La strada era deserta.
Una folata di vento scosse il mantello di Brita, costringendo la ragazzina a stringerne l’orlo contro il petto per coprirsi. Il sole rosso del tramonto illuminava la massiccia struttura di legno del teatro.
Con il mazzo dei tarocchi al sicuro nella bisaccia, Brita si guardò attorno per l’ennesima volta.
Nessuno, ancora. La strada rimaneva deserta da dieci minuti.
Un brivido percorse la schiena della giovane, ma non era causato dal vento.
Avrei dovuto consultare i tarocchi prima di venire.
Strinse con le dita la bisaccia, cercando la forma allungata delle carte come per darsi coraggio.
Inspirò a fondo e si decise a entrare.
Cercò di mantenere un’andatura normale, ma a ogni falcata le sembrava di precipitare sempre più velocemente verso la porta del teatro.
I passi le rimbombavano nelle orecchie come colpi di martello sul legno, il cuore nel petto si era trasformato in un tamburo.
Brita si guardò attorno, lanciando occhiate in ogni angolo, timorosa che qualcuno potesse apparire e vederla.
E allora? Cosa potrebbero mai dirti, se anche ti vedessero?
Si fermò davanti all’ingresso. Il portone di legno era basso e robusto, a due battenti bordati d’ottone, oramai inverdito dal tempo e dall’umido.
Brita si aspettava fosse molto pesante, ostruito da sporcizia o chissà che altro, e invece sotto la sua spinta si aprì senza nemmeno un cigolio.
Dentro, il basso corridoio che portava alla cavea era buio. In fondo, oltre una pesante tenda mezza sdrucita, si vedeva il palco, illuminato dalla luce pallida dell’ultimo sole.
Brita si sforzò di mantenere un passo leggero, ma il legno del pavimento scricchiolava e gemeva piano come il ponte di una vecchia barca.
«Ehrm… salve?» La voce le uscì di gola come un pigolio, ben più sottile di quanto volesse. Scostò la tenda di lato e un leggero alone di polvere si sollevò e cadde davanti a lei. Brita tossicchiò.
Improvvisamente sentì una fitta alla testa, proprio sulla fronte. D’istinto si portò la mano nel punto dolente e massaggiò la pelle. Il dolore scomparve immediatamente, ma la vista le si appannò per qualche attimo. Non le fu facile capire quindi chi era la figura che stava seduta sul palco.
La giovane avanzò di qualche passo tra i resti di seggiole e panche, massaggiandosi il capo. Battè le palpebre più volte per riuscire a mettere a fuoco l’individuo. «Salve, io sono…»
«Brita.» La voce baritonale di Nalevh le accarezzò i timpani, facendole provare al tempo stesso sicurezza e sgomento.
Eccoli lì. Davanti a lei, seduto sul bordo del palco con le gambe penzoloni, Nalevh la guardava fisso, con la fronte aggrottata.
Per un momento le parve di intravedere un sorriso sul suo volto, ma non era possibile. I suoi lineamenti erano corrucciati, la piega della bocca pendeva verso il basso e le sopracciglia incombevano sugli occhi malinconici.
La giovane aprì la bocca, ma una ridda di pensieri le soffocò ogni parola prima che potesse uscire.
Lui! Oh no, Nalevh. Mi ha scoperta.
Cosa penserà di me?
Che deve pensare?
Dora! Gliel’ha detto lei? Perché? Io…
«Brita.» Nalevh pronunciò il suo nome più piano, allo stesso tempo con dolcezza e tristezza. Non c’era rabbia, nella sua voce, né sorpresa.
«Maestro…»
Nalevh si lasciò cadere giù dal palco e atterrò in piedi. Le fece segno di avvicinarsi con la mano e si sforzò di sorridere.
«Maestro, io non… perché siete qui? Dora aveva detto…» A Brita sembrò di fluttuare verso di lui. Si sentiva leggera come una piuma, i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelli di Nalevh, così scuri, così profondi.
Era come se il suo corpo stesse agendo da solo.
Sentì la mano di lui sfiorarle la guancia e insinuarsi tra i suoi capelli.
Perché il suo sguardo è così triste?
I suoi occhi si avvicinavano sempre di più. Nalevh unì le labbra alle sue prima che il pensiero potesse scivolarle via dalla mente, e Brita si sentì avvampare in un istante, dalle labbra fin dentro ai polmoni, come se il suo maestro le stesse soffiando puro fuoco direttamente dentro.
Il bacio durò un istante, ma a Brita sembrò una vita. Nalevh si staccò da lei e scosse il capo. «Perdonami, Brita. Io non… non avrei dovuto… ma questa notte…»
La giovane non gli diede il tempo di finire. Le fiamme che le guizzavano dentro guidarono le sue mani, e con un piccolo salto afferrò il capo del mago e lo trasse a sé.
