco fa ho visto lo stesso luogo della battaglia, un po’ diverso da allora, ma lo ho riconosciuto. Intorno a me c’erano diverse figure fumose, irriconoscibili. Io credo che devo andare in questo luogo. Credo che mi devo riunire a queste figure, forse sono come me, capite? Forse potremo fermare insieme quello che sta arrivando!» Si fermò per riprendere fiato e vide la perplessità negli occhi dei suoi uomini, finché Jorn non prese la parola.

«Per i diavoli abissali! Ci stai dicendo che hai fatto degli strani sogni dopo aver bevuto una birra di troppo e ora vuoi abbandonarci tutti? Stai scherzando?» L’uomo doveva tenersi piegato in avanti pur di non sbattere alle cianfrusaglie appese.

«Cosa sei, scemo?», si frappose Heorth attaccando il compagno, «Ti sembra che Beryn possa abbandonarci qua? Il capo non lo farebbe. Diglielo pure tu, capo!»

«Ora basta, cazzo! Per prima cosa, non abbandono un cazzo di nessuno, imbecille. Seconda cosa, ti sembro uno che si fa condizionare da un cazzo di sogno di merda? Erano visioni, allampanata testa di cazzo. Ora, se mi faceste finire, vi spiegherei tutto. Porca troia. Allora, il mio piano è questo: andiamo via di qui e ci dividiamo, ognuno prende il suo gruppo, viaggiate compatti. La maggior parte di voi andrà al grande lago vicino a Urwine, magari prima del casino riusciamo anche a fare una scappata alla Barba Dorata di Beredith! Gli altri però si divideranno in diversi gruppi, vi muoverete in diverse direzioni per vedere se ci sono altri come me che si stanno muovendo. Trovateli e se sono soli difendeteli fino al lago. Saranno sicuramente irascibili, duri come la roccia e potenti, se sono giovani anche molto spaventati. E hanno questo marchio, o qui o da un’altra parte del corpo, non saprei dirvi.» Il braccio destro alzato a mostrare il marchio sul suo dorso. «Quindi Jorn e Gussen con i vostri vi dirigerete immediatamente al lago Veitkarm e cercherete chiunque corrisponda alla descrizione, spiegategli tutto, chi sono e cosa vi ho detto. Intanto io e Dagorv con i suoi uomini andremo a sud delle montagne che circondano il lago e vedremo di trovare altri come me, mentre Heorth, tu che hai più uomini di tutti andrai a nord delle montagne, cercherete in quella zona. Non so quanti siamo, ma se entro una settimana non li avrete trovati tornate al lago, sarà lì che ci sarà da convincere i pochi arrivati. Qualunque cosa sia che sta arrivando sarà terrificante. Ora muovetevi!» Beryn si alzò in piedi e aiutò anche Dagorv a fare lo stesso.

In quel momento si sentì uno scalpiccio arrivare in casa. La Vecchia fece la sua apparizione con il fiatone. «Orso, ci hanno ordinato di evacuare questa città abbandonata da dèi e re! Dicono che qualcosa di tremendo sta arrivando.»

E poi il grido spezzò il silenzio.

Beryn si guardò intorno e vide i soldati costringere i vari uomini a lasciare i propri oggetti, non aveva mai visto un tale dispiego di forze del regno.
«Che cazzo sta succedendo?», chiese avvicinandosi a un gruppo di guardie, riconoscendone qualcuna. Queste si guardarono tra di loro finché una delle cinque non si fece avanti.
«Orso, è semplice. Stiamo per morire tutti e i pezzenti di questo pulcioso villaggio non vogliono muoversi. Tu non hai idea di ciò che sta per abbattersi proprio qui. I pochi che sono riusciti a tornare con qualche informazione hanno raccontato di una creatura enorme, grande dieci volte queste catapecchie che chiamate case. Al suo passaggio pare che lasci dietro di sé solo distruzione, neanche il peggiore degli stregoni potrebbe creare tutti questi danni.» Gli occhi della guardia, spalancati, saettarono da un lato all’altro della strada. La mano stretta convulsamente intorno alla lancia.

