BEREDITH

Mi metto dietro il bancone e tolgo dal secchio tutti i boccali appena lavati. M’asciugo le mani sul grembiule e sistemo per bene i capelli. Quanto la odio, ’sta dannata cuffia.
Sul palchetto si è piazzata Eliza, l’unica arn di tutta Urwine che non sa mica cantare. Metto qualche spicciolo in mano a Jeremy. «Jerry caro, fammi un favore. Dai questi a Eliza e tirala giù da lì, prima che mi caschino le orecchie.»
Santi Dèi, non mi va proprio di ascoltare quella vecchia cagna.
Mechidol mi passa davanti con un mucchio di stoviglie e mi indica la porta. «Guarda un po’ chi c’è…»
Sono tornati gli asgaillani, gli amici di Eren Mezzelfo. La Foresta non se li è presi, a quanto pare.
Per primo entra Slag. Dietro di lui ci sono l’omone alto, il ragazzino e la donna con la testa rasata. C’è anche un tizio che non ho mai visto prima. C’ha addosso un bel farsetto di velluto e fuma la pipa. Niente Eren e Alec, però.
Vesirius mi fa un fischio. Aspetta che qualcuno ci porti da bere. La Serpe se ne sta seduta accanto a lui, tutta impettita, come se c’avesse un attizzatoio su per il culo.
«Va’ a occuparti di Ves», dico a Mechi «A loro ci penso io.»
Sorrido a Slag e ci faccio segno di avvicinarsi. Non lo conosco bene, ma è un buon cliente, di quelli che non creano problemi. Non è mai ubriaco, si fa gli affari suoi e soprattutto paga in corone imperiali.
«Ben tornati, signori.»
La ragazza dice qualcosa in asgàilen all’uomo col farsetto. Slag si tocca quella brutta cicatrice sul mento. «Buonasera, Beredith. Hai delle stanze libere?»
«Sì, ce n’abbiamo giusto un paio.»
L’omone si guarda intorno. È fottutamente alto, Santi Dèi, alto almeno quanto Derghat.
«Anche più di un paio, mi sembra.» Scopre una fila di denti bianchi e luccicanti. C’ha un sorriso che mette i brividi e l’aria di uno che è meglio starci alla larga.
«È che hanno ammazzato il Bardo, tre giorni fa.» ci dico.
Slag fa una specie di grugnito. A lui del Bardo non ci frega un cazzo. Vuole solo mangiare e dormire.
Sfilo due chiavi dalla cintura e ce le metto in mano. «Le vostre camere.»
«Grazie.»
«Mangiate qualcosa?»
«No», dice l’uomo col farsetto «Ma beviamo volentieri.»
Non è niente male, per essere un asgàilen, e c’ha un buon odore di tabacco. Scommetto pure che i bottoni della giubba sono d’argento. Non mi dispiacerebbe scaldarci il letto, a quello. Mentre ci verso la birra mi piego un po’ in avanti per farci vedere bene le poppe.
Slag e il ragazzino vogliono una tazza di brodo. Al marmocchio ne do di più, perché sembra malaticcio.
«Allora, com’è stato il viaggio?»
Slag aspira il brodo dalla scodella. «Faticoso.»
Farsetto-di-velluto si passa una mano tra i capelli, ma i riccioli ci ricascano subito giù sulla fronte. Si toglie la pipa di bocca. «Aye, faticoso e inutile. È bello essere di nuovo a Urwine.»
L’uomo alto svuota il boccale in un attimo. «Io me ne vado a letto.» Lo sgabello cigola quando alza le chiappe.
«Sono stanca anch’io» dice la ragazza. Abbandona la birra e lo segue su per le scale.
Beh, buon divertimento.
Chissà che smania c’ha, quel suo omone. Quando crede che nessuno se ne accorge, se la mangia tutta quanta con gli occhi.
Mi giro verso Slag e alzo le sopracciglia. Lui scrolla le spalle.
È il momento giusto.
«Non ho visto Eren», ci dico «Dove s’è cacciato?»
«Si è fermato dal fabbro. Arriverà.»
«E Alec?»
Il ragazzino smette di bere e mi fissa con quegli occhioni lucidi. Slag fa una specie di ringhio. «Dovrei saperlo?»
«Diamine, sì.»
«Siamo usciti da Illhebron, l’ho pagato e se n’è andato. Non lo vedo da giorni.»
«Aye!» dice il ricciolino «A dire il vero, credevamo di incontrarlo qui.»
«Beh, qui non c’è. A casa ci è tornato soltanto uno dei suoi cani, la femmina. Sua moglie pensa che ci è successo qualcosa di brutto. Ieri mi ha tenuta sveglia tutta la notte, a forza di piangere.»
Slag posa la scodella e fa per rispondere. La porta si apre di colpo, con un dannato fracasso. Entrano Gale e quel somaro di Jeremy. Diamine, di sicuro il coglione lo è andato a chiamare. Gale cammina verso di noi come una furia. C’ha pure un coltello stretto in mano.
Il ragazzo per poco non rovescia tutto il brodo. Mi guarda di nuovo con la faccetta preoccupata e dice:
«Cazzocazzo.»

