Hitriel, pallida e sofferente, era affacciata al davanzale della finestra. La brezza mattutina gonfiava dietro di lei l’abito candido e leggero come una nuvola, rendendola ancora più eterea.
— Volevate vedermi, moglie mia?
L’elfa si girò verso Atalos con uno scatto che, per un solo istante, tradì tutta la sua ira, prima di inchinarsi con grazia e di rivolgere a terra lo sguardo color fiordaliso.
— Sì — rispose, con un filo di voce — Volevo comunicarvi che ho appreso la vostra decisione e che farò in modo di tornare al più presto a Yeglea, tra la mia gente. Tuttavia, mi domando per quale motivo sono scaduta così tanto nella vostra stima e che cosa ho mai fatto per meritare una simile umiliazione.
Atalos aggrottò leggermente la fronte e si avvicinò a lei, prendendole la mano.
— Non capisco a cosa vi stiate riferendo, dolce Hitriel.
L’elfa parlò di nuovo a testa bassa, mentre le sue guance si coloravano di rosso.
— Non è forse vero che la vostra amante si fermerà qui, a Kerkinta?
Al contrario della moglie, Atalos sbiancò e la sua voce tremò leggermente.
— Non c’è niente di sconveniente in questo. Non a Kerkinta, per lo meno. In fondo, sapete bene che il nostro matrimonio non ha nulla a che vedere con l’amore.
Hitriel si ritrovò suo malgrado ad annuire. Il regno di Yeglea cercava un’alleanza che lo proteggesse dagli invasori imperiali: Adelweiss era in procinto di cadere e i prossimi sarebbero stati loro.
— Certo, lo so — disse, in un sussurro che suonò quasi come un sibilo — Vostra madre non fa che ricordarmelo.
Non mi sembra nemmeno di essermi sposata.
Mi sembra di essere stata venduta.
—Non siate turbata. Vi prometto che non dovrete mai più incontrare Odena, né preoccuparvi della sua esistenza — cercò di spiegare il giovane in tono premuroso — Solamente i figli nati dal nostro matrimonio saranno miei eredi legittimi e, in quanto moglie di un Arconte, non vi mancherà mai nulla.
Ancora non sei Arconte, marito.
Atalos la attirò a sé e le sollevò il mento affilato con le dita, per guardarla negli occhi. Hitriel sentì crescere il disgusto per quel ragazzo a cui lei, Principessa di Yeglea, si vedeva costretta a obbedire.
Non è nemmeno di sangue reale.
Il rancore le serrò il petto come una morsa: verso suo padre, verso i suoi fratelli, verso quello sposo che la trattava come un ninnolo di lusso e che le preferiva una sgualdrina di Uprea, senza nemmeno prendersi la briga di nasconderlo.
Sempre sfiorandole il mento con le dita, Atalos la baciò sulle labbra. Hitriel lo trovò goffo e forzato, ma non lo respinse. Soltanto una lacrima ardente luccicò tra le sue ciglia dorate e le scese lungo il viso, lenta lenta.
Hitriel aveva ricevuto un invito da Glauca, cara amica di sua suocera. Aveva accettato di recarsi a casa di quella donna grassa e petulante a malincuore, soltanto per non incorrere nelle ire di Thetis. I lettighieri e le due guardie del corpo che Glauca stessa le aveva inviato la scortarono fino al vestibolo dell’abitazione. Un servitore la guidò poi su per una scalinata e lungo un corridoio, fino al cuore del palazzo. Prima di ammetterla nella stanza della padrona, il servo la annunciò:
— La Principessa Hitriel di Yeglea, figlia di Re Eltaor.
Hitriel raddrizzò le spalle bianche e superbe e fece il suo ingresso dalla porta. Accanto a un davanzale che dava sul cortile interno, illuminata dalla luce pomeridiana, era seduta una mezzelfa dalla pelle diafana, con sfavillanti capelli color argento raccolti in una elaborata acconciatura. I suoi tratti erano addolciti dal sangue umano; le orecchie appuntite e gli occhi d’oro la rendevano aliena e bella nello stesso tempo.
— Chi siete? — domandò Hitriel, indietreggiando di un passo — Dov’è Glauca?
— Glauca è al piano di sotto. Le ho chiesto la gentilezza di lasciarmi un po’ da sola con voi.
La mezzosangue aveva una voce dolcissima e vellutata. Sorrise calorosamente a Hitriel e proseguì:
— Credo che abbiate già sentito parlare di me: il mio nome è Elinor e sono la Signora della Cabala di Baruk.
Hitriel sgranò gli occhi.
Vogliono uccidermi!
— Non abbiate paura, Principessa — la anticipò la Signora — Nessuno è qui per nuocere a voi. Anzi, vi ho ricevuta di persona perché vi considero un’ospite di riguardo.
Indicò con un gesto della mano la sedia vuota accanto alla propria. Il silenzio era così forte che Hitriel poteva sentire il proprio cuore rullare come un tamburo.
