«Il primo colpo si è… piantato nello stomaco. Lama corta e larga, sezione rom… rombo… romboidale. L’altro pu… pugnale doveva essere più lungo, è passato tra la quarta e la quinta co… cos… costa, dritto fino al cuore.» Gallagher sfoglia con le dita unte il taccuino, strizza gli occhi come se fosse mezzo guercio.
Almeno ha imparato a leggere. Chissà come diamine scrive.
«Un professionista.» Sento dell’amaro in bocca. Il mezz’elfo era a petto nudo, le ferite sono nette e ben visibili, nessuna slabbratura. I suoi capelli castani sono imbrattati di sangue secco, il pavimento è uno schifo.
«Il mago si è difeso, signora. Sulle dita ha quelle…»
Seguo con lo sguardo il solco scavato sul muro dalla scossa elettrica. La mano del mezz’elfo morto è mezza coperta dai fiori da fulmine. «Non molto bene, pare.»
«Prima di settimana scorsa non pensavo nemmeno che si potesse ammazzare uno di loro…» Gallagher si gratta quei quattro peli rossicci che ha al posto della barba.
Alzo il capo.
I suoi occhi da pesce vagano per la stanza, cercando di evitare la pozza di sangue secco dove mi sono inginocchiata io.
«I maghi sono come tutti gli altri, Gallagher. Li buchi e muoiono.»
«Ma i vampiri non…» A ogni parola che dice, le sue guance pallide tremolano.
Santissimi i Quattro, avrà compiuto diciott’anni la settimana scorsa, è pallido come un cencio.
«Vai a chiamarmi il giustiziere Icarus, ragazzo. Poi torna dal tuo sergente.»
Gallagher annuisce di scatto, lo sguardo carico di sollievo, e si volta. La sua cappa blu scompare dietro l’uscio della porta.
Povero ragazzo. Landen non è una città per stomaci deboli, nelle ultime settimane.
Anche il mezz’elfo se l’è passata male, comunque. Passare da essere primo incantatore del seguito di un Conte a cadavere mezzo sbudellato non deve essere divertente.
La sua stanza è minimale, non era certo un amante del lusso.
Armadio guardaroba con specchio, incrinato nella colluttazione, scrivania con archivio, letto, due sedie, mobile biblioteca con una dozzina di libri.
Tutto pulito come uno specchio, nemmeno una cosa fuori posto, a parte il cadavere al centro del parquet.
Icarus bussa sullo stipite, alzo lo sguardo e vedo la sua crapa pelata color caffè fare capolino.
«Finito, Petra?» Solleva un sopracciglio, sarcastico.
«Le Cappe Blu hanno perquisito la stanza?»
Scuote la testa.
«Allora non abbiamo finito proprio niente.» Mi rimetto in piedi, le mie ginocchia scricchiolano. Sistemo la spada lunga alla cintura. «Tu fai la biblioteca, io lo scrittoio. Hai ancora Lacrime?»
Icarus solleva la sua mazza ferrata e mi mostra il serbatoio di vetro che sta in fondo, circondato dalla placcatura in acciaio. Vuoto.
«Santi i Quattro, per cosa cavolo le hai usate?»
Fa spallucce. «Ricordi i Geist che infestavano casa Beckett, l’altro ieri?»
«Ma erano Spiritelli Saltatori.»
Quanto cazzo ci hanno fatto penare, quei piccoli diavoli.
«Esatto. Ci ho messo tre scariche per capire che la volontà di Iustus non gli faceva nemmeno il solletico.»
«Porca…» Mi mordo un labbro. «Lascia stare, ne ho un po’ io.»
Estraggo la spada dal fodero e controllo il serbatoio. Ancora metà del liquido color argento luccica lì dentro.
«Cosa speri di trovare?» Icarus si sistema per l’ennesima volta il pettorale della corazza, lucido come uno specchio. Da quando ha perso peso, l’uniforme dei giustizieri gli sta larga, ma piuttosto che spendere due monete per il cambio di taglia preferisce passare le giornate a stringersi le cinghie. Il gambesone imbottito rosso acceso sotto l’armatura inizia a scolorirsi.