Il suo odore, i suoi lunghi capelli lisci, il sapore della sua lingua e il pizzicare lieve della sua barba incolta alimentarono ancor di più l’incendio che aveva dentro.
Lo baciò con tutta la passione che non aveva potuto confessargli fino ad allora, come se in un solo, lungo bacio avesse potuto condensare anni di sospiri e fantasie.
Dopo un attimo di sorpresa, il mago rispose al suo bacio. La lingua si intrecciò con la sua e le mani la strinsero con dolcezza.
«Brita…» Tra gli ansiti Nalevh la sollevò e la depose sul palco, come se lei fosse una bambina. Con un salto si arrampicò da lei e tornò a baciarla.
Brita lasciò che lui si sdraiasse su di lei, lo cinse con le braccia e gli accarezzò la schiena sopra la tunica e sul collo.
Le dita di Nalevh armeggiarono col laccio del mantello, i suoi occhi incontrarono quelli celesti di Brita.
Occhi neri, nerissimi, più profondi della notte.
Il suo maestro si fermò per un istante, come a chiedere una conferma. Brita non esitò nemmeno, annuì e basta.
In pochi istanti mantello, borsa e sovratunica le vennero sfilati di dosso, con tanta leggerezza che quasi non se ne accorse.
Brita lo baciò ancora e si strinse a lui, lo sentì slacciarle la tunica e le sue mani scendere sotto l’orlo della veste. I nodi dei vestiti parevano sciogliersi da soli, sotto il tocco di Nalevh.
È un mago non per nulla.
Brita ridacchiò e baciò ancora il suo amato.
«Chiudi gli occhi.» Le sussurrò lui. Le sue dita oramai accarezzavano la sua pelle, solo la biancheria e la camiciola la separavano da lui.
Brita obbedì e ascoltò col corpo il tocco leggero del suo maestro che le sfilava gli ultimi indumenti.
Si sentì libera, finalmente libera di essere vista da lui. Non un sogno, non un’illusione, lui era lì con lei.
Sentì le mani di Nalevh accarezzarle i glutei, il suo mento pizzicarle con la barba un seno.
Rise.
«Alzati.» Sussurrò ancora lui, sollevandola dal sedere. Brita, con gli occhi chiusi, si mise in piedi e sentì sotto le piante dei piedi nudi le tavole di legno del teatro, lisciate dai passi di chissà quanti attori negli anni.
Il tocco di Nalevh la abbandonò. «Guardami.»
Aprì gli occhi.
Il suo maestro era davanti a lei, in piedi. Vestito.
Con l’indice della destra le disegnò un lento cerchio attorno al capezzolo, sulla piccola areola scura, con delicatezza. «Sei una bellissima ragazzina.»
C’era qualcosa nella sua voce che non andava. Non era più dolce, ma incrinata da una vena acida.
«Una ragazzina.» Le torse il capezzolo tra indice e pollice con inaspettata violenza, strappandole un gridolino. Brita sentì come un fulmine partirle dal seno e attraversarle il corpo.
Il volto di Nalevh era cambiato. Non c’era più nessun sorriso, nessuna dolcezza. Ombre scure ne rendevano i tratti più duri, più aguzzi, negli occhi scintillava un baluginio crudele.
«Pensavi che venirmi a succhiare il cazzo in sogno mi avrebbe fatto cadere ai tuoi piedi?» La sua voce era puro veleno.
Gelida, priva di emozione, come una stilettata al cuore.
Brita provò vergogna. Vergogna per quello che aveva fatto e per quello che stava facendo. Era nuda in un teatro abbandonato, di fronte al suo maestro. Lui l’aveva accolta, l’aveva istruita e lei aveva appena provato a sedurlo.
Il fuoco che le bruciava dentro mutò dalla passione ardente alla glaciale colpa.
Dèi, cosa ho fatto?! Cosa volevo fare?!
«Una sciocca ragazzina come te non potrà mai interessare uno come me. Lo sai questo, vero?»
«M-maestro…» Brita tremava. Tentò di coprirsi e sentì gli occhi bruciare. Abbassò il capo.
Avrebbe voluto sprofondare sotto terra, morire in quel momento pur di evitare quello che aveva fatto.
«Zitta. Non sei degna della mia considerazione. Non sei degna di essere mia allieva.»
Le lacrime le rigarono le guance come piombo fuso. Brita si sentiva bruciare dentro e congelare fuori.
Il sole era sparito, lasciandola sola in quel bui teatro, con il suo errore.
«Guardami.» Il comando era secco, la voce non sembrava nemmeno più quella di Nalevh.
Brita singhiozzò e scosse la testa, stringendo i pugni senza nemmeno provare a coprirsi. «I-i… io…»
«Guardami!»
