La missione che era stata affidata a Donald Dyrant dal re era semplice: eliminare la minaccia che si aggirava nella foresta.
I dettagli, secondo il parere di Donald, erano fuorvianti, tant’è che fecero cadere in errore tutta la sua compagnia.
“Signore, potrebbe trattarsi di uno spettro.” Aveva detto in modo insicuro Biarn, un ragazzo che gli era stato affidato da un contadino che non poteva permettersi di pagare i servigi di un mercenario. L’aveva visto crescere e, per tutti gli dèi, eccome se era cresciuto. Biarn aveva quindici anni ma questo non gli impediva di guardare dall’alto al basso tutti i suoi compagni più grandi d’età. Eppure, quando parlava a Donald, si incurvava, aveva timore. Era buffo come un omone del genere facesse di tutto per non sembrare più alto del suo capo. Donald, d’altro canto, non si faceva scrupoli a punire il ragazzo per la sua eccessiva gentilezza: ‘Vieni qui, brutto bastardo che non sei altro!’, ‘Non siamo a corte, deficiente d’un contadino’ e ‘Che gli dei ti crepino, reietto!’ Donald voleva bene a Biarn.
“E se fosse un semplice cinghiale?” Propose Ted, decisamente il più pavido del gruppo.
“Ha ridotto una famiglia a pezzi. Un cinghiale non è capace di tale barbarie.” La frase pronunciata dal muso adunco che portava il nome di Worn provocò un pallido lampore negli occhi di Donald.
“Worn è, come sempre, quello più sveglio di tutti. Analizziamo i dati: una famiglia smembrata, una bambina sopravvissuta e dei testimoni che avrebbero giurato di aver visto dei movimenti trasparenti. Ted, stupido testone, non è un cinghiale, e lo sai bene.” Il mercenario fece una lunga pausa, assorto dai suoi pensieri. La combriccola era abituata ai discorsi spezzati di Donald e, infatti, nessuno si azzardò a interrompere l’inesorabile silenzio che si era venuto a creare nell’accampamento.
“Quanto a te, Biarn, non esistono gli spettri, brutto zuccone.” Arrivava sempre, in un punto incerto delle conversazioni con Donald, un momento in cui tutti gli altri erano insicuri sul da farsi. ‘Avrà finito ciò che stava dicendo?’, era un pensiero fisso nelle menti dei suoi sottoposti.
Ma Donald non aveva finito. Stava ripensando all’udienza di due giorni fa con il re.
Il re, che aveva deciso di fare le cose in grande stile, aveva fatto preparare dai suoi sudditi un banchetto con ogni genere di leccornia proveniente da Farayen, l’Isola Libera. La Compagnia Dyrant aveva goduto di tutto quello splendore, mangiando e bevendo senza ritegno e rubando anche qualche scorta per quando non sarebbero più stati seduti su una sedia di vimini con filamenti dorati.
Il re, appena entrato e annunciato da un uomo grasso come il ‘Difensore della Libertà’, si diresse, senza perdere un attimo, dall’uomo robusto con i capelli corvini.
“Sua maestà, si è preso troppe brighe. Lei ci vizia!” Aveva esclamato Donald.
“Oh, suvvia, Corvo. Cosa ti saresti aspettato?” Una parola che non sentiva da tempo. A Ovest non lo conosceva nessuno come Corvo e, più che mai, in quel momento, si era sentito veramente a casa. Era molto legato a questo nome.
“Niente di meno, sire. Niente di meno.”
La conversazione andò per le lunghe, i due parlarono per ore dell’avventura che la Compagnia affrontò e di come tutti non volessero più tornare in quelle lande raccapriccianti. Il Corvo parlò di come erano stati trattati come dei pezzenti dagli altri re e di come, ovviamente, erano stati accolti in maniera perfetta ai porti giganteschi della ridente Isola Libera. Donald non pensava una minima parola di ciò che aveva detto ma ben sapeva che, con l’aiuto di qualche lusinga, il re avrebbe notevolmente aumentato la paga per qualsiasi lavoro offerto ai mercenari. Poteva dire a sua maestà di come si viveva meglio senza la giustizia privata che regnava sovrana nella città, di come le tangenti venivano malviste agli occhi di tutti e di come l’omertà era una nemica nelle terre a ovest. Non lo fece.
Quando venne invitato nelle stanze reali per parlare del lavoro, Donald fece conoscenza di mastro Vern, scoprendo che si trattava della stessa persona che aveva introdotto il re poco prima. Gli venne riferito della famiglia uccisa – madre, padre e figlio – e di come misteriosamente la bambina si fosse salvata. Non era la prima volta che succedeva un fatto del genere: negli ultimi sei mesi si erano verificati incidenti molto simili in tutte le zone di contorno alla foresta. Ma questa volta una bambina era sopravvissuta.
Il Corvo pensò subito a dei briganti o, nelle peggiori delle ipotesi, a dei cannibali. Si era rifiutato sin dal primo momento di pensare a stupidaggini come gli spettri o lupi mannari ma, quando gli fecero vedere la bambina, un brivido lungo la schiena lo avvolse. Era seduta con la schiena dritta, gli occhi spalancati e la bava sulle labbra. Inutile fu il tentativo di conversare con lei, sembrava immersa in un altro mondo. Bisognava trovare i colpevoli e, sotto la promessa di una grande somma in denaro, il caso fu affidato alla Compagnia Dyrant.

