Uno sputo colpì la grossa croce rovesciata sul grigio muro della cappella. «Questa sarà la volta buona», sussurrò tra sé e sé Crocifissa, strofinandoci contro un panno ingiallito con maniacale ardore. «Lo sarà di certo. Mio marito è uno che mantiene le promesse», sorrise e si morse il labbro. Strisciò un dito lungo il legno levigato e lo analizzò. «Neanche un granello di polvere. Sarà tutto perfetto!», ridacchiò soddisfatta e girò in punta di piedi come una ballerina. Gettò lo straccio sull’altare accanto agli attrezzi sistemati in fila con ossessiva simmetria e sgambettò con allegria dall’altro lato, dove sedette aggraziata a un tavolino da toeletta. «Possente Re, mio ineffabile salvatore, dominatore della terra», recitò abbottonandosi il colletto della camicetta bianca. Afferrò il pettine e lo strinse tanto forte da conficcarsi le unghie nel palmo della mano. «Incrollabile è la mia fede, inesauribile è il desiderio di tornare tra le tue braccia», le setole di cinghiale attraversarono rapide una lunga ciocca di capelli neri già pettinata alla perfezione. «Eterna è la mia devozione», sorrise allo specchio e contemplò fiera la sua figura cerea. «Lode, gloria e onore a te. Sempre e per sempre!».

I vecchi cardini del portone cigolarono, annunciandole il ritorno del suo servitore.

«Oh! Non pensavo tornassi così in fretta», scattò in piedi battendo le mani e gli andò incontro. «Te l’avevo detto che avresti trovato qualcuno. Avere fiducia nel nostro glorioso Signore porta grandi ricompense, non trovi?».

La bestia antropomorfa si sporse da sotto l’architrave e grugnì. Alla fiamma delle candele, il suo occhio rosso e tondo scintillò come un rubino. La pupilla orizzontale e nera guizzò verso il basso per puntare la sua preda: un uomo di mezza età che fu spinto dentro con prepotenza. Lo sventurato avanzò agitando le braccia come un goffo tacchino nel tentativo di riacquistare l’equilibrio, ma fallì e rovinò sul pavimento. Riuscì a tirarsi su con un’imbarazzante capovolta e il suo sguardo terrorizzato incontrò quello divertito di Crocifissa.

«¡Ayúdame, por favor!», le corse incontro.

«Ti avevo detto di essere delicato», rimproverò lei con le mani sui fianchi. «L’avrò ripetuto un milione di volte. Voglio che me li porti qui illesi!».

L’abominio rispose con uno sbuffo di dissenso ed entrò chiudendo il portone alle sue spalle.

L’uomo inciampò, cadde in ginocchio e si aggrappò alla lunga gonna della ragazza. «¡Hay un demonio!», urlò con gli occhi gonfi. «¡Un demonio!».

La ragazza gli accarezzò i capelli con dolcezza. «No, no. Non fare così. Sei qui per un bene superiore. Dovresti esserne grato. Hai l’occasione di dare un senso alla tua superflua esistenza».

Il viso dell’uomo era contratto in una smorfia di terrore. «¡Tenemos que alejarnos de aquí!».

«Purtroppo non parlo la tua lingua, quindi dovrai darmi un po’ di tempo, se vuoi che io comprenda quel che dici», gli afferrò una mano ancora stretta attorno alla grigia stoffa della gonna. «Adesso però ho bisogno che tu stia tranquillo. Andrà tutto bene. Sei arrivato fin qua giù per un buon motivo», alzò un braccio e gli fece segno di seguirla. «Vieni, da questa parte».

«No, no, no. Escúchame», oppose resistenza. «¡Ese monstruo nos va a matar!».

Lei gli sorrise e rinnovò l’invito. «Cammina, prima che m’arrabbi».

