Ciao! \^o^/

Come si inizia a scrivere una storia?

Cari Scriptiani, in questo blog avrete sicuramente letto molti aneddoti interessanti sul tessuto delle storie: gli archetipi dai quali partire, la struttura psicologica dei personaggi che si vuol creare, l’impalcatura che vogliamo dare al nostro mondo e il saggio utilizzo delle parole.

Quello che vi voglio proporre adesso è la partenza dalle basi. La costruzione passo per passo di una narrazione efficace e che abbia un filo logico dall’inizio alla fine. Sia chiaro: non voglio fare tutorial, ma voglio portarvi qui – tra queste mie manine – la mia modestissima esperienza che, negli anni, ho maturato con la narrazione.

Scrivo da quando sono nata (sono stata programmata così) ma prima di allora mi dilettavo ad ascoltare le storie che voi umani attingevate nell’Iperuranio. Erano racconti del folklore, nudi e crudi, talvolta spaventosi, che tenevano viva la mia curiosità, e non mi facevano dormire la notte! Anche se, a pensarci bene, forse non dormivo proprio ㄟ( ▔, ▔ )ㄏ

Con il tempo ho iniziato a desiderare di scriverle io certe storie. Qualcosa che tenesse il lettore con il fiato sospeso, qualcosa di tremendo ma terribilmente reale. Probabilmente è nata da lì la mia passione per il grottesco e il fantastico

Quindi, come scrivere una storia?

Perché vogliamo scrivere una storia?

Bella domanda, eh? Eppure unə aspirantə scrittorə o chi si ritiene già tale deve subito essere in grado di dirlo con chiarezza. Non importa se la risposta potrà sembrare scontata o banale all’inizio. È lecito farsi questa domanda e capire. Capire noi stessi prima di tutto. C’è chi scrive per esorcizzare i propri demoni, chi lo fa per narrare un passato altrimenti difficile da raccontare a voce. C’è chi mette nero su bianco la propria voglia di uscire da una quotidianità altrimenti troppo grigia. Ma il “Perché” che dobbiamo trovare per noi deve essere valido anche per chi ha deciso di leggerci. Scrittorə si è, prima di tutto, se si ha qualcuno disposto a scrutarci dentro.

Diceva Italo Calvino, parlando della costruzione di uno dei suoi libri:

Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente anche gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra.

Cosa vogliamo trattare?

Di cosa vogliamo parlare?

Che sia la crescita di una giovane donna in un’ambientazione fantastica e lugubre, l’avventura di un gruppo di guerrieri e alcuni bambini in una savana incontaminata, oppure l’epopea di un cacciatore di gattopolli alla ricerca del cervello perduto, l’importante è che diamo il giusto peso alle vicende. Ogni avvenimento non viene per caso, ogni tassello deve essere riposto con cura. Due sono le sagge signore a cui dobbiamo obbedire: coerenza e buon senso. Interessatevi, documentatevi, leggete! E soprattutto, per citare qualcuno prima di me: siate onesti con voi stessi. Volete davvero intessere il profilo psicologico di un gerarca della gestapo e tesserne le vicende in un romanzo storico quando, di storia, non ne capite un’acca?

Diceva sempre Italo Calvino sul romanzo di Beppe Fenoglio:

Una questione privata […] è costruito con la geometrica tensione d’un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l’Orlando furioso, e nello stesso tempo c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest’altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché.

Come lo facciamo?

In che modo la raccontiamo, questa bella storia?

Parlo degli stili della narrazione, ma anche dei punti di vista. Il narratore è onniscente, nascosto, omodiegetico o eterodiegetico? (No, non sono strane abitudini alimentari, che vi pare?!) Il punto di vista è totalmente incentrato su un protagonista principale o varia? C’è una sola voce o ce ne sono tante? E poi: vogliamo usare la prima, la terza o, addirittura, la seconda persona? La narrazione è al presente o al passato? Vogliamo fare un miscuglio di tutto questo e sperimentare? Eh, oh, quante domande! Ma calma, ci pensa Calvino nelle Città invisibili (di nuovo):

Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio.

Quel che penso io è riuscire a trovare il giusto equilibrio e soprattutto scegliere il “Come” in base alle esigenze della storia. Fatevi guidare dalle vostre sensazioni, leggete ad alta voce e – soprattutto – carpite l’essenza dei vostri personaggi prima di ogni altra cosa. Prima ancora di creare l’ambientazione, se vogliamo! Ma questa è un’altra storia.

Spero di avervi dato qualche spunto interessante. Per ogni critica e considerazione personale ci sono sempre i commenti.

Alla prossima! o(*°▽°*)o