“Credete nei fantasmi, gente?” Riemerse improvvisamente Donald tanto da far saltare, e non poco, Ted. “Credete nei mostri? Credete alle storie che vi raccontavano da piccoli, brutti fannulloni?”
“Di solito gli spettri che abitano nelle paludi, nelle foreste e nella zone nebbiose sono abituati a cibarsi di umani. Sono dei non morti, signore. Si muovono nelle ombre e infestano gli incubi.” Quando Biarn finì, tutta la compagnia rise di gusto, deridendo il mal capitato. Tutti tranne Ted, ovviamente.
Bastò un cenno pigro con la mano per far smettere tutti quegli schiamazzi. Donald guardava con aria di sfida il povero ragazzo, il quale rispondeva guardando gli aghi di pino caduti ai suoi piedi.
“E queste cose chi te le ha dette, Biarn?”
“Uno stregone venne a trovarci nel nostro villaggio, molto tempo fa. Raccontò a tutti di come determinati spettri possano vivere in terreni simili a questo. Tutto qui.”
“Se tu fossi uno spettro in cerca di cibo, lasceresti mai perdere una preda semplice come una bambina?”
“Signore, la mia è solo una supposizione. Non…”
“E tale rimarrà. Per gli dei, cosa sono costretto a sentire.”
Worn, che era stato in silenzio per tutto il tempo, si inserì nel discorso. “Cosa pensa che sia, capo?”
“Non uno spettro, di sicuro.” Un’altra pausa. “Biarn. Worn. Ted. Voi verrete con me. Partiremo all’alba. Ora riposate.”

L’alba si presentò umida e torrida. Le armature della compagnia non erano fatte per quelle temperature. Solo due ore più tardi, il piccolo gruppo sarebbe stato messo a dura prova dal calore dell’isola. S’incontrarono al falò, tutti assonnati, si salutarono e si misero subito in marcia. Donald e Worn aprivano la fila, Biarn e Ted al seguito. Il Corvo aveva deciso di dirigersi da subito nel luogo del massacro. Non fu difficile arrivarci, le indicazioni che gli erano state date erano molto semplici: “Seguite la strada maestra a nord delle mura, troverete una casupola imbrattata di sangue.”
La casupola si presentò ai loro occhi come nei peggiori incubi di Ted: chiazze di sangue, resti di corpo rimasti incollati al legno e un puzzo da far svenire perfino un maiale.
“Cosa vedi, Worn?” Donald metteva sempre alla prova i suoi sottoposti.
“Capo, è stato un massacro coi fiocchi. Lì… e lì sono stati attaccati i primi membri della famiglia. Suppongo siano i resti del padre e del figlio. La madre è stata sventrata sulla soglia della porta. Questo spiega lo schizzo di sangue che si vede proprio in quel punto, proprio all’altezza del ventre.” Se a Donald piacevano le sue domande e le sue prove, Worn le adorava. Non avrebbe mai sprecato un’occasione per mettersi in luce.
Ted, preso da un conato di vomito, si girò di spalle, cercando di darlo a vedere il meno possibile. Biarn cercò di rincuorarlo con una pacca sulla spalla.
“Coraggio, Ted.”
“Compagni, a raccolta. Biarn, voglio che tu rimanga di guardia. Ted, le tue doti ci servono proprio in questo momento. Vedi di fare qualsiasi cosa tu faccia ogni volta. Worn, andremo nei boschi, seguiremo tracce e tante altre stronzate del genere.” Tutti risposero al comando in maniera affermativa e si dispersero.