Lo straniero deglutì. Si guardò attorno con diffidenza, alla ricerca di una possibile via di fuga. Le finestre erano tutte chiuse da ante di legno esterne e non c’era nessuna porta, oltre all’ingresso sorvegliato dal demone. Non aveva altra scelta che seguirla. Crocifissa lo fece sedere su una panca, accanto a un’incisione sul pavimento raffigurante un grande rettangolo contornato da inquietanti rune. Al centro, vi era disegnato un grosso calice e poco più sopra un serpente intrecciato che si mordeva la coda. Tra i due era stata scavata una cavità rettangolare, in cui tanti sottili canali confluivano collegando il tutto.

«Spero che il mio cucciolo non ti abbia maltrattato troppo», la ragazza prese a passeggiare avanti e indietro. «Sai, da queste parti è raro trovare gente, quindi non ha mai nulla da cacciare. Tutti questi anni di malnutrizione l’hanno reso impaziente e irascibile, oltre che lento».

L’abominio brontolò tanto forte da far tremare l’uomo.

«Una volta ho provato ad allevare umani con l’idea di creare una fonte sicura di cibo per entrambi, ma nonostante li forzassi regolarmente all’accoppiamento, non sono riuscita a farli riprodurre. Quando ho capito che non avrebbe funzionato li abbiamo divorati, ma erano diventati così secchi e raggrinziti che non ho voluto mai più rischiare di rovinare un pasto per altri esperimenti».

«No te entiendo. ¿Quién eres tú?», lo straniero si strusciò le mani sul viso e gli occhi si riempirono di lacrime. «¿Qué quieren ustedes dos?».

Crocifissa si arrestò e si fece seria. «Non devi interrompermi», lo guardò con sdegno. «Sei irritante. Ti avrei già reciso le corde vocali, se ti avessi trovato in diversa occasione».

«Déjame ir», si alzò di scatto, ma Crocifissa lo spinse subito giù per le spalle e lo rimise a sedere.

«Shhh!!!», fece con l’indice alzato davanti alle labbra. «Devi stare zitto e fermo», ordinò con rabbia.

«Por favor, por favor, ¡déjame ir!».

Un ceffone risuonò nella cappella. L’uomo singhiozzò e si massaggiò la guancia con occhi sbarrati.

Crocifissa inspirò a fondo. «Dicevo, purtroppo debbo reprimere la voglia di strapparti la lingua e fartela ingoiare».

Lo straniero, con sguardo perso, farfugliò parole incomprensibili.

La ragazza tornò a passeggiargli davanti.

«Non montarti la testa, però. Non sei mica il primo che decido d’inchiodare ancora tutto intero. Non sei speciale. È questo giorno a esserlo», tornò a ridere e saltellò dietro l’altare. «Vedi, è il nostro anniversario e lui ha promesso che ci saremmo riuniti», alzò gli occhi al cielo e sospirò nostalgica. «Per questo sei qui!».

L’uomo alzò lo sguardo verso la ragazza e notò la croce rovesciata alle sue spalle. «¡Padre nuestro, que estás en el cielo!», chiuse gli occhi e strinse la testa tra le spalle, con le mani giunte.

«Cosa?», si sorprese lei. «Preghi di già?».

«Santificado sea tu nombre», continuò il fedele.

«Un vero cristiano praticante!», si portò una mano al petto. «Non se ne vedeva uno da così tanto tempo».

«Venga a nosotros tu reino».

«Te lo dicevo che sarebbe stato tutto perfetto», si rivolse al demone, ancora di guardia all’entrata.

«Hágase tu voluntad».

«Scommetto che il mio amore lo ha selezionato e scelto con cura, personalmente!».

«Asì en la tierra como en el cielo».

«Zitto!», strillò d’improvviso.

Il cristiano sussultò, ma restò a occhi chiusi, in preghiera. «Danos hoy nuestro pan de cada día».

«Devi, stare, zitto!», scandì furiosa andandogli contro con fare minaccioso.

La creatura mugolò infastidita.

«Perdona nuestras ofensas, como también nosotros perd-», una mano gli strinse la gola mozzandogli il fiato.