Guardo il mio. Solo nella giuntura dei gomiti si è sbiadito il colore, nelle altre parti bracciali e spallacci fanno da copertura. «Questo è il secondo mago in una settimana, Icarus.»
«E con ciò, tenente?» Pesa sarcasticamente sulla parola “tenente”, come se fosse una presa in giro.
Un giorno di questi ti meno, Icarus.
«E con ciò, sono sicura che uno come lui avesse diversi amici, tra gli stregoni della città. Magari troviamo qualcosa.»
«Ancora dell’idea che ci sia un assassino di maghi?» Icarus si volta e inizia a controllare i libri, io faccio lo stesso con i cassetti. Parto dall’alto, primo, secondo e terzo sono vuoti.
Stranamente vuoti.
«Intanto ne sono morti tre.» Tasto con le dita per cercare un doppiofondo. Nulla.
Passo al cassettone grande, quello sotto il tavolo della scrivania. Piume, lapis, inchiostro, carta. Apro il cassetto a sinistra e ci sono le buste vuote, in quello sotto un bastoncino di ceralacca e un timbro.
Qualcosa non quadra.
Apro quello di destra. Lettere, finalmente.
Ne prendo una e inizio.
“Mio caro Geoffrey, il mio cuore è straziato dal darvi questa notizia, il nostro rapporto clandestino deve concludersi, e ora. Mio marito…”
«Lord Fenstone ti aveva parlato del suo incantatore come di un tipo riservato, giusto?»
«Mi pare di sì.» Icarus getta uno dei libri sul letto e passa a quello successivo.
«Ti pare? Sei andato tu a fargli le domande.»
«Sì, mi ha detto di sì.»
Allora questa è una bella presa per i fondelli.
Alzo la spada sopra la testa tenendola con la sinistra e socchiudo gli occhi.
Ti prego, Iustus il Virtuoso, rivela ogni coercizione della realtà.
Il liquido contenuto nell’elsa inizia a brillare di luce bianca e nell’aria si spande un fischio sottile. Le parole tracciate con l’inchiostro iniziano a sbiadire dalla lettera che ho in mano.
Lo sapevo.
Sento il potere dell’incanto divino affievolirsi, il formicolio sulle dita che stringono l’elsa diventa meno intenso. Qualcosa lo contrasta.
No, dannazione.
Mio signore, sommo giustiziere, portatore di rettitudine, Iustus, ascolta la mia supplica.
Il formicolio ritorna, più forte, la luce si fa più intensa.
«Petra, cosa stai…»
Stai zitto, Icarus! Ancora un altro po’, dai, sono così vicina…
I fogli bianchi nel cassettone principale tremolano, l’aria sibila attorno a loro. L’incantesimo si spezza con uno schiocco, come un colpo di frusta.
Sui fogli appaiono le pieghe e le scritte che nascondeva, il foglio che tenevo nella destra si raddrizza e torna perfettamente pulito.
Ti ho beccato.
«Cosa fai?» Icarus si mette di fianco a me. «Cosa sono?»
Abbasso la spada e controllo il serbatoio, per poco non mi viene un colpo. L’ho vuotato.
Cazzo!
Mi mordo la lingua.
Santissimo Iustus, perdona la mia offesa, sia fatta la tua giustizia. Diavoli, dopo dovrò tornare a riempirlo.
«Sono quello che cercavo. Corrispondenza privata, e molto interessante, pare.» Gli rivolgo un sorrisetto e rimetto a posto i fogli di carta bianca. Raccatto le lettere.
«Come lo sai?»
Metto via la spada e stendo le lettere con entrambe le mani. «Chi si prenderebbe la briga di nascondere le lettere così, se non fossero importanti?»
Icarus mugugna. «Un bel trucco. Ma non si aspettava l’arrivo del Tempio di Giustizia.»
«Nessuno si aspetta l’arrivo del Tempio di Giustizia.» Ridacchio tra me.
A meno che non sia morto. In quel caso sì.
Passi di corsa dal corridoio.
Vesta, con la frangia castana appiccicata al viso sudato e il fiato grosso, fa irruzione nella stanza. «Tenente Black!»
