Ignazio sollevò la testa dal pavimento. Che botta, la nuca gli pulsava dal dolore e una macchia di sangue sporcava le mattonelle. Cosa cazzo lo aveva colpito?
Appoggiò la mano a terra e una scheggia di vetro si conficcò nel palmo, ma era troppo intontito per sentire più di un solletichio. Una folata d’aria gelida penetrò dalla finestra e piccoli cristalli di ghiaccio svolazzarono nella cucina.
Un tizio pelato gli stava in piedi di fronte, con una sedia sollevata sopra la testa. «Non ti muovere, abbiamo già chiamato la polizia.» Un rivolo rosso scese fino a impiastricciargli le dita, ma lui non gli levò gli occhi di dosso.
«Cristo Santo, che male.» Ignazio aveva la bocca impastata, sapore ferroso e di vodka da due soldi. Si puntellò sulle gambe per rimettersi in piedi. Le pareti giravano e la testa gli doleva come se un picchio avesse deciso di scavarci dentro, colpo dopo colpo.
«Fermo, ho detto!»
Cosa cazzo gridava? Si portò la mano alla fronte che pulsava. Sbatté le palpebre, la luce del lampadario gli ustionava gli occhi. Anche lo stomaco si lamentava, presentava il conto per tutto quello che aveva ingurgitato la sera prima. Ma doveva festeggiare! Le luci e le decorazioni, i canti, la neve che intirizziva le dita… Oh oh oh, arriva Babbo Natale!
Scrollò la faccia e del vomito schizzò su una gigantografia della Ghirlandina appesa alla parete, ne aveva la barba piena. Ecco, avrebbero pensato che aveva ancora problemi di alcolismo, ma non era così, poteva giurarlo!
Si diede un’occhiata attorno, cos’era successo all’appartamento? Dov’era finita la credenza di nonna e il tavolone lungo e stretto dove tutta la famiglia si stringeva per natale?
Dal soggiorno provenne il pianto di un neonato. Era la casa giusta?
Una voce femminile canticchiò una ninna nanna per farlo calmare. La voce… gli sembrava di conoscerla. «Be-Betta? Sei tu?» L’ultima volta che l’aveva vista aveva quindici anni. Forse quattordici, non riusciva a ricordarlo bene.
«Come conosci mia moglie?» Il tizio si spostò di un paio di passi e Betta comparve sulla soglia con un fagotto in braccio. Dio, quanto era cambiata. Si era fatta donna e assomigliava tanto a sua madre, anche se gli occhi erano identici ai suoi, verdi come basilico fresco.
«Papà. Dovevo immaginare fossi tu.» Strinse le labbra in una linea dura, lo sguardo pieno di veleno.
«Mi hanno fatto uscire qualche giorno prima, per passare le feste in famiglia. Che c’è, non sei contenta di vedermi?»
«Vattene fuori di qui!»
Ignazio strinse i pugni. «Non puoi cacciarmi da casa mia!» Gridò e il bambino riprese a frignare. «Sono… sono stato io? L’ho fatto piangere?»
«È una femmina.»
La sua nipotina… Non sapeva neppure di essere diventato nonno, ma doveva essere successo di recente, sembrava una piccola e indifesa bambola di porcellana. Allungò il collo per vederla meglio, ma Betta sollevò la coperta a coprire la testolina.
«Vattene e non azzardarti mai più a tornare.» Betta fissò il vetro della finestra infranto e scosse la testa. «Guarda come sei ridotto. Ti hanno fatto uscire di prigione e la prima cosa a cui hai pensato è stata ubriacarti?»
«Non avevo il coraggio di tornare a casa. Ho pensato che un goccetto potesse aiutarmi a rilassare i nervi.»
«E il goccetto si è trasformato in una bottiglia intera, immagino. Mi fai schifo, papà. Dieci anni e non sei cambiato di una virgola.»
«Betta, io…»
Passò la bambina a suo marito e gli si avvicinò. I vetri sotto le suole delle pantofole scricchiolarono. Negli occhi non era rimasto nemmeno un briciolo d’affetto e come darle torto.
Lo colpì con uno schiaffo. Il rumore sovrastò il pianto della bambina e portò il silenzio nella stanza.
Ignazio appoggiò il palmo sulla guancia ispida. Bruciava più della ferita alla nuca. Sua figlia lo odiava, ma cos’altro si sarebbe potuto aspettare da lei? Una carezza?
Cacciò le mani nelle tasche e rovesciò i dolcetti sul tavolo. «Non mi ero fermato al minimarket per la vodka, volevo comprarti caramelle e cioccolatini, da piccola le amavi.»
E forse ora le davano la nausea. Non poteva saperlo, si era giocato il diritto di vederla crescere. Sperava che una gesto tanto stupido avrebbe potuto riavvicinarli dopo tutti quegli anni? E che intrufolarsi dalla finestra fosse una buona idea?
«Posso… Posso almeno vedere mia nipote?»
«Ti eccitano già da così piccole?»
Una stilettata al cuore, un dolore che non avrebbe più voluto provare, che solo l’alcol riusciva a tenere a bada. «Ho sbagliato, lo so, non avrei mai dovuto–»
«Ma lo hai fatto. E non ti è bastata una volta sola.»
Le lacrime gli solleticarono le guance. Ignazio tirò su col naso, un groppo gli si era incagliato in gola e non voleva né scendere né salire. «Mi dispiace così tanto…»
Ma aveva ragione sua figlia, non meritava di stare lì. Non era più casa sua.
«Addio, Betta.» Superò lei e la sua nuova famiglia e imboccò la porta.
Un campanellino trillò, avvisava che se ne stava andando una volta per tutte.
Certi errori erano come cicatrici, impossibili da cancellare.
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Racconto di Luca Fagiolo
Vincitore del Contest Stagionale Inverno 2022-2023
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