«Quello lì ti ha abbandonato e tu ancora lo preghi?», lo strattonò con foga Crocifissa. «Viscido leccapiedi!».

L’uomo si aggrappò alle mani strette attorno al suo collo e provò con tutte le forze ad allentarle. Nonostante avesse braccia allenate, riuscì solo a trarne qualche mezzo respiro.

«Magog! La croce», comandò la ragazza e la creatura si attivò per esaudire la richiesta. Avanzò con passi lenti, ma lunghi. Crocifissa costrinse lo straniero a stendersi sulla panca e lo immobilizzò salendogli addosso con le ginocchia. «Non vuoi proprio stare fermo, eh?», gli parlò faccia a faccia.

A metà strada, il demone sbuffò dal naso come un toro irrequieto. L’uomo lo scorse con la coda dell’occhio e terrorizzato, si dimenò con maggior vigore nel vano tentativo di liberarsi.

«Speravo collaborassi, ma poco importa», i due si fissarono per un lungo istante. «Farai comunque tutto ciò che voglio».

L’uomo strinse i denti per lo sforzo. Una ragazza così minuta non poteva pesare tanto da costringerlo in quella posizione, eppure non riusciva a tirarsi su. Più ci provava, più si sentiva come schiacciato da un macigno. Dietro l’altare, la creatura sollevò l’ingombrante croce di legno senza alcuna fatica. Crocifissa rise e tornò in piedi. L’uomo, col respiro affannoso, si mise a sedere e osservò con profonda angoscia la bestia portare la croce in spalla.

«Perché piangi?», Crocifissa si piegò in avanti e gli passò il pollice sulle guance per asciugargli le lacrime. «Dovresti gioire, invece. Il tuo contributo permetterà il ricongiungimento di un glorioso marito con la sua dedita moglie. È così romantico! Credevo ti piacesse parecchio il romanticismo, Miguel».

L’uomo sgranò gli occhi. «¿Cómo puede?», balbettò. «¿Cómo sabe mi nombre?».

Il mostro posizionò le braccia della croce su dei piccoli ceppi di legno e ne incastrò la base nella conca scavata nel pavimento al centro delle incisioni. Miguel si alzò e si tolse le scarpe. «¿Qué?», esclamò stupito. La ragazza andò a prendere delle corde sull’altare, mentre l’uomo si slacciava la cintura e tirava giù i pantaloni.

«Attendo questo momento da due secoli!», schiamazzò Crocifissa con un ampio sorriso davanti al suo ospite che si sfilava la maglietta.

«¿Qué estoy haciendo?», si chiese Miguel, ormai nudo. Inabile a controllare il suo corpo, andò a stendersi sulla croce. «¡Mierda, mierda! ¿Por qué no me puedo parar?», incespicò confuso mentre allargava le braccia.

«Prendi», Crocifissa porse le corde alla sua creatura. «Legalo bene, ma attento a non stringere troppo».

La creatura si curvò sullo straniero. I capelli, lunghi e disordinati, gli caddero davanti al volto, rendendolo ancora più grottesco.

«¿Qué están haciendo?», balbettò Miguel sgomento. Voleva scappare, ma il suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi, e non poté far altro che stare a guardare il mostro che lo legava alla croce. Digrignò i denti per i polsi graffiati dalle ruvide corde.

Le lunghe dita del Magog, bianche e affusolate, lavorarono con lentezza e precisione. Tirò i lembi per assicurarsi nodi ben stretti e passò agli arti inferiori. Sistemò i piedi, uno sopra l’altro, sul suppedaneo e li legò all’altezza delle caviglie.

«Che bravo Magog!», si complimentò Crocifissa. «Quando ti ci metti d’impegno riesci a rendermi così orgogliosa!».

La bestia emise un suono animalesco, come la risata di una iena, ma molto più profonda.