Mi faccio avanti, senza scompormi. Nello sguardo di Vesta colgo però un’inquietudine insolita. La questione deve essere grave. «Dimmi.»
La ragazza si appoggia sulle ginocchia con i palmi, ansima come un cavallo. Gli spallacci dell’armatura sono troppo grandi per lei, le si sono spostati sul bavero del gambesone. Sembra un bambino con un vestito troppo grande.
«Lord Atelweyld…ha convocato i giustizieri che…che lavorano con le Cappe Blu.»
«Cosa? È già arrivato?» Sussurra Icarus nel mio orecchio.
«Cosa è successo?» Alzo la mano per fare cenno al mio collega di tacere.
«Non lo so…» Vesta si tira su e scolla i capelli dalla fronte. «Ha richiesto la presenza di tutti, prima della dodicesima.»
Digrigno i denti per non urlare. Per una volta che trovo qualcosa, dopo settimane di indagini…
Allungo le lettere a Vesta con un gesto secco. «Raccogli tutte le carte di questo maledetto posto e portale al tempio. Mi raccomando.»
Vesta annuisce rapida, mi fissa con gli occhi sbarrati. Forse ho usato un tono troppo duro.
Chissene importa, dannazione. Dobbiamo volare a palazzo, per fare in tempo.
«Muoviti, Icarus.» Mi lancio oltre la porta, senza aspettarlo.

La luce gelida delle lampade a cristalli e il silenzio di tomba che invadono la sala Prachett la fanno sembrare un obitorio.
Le pesanti tende di velluto scuro coprono le finestre.
Alla mia destra, Hazel e Viggart si scambiano occhiate nervose, il secondo si gratta le corna appena rasate.
Che mi ricordi, non gliele ho mai viste più lunghe di mezzo pollice.
Le seggiole che ci hanno fornito non sono affatto in linea con lo stile generale del palazzo o della corte. La sovrabbondanza di cuscini di piume e imbottiture non ha toccato queste sei, a quanto pare. Sono seduta da cinque minuti e già mi fa male il culo.
Di Lord Atelweyld nessun segno.
Meglio, almeno siamo arrivati puntuali.
Questo però non mi libera del peso che mi opprime lo stomaco. L’emissario dell’Imperatrice è appena arrivato in città e già si prepara farci il culo. Ottimo, ci voleva proprio.
Su Atelweyld, di preciso, si sa solo che sia uno stronzo. Le altre voci sono inquietanti, alle volte, altre semplicemente esagerate.
Mi avvicino all’orecchio di Icarus, seduto accanto a me, ma la porta si apre di colpo e sbatte contro il muro.
Sulla soglia è apparso un uomo coperto da un pesante mantello bordato di pelliccia, cappuccio tirato fin sul viso, tutto imbacuccato. La luce del sole rende impossibile vedere il suo volto.
Entra a passi pesanti nella stanza, lasciandosi dietro del fumo.
Vapore, forse? Proviene proprio dal mantello, come se sotto ci fosse un incendio.
«La porta.» La sua voce è secca come uno schiaffo. Una delle due guardie entrate dopo di lui chiude l’uscio e nella stanza torna l’asettico bagliore bianco azzurro dei cristalli.
Si leva il mantello e lo getta sul tavolo di fronte a noi, le sue mani armeggiano con la maschera di pelle che gli copre il viso. Le cinghie si allentano con due sottili Cling.
Tolta la maschera, l’uomo inspira profondamente, nell’aria le volute di fumo che si alzavano dal suo corpo si contorcono con grazia.
Ha il volto pallido, cadaverico.
Forse è solo la luce.
I suoi tratti sono così affilati che potresti tagliarci il pane. Naso dritto e appuntito come una punta di lancia, pelle bianca, sopracciglia dritte. E gli occhi…
Santi i Quattro, i suoi occhi!
Per un attimo la stretta allo stomaco si fa più forte, come una tagliola che si chiude sulla zampa della preda.
Sono completamente neri, se non fosse per le iridi che sembrano tizzoni ardenti, con i capillari che le attraversano simili a fiumi di fuoco.
Spazza la stanza con lo sguardo, le sue labbra pallide si arricciano appena nel guardarci. Il mio cervello fa affiorare l’immagine di quello che so esserci, sotto quelle labbra.
