Ciao! \^o^/
Sai davvero come usare la virgola?
Nel mio articolo precedente ho parlato di come utilizzare la punteggiatura nei dialoghi. Mi sono però resa conto che è difficile trattare questo argomento senza dare un’infarinatura sulla punteggiatura in generale.
Lo so bene che tutti noi abbiamo imparato le regole ortografiche a scuola, ma c’è un abisso tra l’averle imparate (eravate così bravi con i temini, sì? Mannaggia!) e il saperle adattare correttamente in un testo di narrativa. Siamo davvero sicuri che quel punto vada proprio lì? Siamo assolutamente certi che quelle virgole là nel testo siano messe al posto giusto? E il punto e virgola? Come e quando si usa? Come e quando si usano i puntini di sospensione? Quando e in che maniera utilizzare alcuni segni paragrafematici?
Eh, beh… sono così confusa anch’io!
Ma niente panico: ho la soluzione! Qui di seguito (e in altri e tanti articoli) ci faremo un bel ripassone, cosicché alla nostra cara maestra, quando la reincontreremo, le diremo felici: “Ehi, ciao, ricordo ancora tutto!”
La Punteggiatura
Partiamo dalle cose semplici. Cos’è la punteggiatura? È un complesso di segni convenzionali che servono a organizzare la successione delle parole e delle frasi in un testo, a riprodurre gli effetti sonori del parlato e a indicare eventuali pause nel discorso.
La punteggiatura ci aiuta a comprendere il significato di un messaggio:
“Vado a mangiare Franco.” È enormemente diverso da: “Vado a mangiare, Franco.”
E anche a capire lo stato d’animo di chi lo ha scritto!
“Lì, in mezzo a esplosioni violentissime, nel gelo, tra i fumi che bruciavano le narici e l’odore violento dello zolfo, qualcosa violò la struttura organica di suo fratello, esercitò su di lui una pressione così intensa che ne spezzò i contorni, e la materia si espanse come un magma mostrandole di che cosa era veramente fatto. Ogni secondo di quella notte di festa le fece orrore, ebbe l’impressione che come Rino si muoveva, come spandeva intorno se stesso, ogni margine cadeva e anche lei, i suoi margini, diventavano sempre più molli e cedevoli. Faticò a mantenere il controllo, ma ci riuscì, poco a niente della sua angoscia si manifestò all’esterno.”
(Elena Ferrante; “L’amica Geniale”).
Cosa ci descrive questa scrittura concitata, questo uso spasmodico di virgole e punti, questo continuo rimando e spezzarsi? È una descrizione frenetica, quasi confusa degli avvenimenti, del tutto proiettata alle allegorie. Ci sentiamo ansiosi anche noi come Elena e Lila, non è vero?
Invece leggiamo un po’ qua:
“L’Unitá Materna emise un sospiro simile a un ultimo risucchio di vento quando si chiude una finestra. Poi si zittì. Dietro la schiena di Yuki il metallo bianco luccicante si curvava in un avvallamento in neoprene color glicine che ricordava la forma di un nido. Yuki incastrò il proprio corpo all’interno, le gambe strette tra le gambe e gli occhi chiusi. Ci entrava perfettamente.”
(Viola di Grado; “Bambini di ferro”).
Notiamo uno schema cadenzato e più descrittivo, l’autrice riesce a rappresentare perfettamente l’unità di accudimento materno e la pace che la bambina ne trae entrandoci.
Da questi due brani possiamo capire che l’utilizzo della punteggiatura non risponde in modo necessario all’ubbidienza di regole rigide e immutabili. Si può sfruttare la punteggiatura a proprio vantaggio per raggiungere vari scopi comunicativi. Tuttavia si conviene che esistono tre diverse forme di punteggiatura: logica, stilistica e ritmica; ed è quindi bene attenersi a un certo numero di norme elementari.
Ricordiamo: ignorarle deliberatamente non è sinonimo di velleità artistica o non convenzionalità!
La Virgola
È uno dei segni più usati. In latino virgula, -ae: piccola verga o bastoncino. È infatti una sottile linea ricurva posta in basso. Sta a indicare una pausa di breve durata.