«Sono felice anch’io», rispose la ragazza, come se la creatura avesse formulato una frase di senso compiuto. «Presto potrò di nuovo baciare il mio grande amore! Riesci a immaginarlo, dopo tutto questo tempo?».

«Te ruego, por favor. Desatame», farfugliò Miguel piangendo.

Crocifissa alzò gli occhi al cielo. «Che lagna», si voltò e andò a prendere il martello con i tre enormi chiodi che aveva sistemato sull’altare per l’occasione. «Avanti, Magog. Procedi», gli consegnò l’attrezzo. «Sii delicato e preciso, però», gli raccomandò. «Questa croce è molto più fragile dei tronchi che usiamo di solito. Devi inchiodare, non spaccare tutto».

«¡Dios mío, Dios mío!», l’uomo intuì la sua sorte.

Il Magog gli puntò un chiodo sul palmo della mano sinistra.

«Madre María ayudame», tornò a pregare.

Crocifissa scoppiò a ridere. «Chi staresti pregando adesso? Il tuo Dio è troppo pigro per badare a te e così chiedi aiuto a sua madre? Che patetico!».

«Madre María, hoy necesito de tu abrazo protector».

«Forse avresti dovuto chiedere la protezione di qualcun altro», gli sussurrò a un orecchio. «Ma ormai è troppo tardi».

La creatura prese la mira per colpire e diede la rincorsa al martello.

«Madre, Madre Marí-¡AAAAAA!», il ferro trapassò la mano, da parte a parte, rompendo il metacarpo centrale. Miguel urlò a squarciagola e girò gli occhi al contrario per il dolore. La bestia colpì ancora, finché il chiodo non spuntò dalla parte opposta della croce. L’emorragia era contenuta dal gambo che attraversava l’intera ferita, ma del sangue schizzò a ogni martellata, tingendo la mano di rosso e scurendo le corde.

«¡Cúrame este dolor, Madre María!», scuoteva la testa come un forsennato. Il resto del corpo restò del tutto immobile.

«Fa dannatamente male, non è vero?», ridacchiò Crocifissa compiaciuta. «Credimi, io lo so bene».

«¿Por qué me estás haciendo esto?», pianse Miguel. «¿Vas a matarme?», avvertì le dita ruvide del mostro passare lungo l’altro braccio. Una punta ferrosa fece pressione al centro della sua mano destra. «¡No, te lo suplico, detente!», implorò. Vide le grosse braccia bianche della bestia alzare di nuovo il martello. «¡DETENTEEE!».

«DETENTEEE!», lo schernì Crocifissa. Il mostro martellò e prese a ragliare assieme alle urla della sua preda e agli sghignazzi della sua padrona.

«¡Te suplico, te suplico!», biascicò Miguel singhiozzando «¡Deja de torturarme!».

«Basta con queste lamentele! Abbiamo un lavoro da portare al termine qui. Non vedi che ne manca ancora uno?», canzonò la ragazza facendogli ciondolare il chiodo davanti. «Stringi i denti», gli suggerì a un orecchio. «Questo qui farà ancora più male!».

«¡Dios mío!», riprese a cantilenare disperato il pover’uomo. «¡Me arrepiento de todo corazón, de todos mis pecados!».

«Oh», la ragazza schioccò le dita. «La riconosco questa. È l’atto di dolore, vero?», consegnò l’ultimo chiodo alla sua bestia.

«¡Y los aborrezco!», continuò lui, ignorandola. «¡Porque al pecar, no sólo merezco las penas establecidas por ti justamente!».

Il demone si chinò e cominciò a prendere le misure tastando il piede della vittima.

«Sai, molto tempo fa era la mia preghiera preferita. Ero convinta di dover chiedere continuamente perdono, come se la mia stessa esistenza fosse una colpa. Che sciocca!».

«¡Sino principalmente porque te ofendí!», le parlò sopra Miguel.

Crocifissa si accigliò. «Tua madre si è impegnata tanto per insegnarti le buone maniere. Sai bene che è maleducazione interrompere una donna».