La ragazza alzò la testa. Tra le lacrime, Nalevh aveva un ghigno diabolico stampato sul viso, un ghigno che lei non gli aveva mai visto.
D’un tratto, il fuoco e il gelo svanirono. «Perdona questa piccola farsa, mia cara. Confido servirà a farti aprire.»
Nalevh si passò la mano sul volto. In uno sbuffo di fumo scuro il suo volto scomparve e una maschera bianca e sorridente, con baffi neri e pizzetto, prese il suo posto.
Anche il suo corpo, con quello sbuffo di fumo, mutò. La rigida figura dello stregone si mutò in quella più bassa e colorita un elfo dai capelli biondi lunghi fin sulle spalle, con una veste variopinta che avrebbe suscitato solo risa, fuori dal teatro.
Attaccate a suoi calzoni pendevano una fila di maschere bianche, tutte con una fisionomia e un’espressione differenti.
Brita si riprese di colpo quando la paura si insinuò nel suo corpo. Si coprì i piccoli seni e il pube con le mani e cerò di indietreggiare verso i suoi vestiti.
L’elfo mascherato dondolò in aria la sua borsa.
«Tu c-chi sei?» Dalla gola di Brita uscì una vocina sottile, allarmata.
«Sono l’amico che ti diceva Theodora, Brita.» L’elfo prese una maschera dal fianco. «Dora, ricordi?»
In un lampo la scambiò con la propria, e davanti a Brita apparve Theodora, con i suoi capelli grigi, il corpo più che prosperoso, gli occhi castani. «Al teatro di Colton, domani al tramonto, ricordi?» La voce era quella di Dora.
Brita impallidì e spalancò la bocca. «Cosa… cos’hai fatto a Dora?»
«Dora è una vecchia amica, bambina.» L’elfo tornò a indossare la maschera bianca senza che Brita riuscisse a vederlo in volto e ripose la maschera di Dora alla cinta.
Solo le orecchie a punta, particolarmente lunghe pure per un elfo, spuntavano da dietro la maschera, ed erano bluastre come la pelle delle sue mani.
«Non aver paura, non ti farò del male. Quello che ho fatto era necessario, mia cara, spero lo comprenderai. Puoi rivestirti.»
C’era qualcosa di ipnotico nella voce dell’elfo, che riusciva a terrorizzare e confondere Brita allo stesso tempo. Lui le porse la sua borsa e lei allungò una mano, titubante.
«Non aver paura, Brita.»
Prese la borsa, fidandosi della vocina dentro di lei che le diceva di parlare ancora con l’elfo. Non aveva mai visto nessun mago capace di fare quello che aveva fatto lui.
Nemmeno Nalevh.
«Che cosa mi hai fatto? Cosa vuoi da me?» Brita controllò nella borsa se il mazzo dei tarocchi ci fosse ancora. Quando le sue dita incontrarono i regolari bordi delle carte si sentì stranamente tranquillizzata. Si accucciò in mezzo ai suoi vestiti e iniziò a raccattarli.
Il mascherato, col suo volto sempiternamente sorridente, le diede le spalle. Anche quel gesto, stranamente, fece sentire Brita più sicura.
«Conoscevo un uomo capace di creare illusioni basate sui desideri della gente, i più puri e sentiti, non semplici brame di amore, lussuria e potere. Era capace di entrare nei sogni delle persone anche quando erano sveglie, e mostrare loro le voglie più segrete che avevano.» Nella voce dell’elfo c’era un che di scherzoso, come se stesse raccontando una barzelletta.
Stava dritto a braccia incrociate, il capo alzato con portamento regale. «Ho appreso la sua tecnica, mia piccola Brita, e me ne servo per aiutare gli altri. Persone come te.» Le lanciò un’occhiata voltando appena il capo.
Brita, senza sapere perché, arrossì, anche se si era già rinfilata camiciola, biancheria e tunica. «Come me?»
«Sì, mia cara. Tu sei tremendamente insicura, è naturale alla tua età. Ma se la tua preda è il maestro Nalevh, credimi, stai sprecando il tuo tempo.»
Brita arrossì di nuovo. «Non è la mia preda. Lui… io… ecco…» Alzò lo sguardo sull’elfo e si sedette, prendendo una delle scarpe. «Perché starei sprecando il mio tempo?» Cercò di non far trasparire tutta la sua ansia dalla voce.
«Brita cara, quello che ti ho mostrato non l’ho inventato io, era nella tua testa. Tu sai che Nalevh è attirato dalla forza, dalla sicurezza. E sai anche di essere insicura.» Il mascherato si voltò di nuovo verso di lei.
«Io…»
È vero. Nalevh non si cura delle maghette da quattro soldi. Lui è intelligente, colto, ambizioso…
«Rispondendo alla tua seconda domanda, io voglio che tu mi ascolti. Dora è stata così gentile da invitarti qui, ma se mi ascolti non ti impedirò di andartene, in nessun modo.»