 

MOCCIOSO

Alla Barba Dorata c’è odore di fumo e cose buone da mangiare. Sono contento di essere qui. Ora possiamo stare al caldo e riposarci. La gamba ferita mi fa tanto male, più male del solito.
Tomm e Slag parlano del viaggio con la locandiera. Ho scoperto che si chiama Beredith. È simpatica e mi ha dato doppia razione di brodo.
Seduti appena dietro a Tomm ci sono un elfo vesterith e una gorgone. La gorgone ha in mano un ventaglio color verde e oro. Ogni tanto lo apre con un colpo secco e si sventola il collo. Il suo viso è nascosto da una maschera, così provo a immaginarlo. Scommetto che ha gli occhi gialli. Dev’essere molto bella e superba, perché non abbassa mai la testa. Non avevo mai visto una gorgone prima. Quando torneremo a Inverstorm potrò raccontarlo a Sua Eccellenza.
Squalo e Jack dicono che sono stanchi e che vanno a dormire. Salgono le scale in fretta. Jack sorride. I passi lunghi di Squalo la lasciano un po’ indietro.
«Non ho visto Eren», dice Beredith «Dove s’è cacciato?»
Slag rimette la tazza sul tavolo.
«Si è fermato dal fabbro. Arriverà.»
«E Alec?»
Non è tornato!
Il brodo mi va quasi per traverso. Anche Slag è sorpreso. «Dovrei saperlo?»
«Diamine, sì.»
«Siamo usciti da Illhebron, l’ho pagato e se n’è andato. Non lo vedo da giorni.»
Il cuore inizia a battermi forte.
Forse…? No, era vivo. Siamo usciti da Illhebron, come ha detto Slag.
«A casa ci è tornato soltanto uno dei suoi cani, la femmina. Sua moglie pensa che ci è successo qualcosa di brutto. Ieri mi ha tenuta sveglia tutta la notte, a forza di piangere.»
Ho riavuto i poteri. Non ha funzionato. Non possono averlo preso.
La porta si apre di colpo. Entrano un arn e un ragazzo coi capelli rossi. Il ragazzo viene verso di noi, quasi correndo. Ha un coltello in mano.
«Asgàilen bastardi», grida «Cosa gli avete fatto?»
Slag non alza neanche gli occhi dal tavolo. «Di che parli?»
«Di mio padre, di Erendhel! Dimmi dove sono!»
«Non lo so.»
Nella sala sono rimasti tutti in silenzio. Sento solo il ventaglio della gorgone, che continua a muoversi avanti e indietro.
«Santi Dèi, Gale!» dice Beredith «Metti giù il coltello…»
Il figlio di Alec è rosso per la rabbia. Non sembra molto più grande di me, forse ha quindici o sedici anni. «Guardami in faccia, vecchio, e dì la verità.»
Dietro di noi inizia a esserci un brusio agitato. Slag si alza di malavoglia.
«Accetterò le tue scuse, ragazzino, perché hai ancora il muso sporco di latte e perché rispetto Beredith», dice, con voce bassa e calma «Ma posa il coltello.»
«Vaffanculo.» dice Gale, e gli si lancia addosso.
Slag scansa la prima coltellata, gli blocca il polso a mezz’aria e lo scaraventa sul pavimento di faccia.
Alcuni gridano di sorpresa. Un uomo scoppia a ridere e spruzza dalla bocca una nebbiolina rossa di vino.
La porta si apre di nuovo. Grazie ai Quattro, sono Eren e Dood.
Gale si rialza aiutandosi con le mani. Ha il fiato corto e la fronte che sanguina. «Eren?»
Dood vola in cima al bancone e arruffa le piume. Eren si avvicina a Gale e lo abbraccia. Lui fa prima un singhiozzo, poi si mette a piangere. Il coltello gli cade per terra.
«M-mio padre… Non è tornato…»
Eren gli accarezza la testa.
«Non preoccuparti. Non preoccuparti, Gale. Ti aiuterò a trovarlo.»