«A ti sumo bien y digno de amor por encima de todas las cosas», le lacrime gli si mischiarono alla saliva inzuppandogli il pizzetto.

«Le arrechi molti dispiaceri con le tue spregevoli condotte».

«¡Por eso propongo firmemente no pecar más!».

«Molto male, Miguel!», lo rimproverò. «Molto male!».

Il Magog colpì e il chiodo penetrò nelle ossa fino al calcagno. Lo straniero gridò a pieni polmoni, ma il suono della sua voce si abbassò drasticamente, tanto da sembrare una tromba rotta. Aveva la laringe in fiamme.

«Sai, quel tizio che venerate», commentò la ragazza, «che a differenza di come lo rappresentate è stato flagellato e inchiodato per i polsi, si lamentava molto meno di te».

Grosse gocce scarlatte caddero sul pavimento. Il chiodo continuò la sua corsa, facendosi strada tra tendini e ossa nell’altro piede. Miguel ululò lamenti strazianti, mentre una pozza di sangue si allargava sul pavimento. I colpi non cessarono finché i piedi non furono saldamente fissati alla croce. La creatura grugnì e si voltò a guardare la sua padrona che lo lodò con una carezza sulla testa.

«Bravo Magog. Puoi metterlo in piedi adesso».

Le sottili labbra della bestia si schiusero in un abominevole sorriso che rivelò una lunga fila di denti gialli e aguzzi. Sollevò la croce e la conficcò nella cavità al centro del disegno sul pavimento. Il crocifisso s’incastrò alla perfezione e rimase in piedi, dritto come un palo.

Il peso del corpo di Miguel fece aprire i buchi nelle mani. Rivoli di sangue gli fluirono lungo le braccia e il corpo nudo. L’uomo rantolò e si accorse di aver riacquistato il controllo dei muscoli. Fece forza sulle gambe per alleggerire il peso dalle estremità superiori, ma questo aumentò la pressione sui piedi, che presero a sanguinare come un rubinetto rotto.

«¡En adelante!», trovò la forza per proseguire la preghiera nonostante l’affanno e il dolore lancinante, «¡y huir de toda ocasión de pecado!». Faticò per prendere ancora un altro po’ di fiato: «Amén», concluse. Esausto, lasciò cadere la testa in avanti. Le palpebre socchiuse tremavano. Un denso filo di saliva bianca pendeva dalle labbra.

«Ehi, ehi!», la ragazza gli schioccò le dita davanti al viso. «Non ti è ancora permesso morire», tornò di nuovo sull’altare. «Non abbiamo mica finito!», si abbassò sotto il tavolo e raccolse un largo pugnale e una corona fatta di rovi spinati intrecciati. «Adesso arriva la mia parte preferita!».

Miguel reagì con un lungo lamento.

«A te l’onore», affidò la corona al Magog, che con cautela sistemò sul capo dello sventurato. Spinse adagio, lacerandogli il cuoio capelluto fino al cranio. La ragazza contemplò le spine conficcate nella fronte. Il sangue che striava il viso le ricordò il calice di vino di suo padre; anche i lamenti agonizzanti le fecero pensare a lui, e sorrise.

«Ecco, così assomigli proprio a quello nella tua Chiesa», sghignazzò. «Cosa ne pensi, Miguel? Ti piace?».

Lo stranierò sputò un grumo di muco e sangue.

«Manca solo una cosa», gli mostrò il pugnale avvicinandosi. Si alzò sulle punte dei piedi e gli affondò la lama nel costato. Miguel ansimò agonizzante. Il sangue colò come vernice da una lattina bucata.

«Dios mío, Dios mío», farneticò, «¿por qué me has dejado?».

Crocifissa scoppiò in una grossa risata. «Questa proprio non me l’aspettavo, Miguel! Ti sei davvero calato nel personaggio, eh?!».

Il Magog sbuffò, come spazientito.