Canini acuminati da predatore, come quelli di un serpente.
«Signori.» C’è un’onnipresente nota di fastidio in ogni sillaba che pronuncia. «Muoviamoci. Voglio un resoconto della situazione, il più esaustivo e rapido possibile. Niente stronzate da Cappe Blu.»
Se non fossi così scioccata probabilmente sorriderei. La mano destra mi trema leggermente. Sento l’assoluta necessità di avere la mia spada qui con me, adesso.
Atelweyld si siede sulla scrivania e ci scruta ancora. Alza la mano e punta un lungo indice affusolato su di me.
Le due guardie che l’hanno accompagnato, vestite con abiti da gran cerimonia, chinano il capo, come intimorite.
«Tu. Sei la più alta in grado.» Un brivido mi attraversa i muscoli.
Mi alzo in piedi, le mani strette per fermare il tremore. Sento la lingua impastata, sono assolutamente sicura di non riuscire a dire nemmeno il mio nome.
Il vampiro mi fissa con i suoi inquietanti occhi luminosi. La sua voce sferza l’aria. «Nome, ruolo e assegnazione, giustiziere.»
Annuisco, rigida. «Pe…ehrm…Petra Black, Tenente, signore. Seguo gli omicidi dell’Eastern Side.»
«Quanti omicidi?» Inclina leggermente la testa.
Deglutisco. La saliva sembra fatta di spine, mi raschia l’ugola.
«Cinque.»
«So che il quinto è fresco di giornata.» Non c’è nemmeno l’inflessione ironica nelle sue parole, constata il fatto e basta.
«Si, signore. Geoffrey Carr, incantatore alle dipendenze private di Lord Fenstone.» A sentir nominare il conte, le sue iridi infuocate sembrano avvampare di rosso. Deglutisco un altro pugno di chiodi.
«Considerazioni? Idee?»
«Ecco…»
«Non è una richiesta di cortesia, Tenente, è un ordine. Voglio sapere quello che pensate.»
D’istinto abbasso lo sguardo e incrocio quello di Icarus. Anche nella luce fredda, i suoi occhi sono caldi e rassicuranti. So benissimo cosa vuole dirmi.
«L’assassino era un professionista.»
Ora, oltre ad Atelweyld, mi guardano anche tutti gli altri, lo sento sulla nuca.
«Il mago deve averlo visto prima che lo attaccasse, ha provato a difendersi…»
«Ma non ce l’ha fatta.» Niente ironia nel tono, neanche questa volta.
Scuoto il capo. «La seconda pugnalata è penetrata tra le costole, dritta fino al cuore. Le Cappe Blu non hanno trovato segni di scasso sulla porta, la vittima è stata colta di sorpresa.»
«E nessuno ha visto nulla. Combacia con i precedenti?»
«No, signore. Gli altri due morti erano un ricco mercante del ramo tessile e il proprietario di una banca di cambio. I loro assassini sono stati uccisi dalle loro guardie nella colluttazione. Il terzo era un incantatore diplomato all’accademia. Anche per lui, solo coltello, ma nessun testimone. Viveva solo.»
«I primi due sono Langolder e Greaves, il terzo Gayle. Ma tu hai parlato di cinque omicidi.» La sua lingua guizza per un istante a leccare le labbra.
«Il quarto potrebbe essere un incidente. Le Cappe Blu…»
«Le Cappe Blu non hanno idea di come si conduca un’indagine. Per questo sua maestà l’Imperatrice mi ha mandato qui.» Mi fa un cenno stizzito con la mano, indicandomi di sedere. «Per ora basta. Ascolterò il tuo rapporto su questo caso dopo, in privato.»
Va avanti con le domande, come se io non avessi detto niente.
E l’unica cosa a cui riesco a pensare è che mi toccherà passare il pomeriggio a inventarmi un modo per evitare di fare una figura di merda con questo stronzo.
Fantastico.

Una volta ho sentito dire al Custode della biblioteca del tempio che il suo lavoro era “cercare di non affogare nelle scartoffie”.
Come lo capisco, adesso.