 

TOMM IL GRIGIO

Oltrepasso l’insegna a forma di vaso, giro dietro l’angolo della bottega e imbocco le scaletta che porta al piano superiore.
Aye, la casa è questa.
Mi aggiusto il mantello sulla spalla e busso un paio di volte con le nocche sull’uscio. Dall’altra parte sento delle voci infantili. A giudicare dal rumore, lì dentro devono essere in un bel mucchio. La porta si apre quel poco che basta perché spunti il viso di una donna.
Forse è una figlia? Un’altra nipote? Johan non ce ne ha parlato.
Dietro di lei intravedo una bambina di tre, quattro anni che le sta aggrappata alla sottana. Ha grandi occhi scuri e capelli biondo cenere.
La donna mi osserva, guardinga. «Chi siete?»
È tanto se ha l’età di Jack, ma è già sfiorita. Ha un tono brusco, che contrasta con l’espressione bovina.
«Mi chiamo Barret. Sto cercando Messer Mansel, il vasaio.»
«Mansel è morto.»
Non ho neanche bisogno di fingermi dispiaciuto.
Cazzo. Non ci voleva.
«Morto? Quando?»
«Alla fine dell’estate», taglia corto lei «Mi dispiace.»
Fa per chiudermi fuori, ma infilo subito lo stivale tra lo stipite e l’uscio. «Aspetta.»
«Mio marito non vuole estranei in casa, quando non c’è.»
«Ti prego, sto cercando due bambini. Tu sei una madre, so che vorrai aiutarmi.»
Vedo qualcosa accendersi nei suoi occhi.
Li ha incontrati.
«Parli dei nipoti di Mansel?»
«Aye! Li conosci? Hyram e Lynton, gemelli, due gocce d’acqua. Sono spariti da Hessen un paio di settimane fa, dopo che è morta la loro zia.»
La donna aggrotta leggermente la fonte. Se non impietosita, sembra almeno curiosa.
«Il borgomastro del villaggio mi ha mandato a cercarli qui. Sai, per assicurarsi che stiano bene.»
Finalmente si sposta un po’ per farmi passare. Dall’interno mi arriva addosso un odore dolciastro di latte e polenta di castagne. Faccio un passo avanti e calpesto qualcosa di morbido.
È una vecchia bambola di stracci. Lottie ne aveva una come questa, malconcia d’amore. Ero stato io a comprarla per lei. La chiamava Juliet.
Non posso pensare a Juliet, però, non ora. È un ricordo doloroso da maneggiare, come un coccio tagliente.
Raccatto la bambola da terra e tendo il braccio verso la bambina. Lei la afferra in un lampo e torna a rifugiarsi dietro alla gonna di sua madre. Mi fa un sorriso timido.
La ragazza sospira, non sa come liberarsi di me. «Lynton è stato qui, un paio di settimane fa. Cercava suo nonno. Abbiamo dovuto dirgli che è morto.»
«Era solo?»
Lei annuisce e si sfiora le cicatrici rotonde che ha sullo zigomo e che assomigliano a due piccole lacrime. Forse ha avuto il vaiolo. «Sì, suo fratello non c’era. Chissà che fine ha fatto, povero piccolo.»
Soltanto ora noto gli altri due bambini, seduti accanto al focolare. Il più grande traccia dei segni con uno stecco sul pavimento sporco di cenere. Ogni tanto mi lanciano un’occhiata timorosa.
«Aye, capisco. E che ne è stato di lui?»
«Beh, lo abbiamo mandato via.»
«Via?»
«Abbiamo già tre figli nostri, che dovevamo fare?» guaisce, in tono di scuse «Lo abbiamo portato da Patel. È un sacerdote di Cordis, un sant’uomo: si starà prendendo cura di lui.»
«Credi che sia ancora al tempio?»
«Non lo so. Penso di sì.»
Prendo una corona dalla scarsella e gliela porgo. «Molto bene, allora, andrò a cercarlo là. Questa è per risarcirti del disturbo.»
La ragazza sgrana gli occhi. Quando sorride è quasi graziosa. Ha le fossette sulle guance, proprio come sua figlia.
«C’è qualcosa che non va, in quel bambino…» aggiunge, più cupa «Ha degli strani occhi.»
Non ne dubito.
«Aye, deve averne passate tante. Allora addio.»
Lei fa un cenno di saluto con la testa e chiude in fretta la porta.
«Addio.» trilla la bambina, dietro di me.
Fuori sta per piovere. Il cielo ha il colore grigiastro della latta macchiata.
Mentre ritorno alla locanda mi accendo la pipa. Aspiro una boccata, socchiudo le labbra e soffio fuori il fumo piano piano. Ho di nuovo in mente la vecchia Juliet.
Chissà se Lottie la conserva ancora.
In queste notti li ho sognati spesso, Charlotte più di tutti. Sogno di poterli stringere, ma si dissolvono tra le mie braccia, come spettri allo spuntare del sole.
«Restate con me.» ripeto ogni volta, ma non mi ascoltano.