Nella trattatistica grammaticale greca e tardolatina alla punteggiatura era attribuito il compito di segnare le pause, l’intonazione e indicare le partizioni dei testi. La disiunctio, poiché separava le unità del discorso, venne grossomodo paragonata alla virgola.
Con i manoscritti medievali e l’introduzione della scrittura a caratteri minuscoli vediamo la prima apparizione della virgola, ma nella forma di un apice sovrastante un punto. Dobbiamo aspettare la fine del Duecento, con i maestri bolognesi dell’ars dictandi, per vedere la virgola così come si presenta adesso.
Quando è necessaria la virgola?
- Nei dialoghi e per interpellare qualcuno: serve a isolare un nome proprio o un nome comune.
Es.:
“Marco, cosa stai facendo?”
“Guarda, Luca, un gabbiano!”
- Per demarcare un inciso, isolando un’apposizione, un complemento o una frase.
Es.:
“Sarai un ottimo avvocato, da grande, devi però metterti a studiare.”
“E poi, a maggior ragione, siamo già usciti da questa situazione.”
“Sono riuscito a completare, spero senza fare pasticci, la verifica di geografia.”
- Nelle frasi coordinate, quando non utilizziamo la congiunzione e.
Es.:
“Andai a dar da mangiare alle galline nel pollaio. Aprii la porta, avanzai, mi guardai intorno.”
Se le coordinate sono più di due, possiamo introdurre l’ultima mediante la congiunzione e, al posto della virgola.
“Andai a dar da mangiare alle galline nel pollaio. Aprii la porta, avanzai, mi guardai intorno. Una di quelle bestiole mi venne incontro zompettando, mi osservò allampanata e cominciò a beccare per terra.”
- Negli elenchi e nelle descrizioni. L’ultimo elemento va preceduto dalla congiunzione e.
Es.:
“Nel frigorifero ci sono latte, uova, cetrioli andati a male, un vasetto di yogurt e una strana muffa viola.”
- Per separare una proposizione principale da una subordinata introdotta dalle congiunzioni poiché, giacché, visto che, mentre, quando, se, anche se, benché, sebbene, per quanto.
Es.:
“Passammo dal retro, poiché la porta principale era chiusa.”
“Dobbiamo andare a letto presto, visto che domani prenderemo l’aereo.”
- Per separare una proposizione da un elemento introdotto dalle congiunzioni ma, però, tuttavia, anzi.
Es.:
“Mi piacerebbe andare al parco domani, ma devo lavorare.”
“È certo, però devo spiegarti una cosa, anzi ti aspetto dietro l’angolo.”
Attenzione però: la virgola non si usa quando la congiunzione ma è seguita da un nome o un aggettivo.
Es.:
“Non portare lo zaino ma l’astuccio.”
“È una persona timida ma simpatica.”
- Nelle subordinate relative con funzione esplicativa.
Es.:
“I fichi, che hai mangiato, erano marci.” Ovvero: tutti i fichi lì presenti erano marci.
Al contrario di: “I fichi che hai mangiato erano marci.” Ovvero: solo i fichi che hai mangiato erano marci!
Quando non è necessaria la virgola?
- Tra il soggetto e il predicato.
Es.:
“Maria scrive” e non: “Maria, scrive”.
- Tra il soggetto e il complemento oggetto.
Es.:
“Prendi la saponetta” e non: “Prendi, la saponetta”.
- Tra una frase principale e una subordinata oggettiva, soggettiva, interrogativa.
Es.:
“Credo che il giallo ti doni” e non: “Credo, che il giallo ti doni”.
“Mi chiedo quale sia il mio scopo” e non: “Mi chiedo, quale sia il mio scopo”.
- Davanti a o, né, sia:
“O mi dai la borsa o mi dai la vita” e non: “O mi dai la borsa, o mi dai la vita”.
Tutto qui?
Sì e no.
È difficile, a volte, usare la virgola, sia per un novello scrittore sia per un autore navigato. Con le pause di lettura, tuttavia, si mantiene l’integrità logica con la quale questo segno è stato creato. È quindi sempre valido il mio solito consiglio: leggete, leggete, leggete!
Al prossimo articolo, e alla prossima storia!
Articolo interessate, fa sempre bene ripassare.