Beryn avanzò lordo di sangue e con Dagorv appoggiato alla spalla.
«Dannazione, devi unirti agli altri e dovete andare! Non potete rimanere qui, dovete riunire quelli come me, raccontagli quello che è successo qui. Hai capito?» L’unico occhio rimasto del sottoposto a stento era aperto.
«S… Sì. Ho capito. Devi venire… con noi. Tu devi combattere.» Ogni parola veniva strozzata in gola dalle ferite.
«Se non riuscirete ad andarvene, loro potrebbero non capire. Tu devi raccontare questa cazzo di storia! Non deludermi. Io vi darò il tempo. Vedrà cosa significa far incazzare Beryn, l’Orso di Sevnika!» Le pupille scure presero a colorarsi di rosso, il torso nudo di scaldò sempre di più.
Alla fine, Beryn lasciò il suo sottoposto nelle mani di Jorn e degli altri esuli e s’incamminò verso il lago. Sulla strada, un’altra di quelle mostruosità apparve come dal terreno, poco più alta di lui, gli si avvicinò silente, quasi non avesse piedi, ma nuvole. E scagliò il primo colpo. Un lungo braccio scattò verso l’uomo, il quale non tentò nemmeno di schivare. La sua pelle a stento si graffiò e uno strano prurito prese ad allargarsi sul petto, lo sentì ribollire. Poi una massa informe gli crebbe addosso. Allora un ringhio proruppe dalla gola dell’uomo e la strana massa glabra si fermò e poi si carbonizzò. Beryn afferrò con una mano la testa del nemico, le quattro lunghe braccia si contorsero mentre lui stringeva. Mentre il fuoco bruciava. Poi la strana creatura si accasciò al suolo e rimase lì a carbonizzare lentamente.
Così l’uomo iniziò la sua corsa contro il tempo, gli alberi si facevano sempre più spogli cercando di raggiungere il lago. E poi l’essere in tutta la sua enormità si stagliò sopra il lago. Le acque intorno alle sue lunghe zampe evaporavano. L’aria era gelida. la colonna vertebrale in vista piegava in alto quasi ad ingobbirlo. Quattro lunghe braccia scheletriche si allungavano veloci in tutte le direzioni a colpire qualunque cosa. Gli alberi si scomponevano in aria, alcuni si scioglievano come burro, le rocce diventavano liquide, l’aria come fosse un blocco solido quando veniva pizzicata dai lunghi aghi che erano le sue dita. Creature di ogni genere venivano smembrate e osservate, moltissime avevano strane masse che spuntavano da luoghi improbabili. Alcuni cervi avevano teste di pesce, o uccelli con corna sul piccolo capo.
Beryn, sconvolto, smise di trattenersi. E ruggì, eruttando fiamme alte dieci piedi.

«Da lontano vedemmo il fuoco avvolgere quell’incubo. E ancora. E ancora. Finché non lo vedemmo muoversi come a inseguire quel piccolo essere che interrompeva la sua avanzata. Ancora il fuoco e quei ruggiti. Ancora sentimmo la terra tremare. Gli ultimi di noi erano ormai lontani. In salvo. Nessuno poteva immaginare quello che stava facendo. Nessuno tra noi è in grado di immaginare cosa sarebbe successo senza quel suo sacrificio.» L’unico occhio buono chiuso cercando di evitare che le lacrime prendessero il sopravvento. Eppure, dalla fasciatura sull’occhio sinistro, un’unica lacrima solitaria scese.

La ragazzina sollevò il capo solo in quel momento, negli occhi una determinazione sconosciuta. Le pupille scure virarono al cremisi, finché non aprì la bocca per parlare.

«Il suo sacrificio non sarà stato vano. Mi unirò alla lotta.»

Dagorv si sforzò di nascondere la stanchezza. La salita era stata estenuante. Eppure, la ragazzina al suo fianco non diede minimamente segno di averla sentita.

«Però la vista è straordinaria. Non credi, vecchio?» La voce era roca e dura.

«Non ancora per molto. Però sono felice. Guarda lì.» La mano si allungò a indicare delle luci in movimento nell’oscurità. «Quelle sono barche, finalmente siamo arrivati e guarda quanti falò ci sono in spiaggia, sembra proprio che i miei compagni ci siano riusciti.»

«Sembra proprio di sì. Vecchio posso farti una domanda?» Gli occhi erano fissi sulle proprie mani.

«Tutto quello che vuoi.» Una nuova speranza si stava facendo spazio in quei mesi di vuoto.

«Credi che sarebbe fiero della scelta che abbiamo fatto?» Stavolta il viso della ragazzina, chiaro come la luna che quella notte mancava, fissava l’uomo.

«Credo che se fosse stato qui con noi, l’Orso di Sevnika avrebbe ruggito in faccia a questa minaccia e vi avrebbe guidato contro qualunque cosa vi si fosse schierata davanti.»

Racconto di Pietro Sgherzi.