 

SQUALO

Il Grigio indica il giaciglio di Jack. «Siediti, Lynton.»
Lui obbedisce, zitto come un topo. È piccolo per la sua età. Un mucchietto d’ossa e cenci sporchi.
Ai marmocchi puliti non serve la carità.
Quei sacerdoti sembravano felici di darci il bambino. Si sono bevuti tutte le stronzate che gli ha rifilato Tomm, o forse volevano liberarsene. Hanno già troppi bastardi da sfamare.
Lynton ci osserva uno per uno, con tanto d’occhi. Vedere Moccioso lo calma un po’. Prova anche a sorridergli, ma lui non lo guarda nemmeno. Se ne sta seduto in disparte a cantare a bocca chiusa.
«Allora, Lynton», inizia Slag «dicono che sei un ladruncolo.»
«N-no, io… ho preso solo dieci falci…»
«Parlavo di questa.» Slag sghignazza. Gli fa vedere la lanterna.
«N-on l’abbiamo rubata, l’abbiamo trovata.»
«A Illhebron, addosso a un cadavere. Non è così?»
Il bambino trema. Se Slag non la smette, finirà per pisciarsi addosso.
Jack gli appoggia una mano sulla spalla. «Coraggio, dicci com’è andata. Vogliamo quello che vuoi tu: trovare tuo fratello.»
«Io non volevo andare alla vecchia foresta, ma Hyram sì. Lui è molto coraggioso. C’erano delle cose brutte in mezzo agli alberi. Cose morte.»
Rivedo Jackie per terra, col petto squarciato e gli occhi sbarrati.
Ti prego, non morirai.
Ho un brivido.
«I-io non volevo prenderla, non volevo. È stato Hyram a portarla a casa.» squittisce Lynton.
Proprio un topolino.
Slag si strofina il mento. «Poi che è successo?»
«La lanterna s’è accesa da sola, senza il fuoco. È stato strano, ma volevamo giocare con le ombre.»
Moccioso smette di cantare e si gira verso di noi. Lynton intreccia le dita delle mani. «Così. Io ho fatto un coniglio e Hyram un falco.»
Moccioso prova a imitarlo, ma non ci riesce. Si ributta sul pagliericcio a pancia in sotto.
Tomm prende un cartoccio di tabacco dalla scarsella. «Aye! Va’ avanti, ragazzo.» Inizia a riempirsi la pipa.
«Poi le ombre si sono mosse e mi sono spaventato e la lanterna mi è caduta e zia Ella si è svegliata.» dice Lynton, tutto d’un fiato. «Mi ha dato uno schiaffo e ha battuto Hyram col bastone.»
Tomm accende la pipa e fa un lungo tiro. «Tua zia vi picchiava spesso?»
Lynton fa sì con la testa.
«Capisco…»
«Hyram si è arrabbiato e ha detto “Basta, Zia Ella!” e allora è arrivato il falco e l’ha buttata nel camino…»
Il bambino inizia a frignare. «E il fuoco l’ha bruciata e poi i m-mobili…e allora ho a-aperto la porta e mi sono m-messo a correre…» Singhiozza così forte che quasi non capisco che cazzo dice.
«Tu che ne pensi, maga? Sai di che si tratta?» chiede Slag a Jack.
Lei scrolla la testa. «Spiacente, ma no. Sua Eccellenza avrebbe dovuto informarci meglio.»
Slag le ringhia contro. Odia quando qualcuno critica Cardinale. Di solito, quel qualcuno è Jackie.
«Il falco», chiede Tomm «Lo hai più visto?»
«N-no, lui è andato… con Hyram, credo.»
«Lo troveremo.» gracchia Slag al Grigio «Sua Eccellenza avrà quello che vuole.»