“Ted, te la senti?”
“Credo di sì. Quanto è vera la storia dello spettro, Biarn?”
“Se il capo dice che sono sciocchezze, allora lo sono.”
“Stronzate. Anche io ero una sciocchezza per Donald.” A Ted piaceva pensare che il Corvo fosse più spaventato di lui all’idea di vedere uno spettro. Forse era così.
Come un condannato alla forca, Ted si addentrò nella casa. Aveva un aspetto molto accogliente, tutto era al suo posto. Ma c’era qualcosa di strano. Qualcosa stava martellando i sensi del pavido guerriero. Riusciva a percepirne l’aura, riusciva a capire che qualcosa, all’interno di quella normalissima abitazione, era in attesa di attaccare. Si sedette su una sedia, fece un gran respiro e chiuse gli occhi.

Il Corvo stava maledicendo gli dèi per il caldo eccessivo che era costretto a sopportare. La foresta non permetteva ai raggi solari di passare, eppure tutta quell’umidità stava iniziando a turbare i due soldati.
Avevano camminato per tanto tempo ma non avevano coperto molto terreno. Non c’era niente di sospetto lì intorno e la sensazione di star perdendo tempo si faceva via via più limpida nell’aria.
“Capo, e se i banditi fossero scappati? Potrebbero trovarsi nel Daxoss in questo momento.”
“Lo so, Worn.”
Questo non aveva affatto rincuorato il Corvo: la Compagnia aveva bisogno di denaro e sarebbe dovuta andare a sbattersi nei meandri più bui del continente pur di ottenere quei soldi. In quel preciso istante, i banditi potevano essere ovunque. L’unica ancora di salvezza risiedeva proprio in Ted, il solo in grado di scoprire una pista affidabile.
Donald si fermava spesso a pensare a quanto fosse stato stupido in passato. Se avesse dato retta a Ted fin da subito, molto probabilmente ora non avrebbe dovuto lavorare più. Lui era in grado di vedere situazioni, di intercettare le storie che alcuni oggetti avevano da raccontare. Era difficile ricordare il preciso istante in cui Donald decise di lasciare tutte le indagini nelle mani di Ted, ma da allora ci fu un picco di casi risolti che portarono la Compagnia a espandersi sempre di più. Ma il lungo viaggio di ritorno dal Sud aveva prosciugato quasi tutti i risparmi e ora erano costretti ad accettare anche questi lavori.
Lunghi silenzi e passi brevi. Ben presto i due si ritrovarono affaticati. Decisero di prendere una pausa, rinfrescandosi nei pressi di un laghetto. Si tolsero le armature e, rimanendo a petto nudo, si godettero il debole venticello che travolgeva il busto sudato. Intorno a loro risiedeva un silenzio surreale, interrotto sporadicamente da rametti che cadevano e il fruscio delle foglie.