«Hai ragione», tornò seria. Osservò le incisioni sul pavimento e schioccò la lingua. «È il momento di scriverci il titulus». Contemplò il corpo crocifisso e gli si accostò leccandosi le labbra. Gli fece scorrere la punta del pugnale sull’inguine graffiandolo fino all’ombelico. «Sai Miguel, ho sbirciato nella tua memoria e ho scoperto quanto sei ignobile», spostò il freddo acciaio al lato sinistro del basso ventre. Piccole gocce scarlatte si affacciarono sul sentiero percorso dall’arma. Affondò la lama nella carne di un paio di centimetri e tracciò una linea verticale che sanguinò copiosa. Il dolore fece lamentare Miguel come una vecchia radio guasta. «Ho scoperto quello che fai ogni venerdì sera dopo il lavoro, alle spalle di tua moglie e tuo figlio che ti aspettano a casa per cena», disegnò altre linee, che si unirono a formare un carattere alfabetico. L’uomo capì che la tortura non era ancora giunta al termine e disperato ululò verso il cielo con voce rotta. Crocifissa ammirò la punta del pugnale e sorrise a una goccia rossa che precipitò ai suoi piedi. Alzò l’asta dell’organo genitale di Miguel con la parte piatta dell’arma. «Ho visto come ti diverti a infilarlo negli orifizi di altre donne», ritirò la lama di scatto che lasciò un taglio sghembo sotto il cilindro e tornò a scarabocchiargli sul ventre. «E ho visto come ti lavi la coscienza ogni domenica pregando quell’inetto assieme alla tua famiglia». Il petto dell’uomo vibrava al ritmo del suo affanno e la testa era scossa da violenti spasmi. «Ho anche ammirato gli sforzi che fai per sentirti in colpa alla distribuzione dell’eucarestia. Ma sei stato un povero illuso a credere che te la saresti cavata così, Miguel», ammirò il sangue mescolarsi e scorrere abbondante lungo le gambe villose dell’uomo. «Non riceverai alcun perdono recitando l’atto di dolore prima di esalare l’ultimo respiro. La misericordia del Dio che celebri è tutta una menzogna. Un traditore resterà sempre un traditore. Da adesso in poi, però, non potrai più nasconderlo a nessuno!».

Concluse la sua dedica e la sottolineò con un lungo taglio che vomitò sangue come un’adolescente alla sua prima sbronza con i superalcolici.

«Marido infiel», lesse la ragazza. Lo straniero, afflitto da continui spasmi d’agonia, rivolse uno sguardo colpevole alla ragazza e guaì.

«Sei d’accordo, Miguel? Suppongo di sì. Me le hai suggerite tu stesso queste parole».

L’uomo mugugnò un ultimo e lungo lamento. Poggiò il mento sullo sterno e perse conoscenza.

«Se un giorno dovessi incontrare tua moglie, spero di poter trovare in lei almeno un episodio in cui vieni ricambiato con la stessa moneta».

Indietreggiò per osservare l’intera scena e si commosse dalla felicità. «Perfetto», si girò con occhi lucidi verso il Magog. «È tutto perfetto!».

Il mostro alzò l’indice destro per indicarle i sottili canali che solcavano il disegno sul pavimento. Il fluido accumulato ai piedi della croce si era riversato nelle incisioni, irrorandole come vasi sanguigni. Lei annuì e si spostò sulla raffigurazione del calice.