 

JACK

Nella stanza si gela, il fuoco si è spento da un po’. Mi rigiro sul pagliericcio, voltandomi verso Squalo. La luce delle ultime braci gli illumina il viso. Ha gli occhi chiusi, la linea dura della bocca si è ammorbidita nel sonno.
«Markov… ?» sussurro.
In risposta ottengo solo un lieve russare. Sguscio fuori dalla coperta e mi avvicino.
Lui ha uno scatto. Si puntella sui gomiti, pronto a balzare in piedi. La destra è già sul coltello. «Sei tu.» Si rilassa, sorride.
Con la punta delle dita scivolo lungo la sua guancia e il collo, fino alla curva della spalla. Si stringe più che può contro la parete, facendomi posto accanto a sé. Mi sdraio e abbraccio il suo corpo grande e caldo. Le mie palpebre si fanno subito pesanti.
Quando apro gli occhi trovo gli altri già tutti in piedi. Il sole, fuori, non è ancora sorto.
Tomm si allaccia il farsetto, si getta sulle spalle il mantello con uno svolazzo. «Coraggio, ragazza, è quasi ora di andare.»
Squalo mi guarda dalla porta. «Ti aspettiamo di sotto.» Si stira, allungando le braccia. La camicia si tende sulle spalle larghe.
Mi lavo in fretta il viso e il collo con l’acqua del catino. I brividi mi corrono giù per la schiena.
Cazzo, è ghiacciata.
Raccolgo da terra il mio specchietto e me lo punto addosso. Presto dovrò accorciarmi i capelli. Infilo la giubba sopra la camicia, metto gli stivali, prendo la borsa da sotto il letto e corro giù per le scale.
Gli altri sono tutti accanto al bancone, con i mantelli addosso.
Slag sta pagando la locandiera. La nana ciarla, tutta contenta, di fronte al librone dei conti.
Moccioso gioca con uno dei suoi “tesori”, una vecchia moneta yaziriana che gli ha regalato Tomm. È ancora molto pallido e ha gli occhi cerchiati di un alone bluastro. «Stai bene?» gli chiedo, avvicinandomi.
Lui sfodera un’espressione combattiva e fa sì con la testa.
Bugiardo.
Il piccolo Lynton finisce di divorare un pezzo di carne salata e si lecca le dita con cura. Lo stomaco mi si torce dalla fame. «È troppo tardi per un piatto di uova?»
Slag guarda fuori dalla finestra. Annusa l’aria e lancia un’occhiata allarmata al cielo. «È in arrivo una tempesta. Meglio partire subito.»
Si gira verso Squalo. Lui fa un respiro profondo e annuisce. Appoggia una mano, pesante e gentile, sul mio braccio. «Fa’ buon viaggio, Jackie. Ci vediamo a Inverstorm.»
Mi sforzo di non guardarlo in viso. Rimango a fissare la sua zampaccia da attaccabrighe, con le nocche coperte da macchie e cicatrici. «Anche voi. Buona fortuna.»
Squalo si stringe nel mantello e esce dalla locanda, seguito da Slag. Si lasciano dietro una folata di aria temporalesca.
«Bene» sorride Tomm «Possiamo tornare a casa. Vedrai, Lynton, Asgàil ti piacerà.»