Letto, tavolo e una parte del pavimento della stanza sono invasi da fogli, carte, addirittura pergamene. Le più recenti sono di cento anni fa, santissimi i Quattro.
Oltre alla corrispondenza del mago stecchito stamattina, ho dovuto raccogliere le piante del quartiere, i registri dei Canonici della Misericordia sul conto delle famiglie e quelli della gilda dei filatori per controllarli.
A quelli si sommano tutti i verbali e gli incartamenti per i casi precedenti e la corrispondenza del mago che è morto bruciato, quella di Gayle e quella di Langolder e Greaves, più i loro registri contabili.
Tutto da sola, dannazione.
Icarus ha da badare a sua figlia, e Atelweyld lo ha torchiato per primo apposta.
Iustus, dammi la forza. Ricapitoliamo.
A stare alle carte contabili di Langolder e del banchiere, i due lavoravano assieme al Conte di Fenstone nell’acquisizione di una parte degli stabili degli opifici dell’Eastern, quella che da piccoli chiamavamo la collina dei filatori.
E fin qui, tutto legale. Nessuna manovra sospetta, hanno rilevato aziende in fallimento e hanno licenziato tutti.
Se papà e mamma non fossero già andati via, sarebbero in un bel guaio.
Basta, concentrati.
Mi passo la mano tra i capelli. Stanno diventando lunghi, devo tagliarli o mi finiranno per cadere sugli occhi.
La corrispondenza dei maghi è più sospetta, invece. Quella di Warren Laeddis, il mago arso vivo, non c’è molta roba. L’indagine era stata affidata alle Cappe Blu, e dai resoconti emerge che non hanno chiamato noi perché è stato classificato come incidente, e non omicidio.
Geniali, cazzo.
Perdonami Iustus, o divino e virtuoso.
Per Gayle invece, furto con scasso e omicidio. Il verbale era stato fatto da Conway, il giorno prima di andare in pensione. E infatti è perfetto, non manca proprio nulla.
Laeddis e Carr si conoscevano dall’Alta Accademia Imperiale di Arcanismo, si sono diplomati lo stesso anno.
Prendo in mano una delle lettere più importanti, è già la terza volta che la rileggo.
«Il Maestro dei Sussurri, che nome idiota.» I maghi hanno un senso per la sobrietà quasi inesistente.
Ripasso i nomi importanti. Un certo Vesirius è argomento di discussioni molto serrate tra i due.
Sembra che lo stessero spiando per conto di questo fantomatico Maestro dei Sussurri, a quanto ho capito è un Esule.
Con lui lavora un certo Meandor, ma lo nominano e basta.
In altre lettere si parla di uomini con le maschere e qualcosa sulla verità, anche se non si capisce quale verità.
Sono troppo lunghe da leggere solo adesso con attenzione. È tutto un casino.
Se vado con questa roba da Lord Atelweyld mi ucciderà di sicuro.
Un brivido mi scuote la spina dorsale, immagino i suoi canini piantarsi nel mio collo.
Come avrà fatto un vampiro a essere nominato emissario per l’ordine dell’Imperatrice? Non bastava che fosse stata resa legale la loro orrenda esistenza, dei del cielo?
L’unica traccia che rimane da percorrere è Sabine Vogel Deronnay. La strega è stata compagna dei due maghi all’accademia, e immagino che le due lettere non firmate siano le sue.
Sono quelle da cui traspare più incertezza, e a quello che si dice in giro è parecchio che non si fa vedere.
Scuoto la testa.
No, è troppo poco perché Atelweyld mi autorizzi a usare un tracciamento su di lei. Non so nemmeno se sia legale, in questi casi.
Dannazione.
Raccatto tutti i fogli impilati per terra e li organizzo, separo le mappe dai rotoli e dai rendiconti degli opifici e tutto il resto.
Fuori dalla piccola finestra della mia camera, il sole si sta avvicinando sempre di più all’orizzonte. Tra un’ora dovrò essere in quell’ufficio con Lord Atelweyld, e devo avere qualcosa di più convincente.
L’occhio mi cade sul cognome della donna che ha ammazzato Langolder.
Era una puttana, perché ha un cognome?
Waker. Alice Waker.