Biarn si guardava intorno. Nel corso di quel paio d’ore passate a scrutare ogni singolo anfratto della zona, aveva studiato la geografia del posto e, ora, nel suo raggio visivo, la foresta non poteva custodire segreti.
Ted odiava essere interrotto, ma Biarn moriva dalla voglia di chiedergli se avesse scoperto qualcosa. Biarn non aveva sentito nessun tipo di suono dal momento in cui Ted aveva deciso di entrare, ma questo non lo turbò. Era abituato al modo d’agire del suo amico.
Ogni tanto, specie nei momenti più noiosi, aveva nostalgia di casa. Provava rancore per il padre, il quale l’aveva abbandonato a un forestiero qualsiasi. Non gli era andata male, questo è sicuro, ma pensava continuamente a come la sua vita fosse cambiata drasticamente. Nel corso di quei cinque anni passati con Donald, aveva visitato un sacco di luoghi, conoscendone i culti e le tradizioni, aveva fatto conoscenza di molte persone, il più delle volte con cariche importanti, ed era anche stato innamorato per la prima volta nella sua vita.
Eppure la mente lo costringeva a ripensare a quanto gli mancassero i suoi amici del piccolo villaggio in cui viveva. Quando non lavoravano nei campi, passavano le giornate sdraiati sugli immensi prati, guardando le nuvole, cercando di indovinare in quale forma si fossero trasformate.
“Vi giuro, era un drago!”
“Non era un drago. Era un gatto.”
“Io ho visto un trono.”
Ricordava come se fosse ieri il giorno più brutto della sua vita.
“Vi prego signore, non posso pagarvi… Al vostro ritorno troverete tutto con gli interessi!” Piangeva. Non aveva mai visto il padre piangere. I mercenari non ne volevano sapere. In qualche modo, volevano essere pagati.
“Dei ratti! Dei fottuti ratti del cazzo! Doveva pensarci prima di assoldarci. Non c’è nessun ladro che si aggira di notte!”
“Siate clementi, ve ne prego…”
“La clemenza non porta denaro. Tantomeno la grazia.”
Suo padre era disperato. Guardandosi intorno, cercava qualcosa da dare ai soldati. La faccia era quella di una persona che si rende conto di non avere niente. Niente. A meno che…
“Prendete mio figlio!” Le parole gli erano uscite di bocca troppo veloci. Aveva realizzato solo dopo ciò che aveva detto. I mercenari accettarono. Pianse per mesi, con i sensi di colpa che lo assalivano. Poi si tolse la vita in un freddo giorno d’inverno. Ma tutto questo Biarn non poteva saperlo.
Alla realtà lo riportò un tonfo sordo che proveniva dalla casa. E, poi, un urlo disumano.

“Capo, hai sentito qualcosa?” Quell’urlo aveva percorso molta strada e, facendosi largo tra gli alberi, era arrivato fin da loro. Ma non fecero in tempo neanche ad alzarsi che Worn scoppiò in lacrime.
“Cosa diavolo stai facendo, rammollito?”
Era una scena pietosa. Worn si dimenava, tirava pugni sulle ruvide cortecce degli alberi, urlava e piangeva. Farneticava parole che non avevano senso, frasi sconclusionate, di una lingua che il Corvo non aveva mai sentito.
Donald, per la prima volta in vita sua, era stato colto alla sprovvista. Sguainò la spada e si guardò intorno. Davanti, di dietro. A sinistra, a destra. Sembrava che stesse danzando freneticamente.
“Worn! Worn, per tutti gli dei!” Worn era incontrollabile. La voce rauca per gli urli, il fiato spezzato per le lacrime, le nocche insanguinate per i pugni. Il Corvo si scaraventò sul corpo, cercando in tutti i modi di fermare ciò che stava succedendo. Lo bloccò da dietro, le sue braccia avvolte lungo tutto il torace dell’amico. Si sentì tirato da qualcuno, fu costretto a lasciare la presa e venne scaraventato contro un albero. Il sudore si era trasformato in una patina gelida che scorreva lungo il corpo. Non c’era nessuno dietro di lui. Chi era stato?
“Vi avverto, brutte canaglie. Se vi trovo, vi squarto!” Ma la foresta rispondeva esclusivamente con gli urli di Worn.
Il Corvo si alzò, pensando che con un colpo ben assestato alla testa, avrebbe potuto porre fine alle sofferenze di Worn. Ma Worn non c’era più. Adesso il Corvo aveva paura.
“Preparatevi.” Un sibilo ancestrale avvolse Donald. Quel suono non aveva origine, lo poteva sentire provenire da tutte le direzioni.
Poi, il buio, nero come la pece.

Biarn aveva ritrovato Ted steso a terra, privo di sensi. Aveva cercato di rianimare il compagno, ma non era servito a niente. Il soldato giaceva immobile sul pavimento. Biarn notò che dalla mano destra di Ted, chiusa e tesa, fuoriusciva del fumo, il quale puzzava di bruciato. Con molta cautela, riuscì a sbloccare la presa, notando un medaglione scintillante apparire dalla mano. L’oggetto era incandescente e aveva provocato escoriazioni su tutto il palmo del soldato. Biarn allontanò l’oggetto con un calcio, spingendolo il più lontano possibile dal corpo inerme.
Ted spalancò gli occhi e si alzò, guardandosi vistosamente intorno.
“Ted, come stai, amico?”
E in un istante, Biarn si ritrovò steso a terra, con le mani di Ted sul collo, lottando tra la vita e la morte.

Racconto di Simone Paggetti.