«Mio supremo Signore!», gridò aprendo le braccia. «Legittimo governatore del creato, di tutti i suoi mondi e i suoi abitanti, dei vizi e delle virtù. Patrono di scienza e comprensione», d’improvviso le fiamme delle candele si gonfiarono, illuminando la stanza come fosse giorno. Un profumo di carne bruciata arrivò alle narici della ragazza, che inspirò a pieni polmoni. «Con immensa umiltà e ammirazione, invoco gli infiniti poteri del tuo regno. Con assoluto rispetto supplico udienza», lunghe spaccature serpeggiarono nel pavimento. Crocifissa sogghignò e le seguì con lo sguardo fino ai piedi della croce, dove s’incrociarono e formarono una piccola voragine. Delle dita raggrinzite strisciarono fuori dal pavimento e presero a grattarne le assi con furia. «Mi concedo per servire al cospetto del tuo trono, come serva e come moglie, già fedele e devota in questo mondo e nell’altro». Le mostruosità riuscirono a farsi strada squarciando il legno ed emersero rivelando tre paia di braccia attraversate da venature di magma. «Offro in dono quest’anima adultera, deviata e battezzata nel nome del falso Dio, l’usurpatore», gli arti si ritirarono per fare spazio a un’enorme lingua che leccò via una striscia di sangue alla base della croce. «Affinché possa essere dannata e castigata fino alla redenzione». Una bocca disumana si attaccò a ventosa sotto le assi lacerate del pavimento e prese a succhiare il sangue di Miguel. L’odore di carne arrostita mutò in fetido puzzo di putrefazione. L’emoglobina dell’uomo fu attratta dall’ingorda creatura come metallo da un supermagnete. Una cascata vermiglia gli sgorgò dallo squarcio sul basso ventre. Crocifissa sorrise mordendosi le labbra e, affascinata, ammirò la mostruosità sotterranea nutrirsi del succo dello straniero. «Supplico la concessione di varcare i cancelli del tuo regno», riprese il rito mentre la gola infernale trangugiava gli ultimi sorsi del sacrificio umano. «Per riconciliarmi a te, mio eterno amore», avanzò a passo lento. «Per onorarti, rispettarti e ubbidirti. Per concedere al tuo volere il mio corpo e la mia esistenza», s’inginocchiò sul bordo della voragine e ci scrutò dentro. «Sempre e per sempre», allungò un braccio verso l’immondo essere nel sottosuolo. Un tremendo gorgoglio echeggiò nell’aria e la gigantesca bocca si spostò di lato. Tre mani spinsero via la ragazza con violenza.

«No!», urlò incredula. Il Magog le cinse la vita con un braccio impedendole di cadere. «Perché?!». Si affacciò alla voragine con il cuore in gola. Sarebbe stata disposta a tuffarsi di testa nelle fauci ingorde che aveva appena nutrito, se fosse stato necessario, ma trovò soltanto una profonda buca vuota nel terreno.

«Nooo!», si graffiò la faccia. «Non può essere!». Il Magog la guardò affranto.

«Dove ho sbagliato, dove ho sbagliato?!», cominciò a ripetere con disperazione girando in tondo. Un senso di angoscia le contorse le budella. «Il rito ha funzionato! Il cancelliere si è mostrato! Il sacrificio è stato accettato! E allora perché?!», ribaltò una panca, in preda all’ira. Urlò ancora, si scagliò contro il suo schiavo menando pugni e gli si aggrappò alla tunica piangendo a dirotto. «Perché mi hanno respinta?! Dimmelo, ti supplico!».

Il Magog la guardò rattristito e soffiò rumoroso dalle narici.

«Forse non mi ama più», cadde in ginocchio e singhiozzò forte. «Me l’aveva promesso! Non può essersene dimenticato!».

La bestia scosse la testa, grugnì e le accarezzò il viso con delicatezza.

«E allora perché?! Ho fatto tutto quello che potevo. Ho aspettato tutti questi anni senza mai vacillare, soffrendo per la sua lontananza ogni istante. Quindi perché?! Non riesco a capirlo. Spiegami il perché!».

La creatura la fissò negli occhi, sbuffò, le prese la mano sinistra e le indicò l’anulare.

«Lo so, ma non possiamo recuperarla finché siamo bloccati qui».

Il demone si rialzò e si batté due volte il petto con un pugno.

«Hai ragione, Magog», provò a darsi un contegno. «Non debbo mai dubitare di lui, perché è uno che mantiene sempre le promesse».

 

Opera di Giuseppe Pace