Brita si rimise in piedi e scrutò in quegli occhi vuoti, nient’altro che pozzi di tenebra ritagliati nella maschera, ma non fiatò.
«Ti ho voluta qui, mia cara, ma per offrirti una soluzione ai tuoi problemi che risolva anche i miei.»
«Cosa?»
Il mascherato annuì piano. «Vedi, so che non è facile leggere correttamente il proprio futuro con i tarocchi, per questo ci si affida a una seconda persona. Ma tu sei brava, ci hai provato più volte. E so anche qual è stata, ogni volta, la risposta.»
Nulla. Nessun amore, niente…
«Non… non significa nulla. Potrei aver sbagliato a…» Brita scosse il capo, soffocando le lacrime che sentiva spuntarle ai lati degli occhi.
Il mascherato divorò la distanza che li separava con un passo e le poggiò la mano sulla spalla, con una dolcezza che la ragazzina non si sarebbe mai aspettata. «No, Brita, te l’ho detto. Tu sei molto brava, hai visto correttamente. Non c’è destino per te e Nalevh.»
Per un istante Brita temette di non riuscire a trattenere le lacrime, e sentì il cuore diventarle di piombo.
Ma poi il mascherato riprese.
«Ma ci sono cose, a questo mondo, che possono modificare il fato. Artefatti molto potenti, Brita. A me ne serve uno, a te un altro, ma si trovano entrambi nello stesso posto.»
«Cosa intendi? Cosa dovrei…?»
«Tutto a suo tempo, cara.» L’elfo trasse dalla cinta un’altra maschera. Sembrava una giovane donna, i suoi lineamenti erano stilizzati. «Adesso lascia che ti mostri perché dovresti aiutarmi. Lascia che ti mostri Alice.»
Le porse la maschera, Brita la prese delicatamente. Sembrava d’avorio, era fredda come il ghiaccio.
Le mani le tremavano. «Cosa…?»
«Provala. A volte mettersi nei panni degli altri aiuta a capirne il punto di vista, non trovi?»
Brita era spaventata, una ridda di domande le si affollavano in testa.
Perché dovrei fidarmi? Chi è questo elfo, perché vuole proprio me? Perchè…
Ma la sua voce le accarezzava i timpani come una ninna nanna. «Indossala…»
Brita inspirò e si appoggiò la maschera al viso, senza più pensare.

Brita singhiozzava ancora sommessamente, rannicchiata in un angolo del palco con la testa tra le ginocchia.
La notte era oramai calata sulla città e sul teatro.
Il mascherato le poggiò una mano tra i capelli e la accarezzò come si accarezza un cucciolo. Il suo volto, bloccato in quel sorriso immobile, era illuminato dalla luce fredda che una lampada a cristali gettava sul palco. «Hai capito perché Alice lo ha fatto, vero?»
Brita singhiozzò di nuovo, ma annuì.
«E capisci perché ho scelto proprio te, mia cara?»
La ragazza inspirò a fondo alcune volte, cercando di calmare il suo respiro. «Per… perché mia sorella…» Singhiozzò ancora e alzò il capo.
L’elfo le passò un dito sulle ciglia per asciugare le sue lacrime e Brita lo abbracciò. «Mi spiace tanto per Alice…» Pigolò.
L’elfo la cullò con fare paterno, la maschera sempre ghignante, quasi beffarda. «Spiace anche a me, cara. Mi aiuterai a far si che non sia morta invano?»
«Sì. Sì, ti aiuterò.»
«Brava bambina.» Il mascherato l’aiutò ad alzarsi e le accarezzò il viso. «Ti prometto che nessun’altra bambina dovrà patire quello che ha patito tua sorella. Basta che mi aiuti.»
Brita annuì e riuscì a sorridere, nonostante le lacrime le scendessero ancora lungo le gote. «Ti ringrazio.»
«Grazie a te, Brita. E mi raccomando, portatemi il Terzo Occhio di Perla. Per te invece, basterà il filtro di Linnaedh.»
La giovane maga annuì con vigore. «Non preoccuparti. Non ti deluderò.»
«Forza allora.» L’elfo si accucciò per raggiungere la sua altezza. «Vai, raggiungi gli altri sulla scogliera.»
Le porse una maschera completamente bianca, prima di tratti e dotata solo dei fori per gli occhi. «Io tra poco riceverò una visita importante. Mi raccomando, bambina, metti questa maschera.» La luce della luna filtrò da una nube passeggera e cadde a illuminarlo, come una lampada.
Il suo sorriso d’avorio scintillò. «Non si sa mai.»

Racconto di Luca Vitali e Melissa Negri