— Sedetevi, mia cara, e lasciate che vi spieghi.
Quindi Glauca…?
Hitriel raggiunse la sedia e si mise seduta sul bordo, cercando di controllare il tremito che la scuoteva da capo a piedi. La Signora si allungò verso il davanzale per raggiungere una coppia di calici. Portò il proprio bicchiere alle labbra e inghiottì un sorso di liquido color rubino.
— Vi prego, assaggiate il vino. Viene da Odessus.
— N-non ho sete — mormorò Hitriel, con una vocina sottile.
La mezzelfa non insistette oltre, ma un sorriso lievemente beffardo sfiorò le sue labbra.
— Non vi ho invitata qui per avvelenarvi. Se lo avessi voluto, lo avrei fatto più comodamente in altri luoghi. Intendo solo discutere del vostro giovane e sciocco marito — le disse, senza smettere di sorriderle — Oh, a proposito, le mie congratulazioni! Glauca mi ha riferito che le nozze sono state di rara magnificenza.
Hitriel deglutì, sforzandosi di recuperare la calma. Non si aspettava che la Signora della Cabala fosse una creatura minuta e delicata, con quella voce di velluto. All’improvviso si ricordò di una frase che suo fratello Gydion le ripeteva sempre quando la portava a caccia con sé, nei boschi di Yeglea: la pericolosità di un animale non si deve misurare mai dal suo aspetto, né dalla sua taglia.
Devo fare attenzione.
Elinor giocherellava con la magnifica collana di rubino che portava appesa al collo.
— Glauca mi ha parlato anche della concubina del vostro Atalos, la suonatrice di liuto: una fanciulla molto bella, a suo dire.
Il viso di Hitriel si imporporò e il suo sangue fiero prese il sopravvento:
— Vedo che sapete molte cose — sibilò, dimenticandosi per un istante del proprio timore — Beh, sappiate anche che non sono disposta a tollerare che mio marito preferisca una cortigiana di Uprea. Farò in modo di ritornare al mio regno entro la prossima luna.
— Davvero? Questa notizia mi rattrista. Kerkinta è davvero uno splendido luogo in cui vivere, una volta che ci si è abituati alle sue usanze. Questa volta devo essere stata male informata: siete stata descritta come saggia e scaltra.
Lo sguardo Hitriel incontrò quello dell’altra: Elinor sembrava sinceramente delusa.
— Credetemi, Signora, non sono una sciocca ma…
— Perché allora volete tornare a Yeglea? E che cosa farete, mi domando, una volta là? — la interruppe la mezzosangue, ostentando preoccupazione — Non siete che la figlia minore e vi siete ormai concessa a un umano. Inoltre, se spezzerete l’alleanza costruita da vostro padre, avrete condannato il regno. Non ci sarà più posto per voi, a Corte.
Ha ragione. Non posso andarmene.
Hitriel sentì che cocenti lacrime di rabbia facevano capolino agli angoli dei suoi occhi, ma trattenne orgogliosamente il pianto.
— A voi che cosa importa?
— Io vi propongo l’alternativa di unirvi alla Cabala. Vostro marito è molto giovane e non è affatto risoluto come il padre: sarebbe facile, per voi, influenzare le sue scelte a nostro favore. Fate questo per me e verrete ricompensata.
— Ricompensata? Come?
— Con un potere che non potreste ottenere in altro modo, né qui, né tanto meno a Yeglea, figlia minore.
Hitriel non impiegò nemmeno un attimo per rispondere:
— Ditemi che cosa volete che faccia.
Quella sera Atalos aveva preteso di cenare da solo con la novella sposa. Hitriel, per quanto fosse silenziosa e meditabonda, aveva inghiottito il cibo con insolito appetito.
— Siete molto taciturna. Si tratta della nostra discussione di oggi?
La giovane elfa sollevò gli occhi artici dal proprio piatto.
— Tutt’altro — rispose, serenamente — Non avrei dovuto cedere al mio orgoglio. Dopotutto avete detto la verità: il nostro matrimonio è solamente il contratto con cui mio padre ha comprato il vostro aiuto.
Atalos la fissò con espressione leggermente rattristata, come se provasse pietà per lei. Allungò una mano verso la sua e gliela strinse.
— È così — ammise il giovane — E mia madre ha comprato la benedizione della vostra razza: una vita più lunga e più sana per i miei eredi. Siete troppo intelligente per non saperlo già.
Hitriel annuì con un lieve movimento della testolina dorata. Dopo un brevissimo silenzio, il ragazzo riprese la parola. La sua voce era sommessa e dolce.
Crede di dovermi consolare.
— Spero che un giorno potremo diventare buoni amici e provare reciproco affetto, Hitriel. So che sarete un’ottima moglie e consigliera, avveduta come siete. Molti matrimoni sereni sono cominciati con premesse peggiori delle nostre.
Sul viso di Hitriel lampeggiò un sorriso da demone.
— Sono certa che sarà così, mio caro Atalos.
–
Racconto di Melissa Negri.
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