Ho già sentito questo cognome, era il cognome di…
Non può essere.
Rileggo il resoconto, scorro col dito lungo le linee vergate nella grafia scomposta dell’agente che li ha ricevuti all’obitorio. Il padre l’ha riconosciuta, ha firmato con una X.
Non può essere che…
Chiudo le palpebre per ricordare. La luce del tramonto si sfoca fino a diventare il pallido bagliore di un lume, che si mescola a quello della luna che passa dalla finestra aperta.
Al piano di sotto, una bambina ride.
La mia pelle sulla sua, le sue labbra contro le mie. Morgan non allungava le mani neanche per scherzo, dovevo sempre prendergliele io.
Il suo volto affiora da quella notte, nitido come se fosse ieri e non otto anni fa. I suoi occhi chiari, la cascata di capelli, gli zigomi alti e le labbra dolci.
Morgan Waker.
Dèi, perché sto pensando a lui?
Lui si sarà scordato. È brutta da dire, ma preferisco che si sia dimenticato di me, piuttosto che pensare che sia…
Serro i pugni e sento un nodo salirmi in gola. Gli occhi bruciano.
Sono passati otto anni, dannazione! Otto anni e tu ancora piangi.
Chissà quante altre avrà avuto. È un soldato, santo cielo, se ne sarà fatta una diversa ogni sera.
Eppure dentro di me c’è una vocina sottile che sussurra “non il mio Morgan”
Lui non è mai stato mio, però.
Io sono stata sua, non sono mai stata di nessun altro, ma lui no. Per quello lui se n’è andato e io sono rimasta.
Iustus, fa che questa ragazza superi il giudizio tuo e degli altri tre divini.
Ricordo che era una bimbetta vispa e che andava matta per suo fratello, non avrei mai creduto che sarebbe finita così.
Una prostituta morta ammazzata, come anche quell’altra che ha ucciso il banchiere.
Aspetta.
Due puttane per due cadaveri. E gli altri due?
Nemmeno per Laeddis è stato trovato l’assassino, è sparito senza lasciare traccia. Come un professionista.
Ha fatto sembrare tutto un incidente. Per Gayle, furto con scasso. Simulato.
Rovisto all’impazzata tra le carte fino al foglio identificativo di Autumn Gayle, con un sospetto che mi martella il cranio.
Eccolo.
Diplomato all’accademia allo stesso anno di Laeddis, Carr e la Deronnay. Lo sapevo, porca puttana!
Deglutisco un boccone acido.
Devo correre da Atelweyld. La prossima a morire sarà la Deronnay, se non ci sbrighiamo.

Busso sullo stipite. «Signore.»
Lord Atelweyld alza appena il capo dal taccuino su cui sta scrivendo per rivolgermi uno sguardo mefitico.
«Potete andare, Viggart. Chiudete la porta. Entrate, tenente.» Fa un cenno secco con due dita nella mia direzione.
Viggart mi passa di fianco, quasi di corsa. Al suo pallore da Dryen si aggiunge una nota di stress che sono certa derivi dal colloqui appena concluso.
Cazzo, cominciamo bene.
«Può sedersi, tenente.»
«Se…se non le dispiace, rimarrei in piedi, signore.»
«Come preferisce.» Finisce di scrivere sul piccolo diario e posa la penna. «Stamattina mi parlava di una sua teoria sull’omicida.»
Lo fisso negli occhi. «Si, l’ho leggermente rivista, signore.» Appoggio sul tavolo le lettere che ho portato.
Lord Atelweyld annuisce appena, ma non apre bocca.
«In queste lettere c’è la prova di una corrispondenza privata, segreta, tra i due maghi uccisi e con una terza strega, che credo sarà il prossimo bersaglio dell’omicida. Ho ragione di credere che anche Gayle fosse coinvolto.»
«Mh.» Scorre velocemente le lettere. «E sarebbe?»
«Sabine Vogel Deronnay, signore. È una…»
«Conosco la signora Deronnay, tenente. Per questo sono incuriosito, adesso. Non crede che le lettere siano scritte in codice?»
«Con tutto il rispetto, signore, non credo. L’incantesimo che occultava quelle in possesso di Carr era molto potente, ho dovuto esaurire tutte le…» Mi mordo la lingua.
Cazzo, cazzo, cazzo! Non sono andata a riempire il serbatoio all’altare.
La consapevolezza che adesso, anche se è assicurata al mio fianco, la mia spada non potrebbe proteggermi se Atelweyld mi si scagliasse addosso, mi congela il sangue nelle vene.
Il vampiro alza lo sguardo su di me. Sorride.
«Ha paura, tenente?»
Apro la bocca, ma il mio cervello non ha ancora formulato una frase di senso compiuto. Scuoto appena la testa e mi sforzo di trovare qualcosa di sensato da dire.
Avanti, dannazione!
«No, io…»
«Perché si comporta come se ne avesse.» Atelweyld appoggia le lettere sulla scrivania e si tira indietro, sullo schienale dello scranno.
Rispondigli, porca puttana!
Niente. Nemmeno mezza parola. Mi limito a restare lì e a fissarlo con la bocca spalancata, ci manca solo che mi metta a balbettare.
«Lei è venuta qui per chiedermi l’autorizzazione a un tracciamento sulla signora Deronnay, giusto?»
E lui come fa a saperlo?
«Come…»
«È quello che farei io nella usa posizione. Per sua fortuna, conosco la nostra interessata. Non ci sarà bisogno di un tracciamento.» Il tono di Lord Atelweyld è distaccato, placido. Non ci sono più quelle note di fastidio di stamattina.
«Potrebbe essere in pericolo.»
«Non dubito che lo sappia. Per questo, stando ai rapporti, non la si vede molto in giro.»
«Cosa significa?»
«Significa che so dov’è. Potremmo andare a trovarla.»
«Potremmo?» Questo mi mette ansia.
«L’assassino dev’essere molto preparato se è riuscito a uccidere tre maghi tutto da solo. Quindi, o è un singolo individuo pericoloso o sono più persone, ugualmente preparate. Penso sia il caso di vederlo personalmente.»
Cazzo. Non ci avevo pensato.
Atelweyld deve notare la mia faccia, perché il suo sorrisetto si accentua, fino a scoprire appena i canini.
Santissimi i Quattro.
«Mi sono informato su di lei, tenente.» La pacatezza con cui cambia argomento non mi aiuta a calmarmi. Sembra un felino che studia la sua preda. «Prima della sua classe nell’addestramento con la spada, cinque casi risolti nel primo mese di praticantato. Una dei sottufficiali più giovani del suo Tempio, dico bene?»
Annuisco. Detti da lui, i miei risultati non sembrano trofei, ma trascurabili inezie.
Che senso può avere la vita di un mortale, per un vampiro?
«Mi ha colto una nota di merito del suo istruttore, il maestro Drake. Pare che volesse affidarle la tutela della formazione al combattimento con la spada delle reclute, ma che lei abbia rifiutato per continuare il lavoro sul campo, nonostante la paga e il titolo di Maestro d’armi che le avrebbero conferito.»
«Cosa vuol dire, signore?»
I suoi occhi ardenti si piantano sui miei.
Calma. Non ti farà del male.
Iustus santissimo, non ne sono poi così sicura.
«Vuol dire che, per adesso, credo sia degna di fiducia, tenente.» Il sorriso sparisce dal suo volto e riprende posto l’espressione scocciata che ha di solito. Guarda verso la finestra. «Raduni una squadra, partiremo tra mezz’ora.»
Cosa?
Un fiotto di soddisfazione mi sgorga nel petto.
«Si…sissignore. Grazie, signore»
«Può andare, tenente.»
Annuisco con la testa e mi sforzo di non sorridere. Mi volto di scatto e vado alla porta.
«Tenente.» La sua voce mi blocca come un laccio blocca la lepre. «Si ricordi di riempire il serbatoio all’altare del suo Tempio.»
Mi volto verso di lui e incrocio di nuovo il suo sguardo. Non sembra esserci preoccupazione in quelle pozze di fuoco, né nella sua voce, ma le parole che dice sono tutt’altro che rassicuranti.
«Potrebbe averne bisogno.»

Racconto di Luca Vitali.