 

EGON

Liz stringe le labbra e raddrizza la schiena. Mi arriva sì e no al petto. «Io resto con te.»
«Questa volta no, Liz. Torna a Urwine, va’ da zia Agnes.»
«No, non ci vado. Se mi costringi scappo, cerco nostro padre. E non torno mai più.»
Sono stanco delle sue spacconate. «Mettiti dall’altra parte, allora, è più sicuro. Max e Folker ti proteggeranno. Hai il pugnale?»
Liz sbruffa, impaziente. In realtà ha l’aria compiaciuta.
Diamine, è solo una bambina. Non dovrebbe stare qui.
Prima che vada la copro col mantello. Sapere che non avrà freddo mi fa sentire meglio.
Raggiungo la mia posizione e mi metto accanto a Uri. I viandanti sono soltanto in due, un vecchio e un uomo sulla trentina. Padre e figlio, forse. Il giovane è alto e robusto e porta un coltello alla cintura, ma non sembra un soldato.
Ascolto l’eco dei passi e delle voci. Sono quasi arrivati dall’altra parte del ponte. Di colpo giovane si irrigidisce, si guarda intorno.
Ci ha sentiti.
«Chi va là?» grida il vecchio.
Apke e Balthus si scambiano un segnale di intesa. Max, Liz e Folker escono allo scoperto, le armi in pugno. Folker cammina verso l’estremità del ponte. Si ferma a pochi passi dai viandanti. «Da bravo, vecchio. Posate a terra monete, armi e provviste. Non vi uccideremo.»
L’uomo giovane lascia cadere a terra la borsa da viaggio, rovescia la testa all’indietro e si fa una lunga risata.
«Fanculo.» ringhia, e estrae il coltello.
Il vecchio fa uno scatto. Trafigge Max al ventre. Le budella escono fuori come stoppa da un fantoccio.
Cazzo! Che cazzo è?
Le sue braccia… sono…
Liz!
Corro verso di lei. Le mani di Folker cadono a terra. Poi la testa.
«Liz!»
Liz getta a terra il coltello. «Ti prego!»
Liz! No!
L’artiglio le cala sul cranio.
No! No, no, no!
Balthus è morto, e anche Uri. L’uomo giovane ride come un pazzo. Afferra Apke per la giubba e gli sfonda la testa sul muretto. Piovono sangue e ciuffi di capelli.
Oh Dèi!
Non posso andare da nessuna parte. Il mostro viene verso di me.
Salgo sul muro. «Perdonami, Liz.»
Faccio un passo nel vuoto.

 

SLAG

Il ponte sull’Urwanen è quasi come quelli che si possono trovare nelle terre di Asgàil. Alto molti piedi e abbastanza largo da far passare un carro, con muretti di pietra ai due lati. Squalo mi cammina accanto. Il rumore dei nostri stivali echeggia da un lato all’altro del fiume.
«Come faremo a trovarlo?»
«Umh?»
«Come pensi di trovare il fottuto bambino, Slag?»
«Non lo so.»
Ma stavolta non sarà come con Ashcliffe. Non tornerò da Sua Eccellenza a mani vuote.
«Dovremmo andare a Inverstorm con gli altri. Hanno bisogno di noi. Moccioso è quasi morto, cazzo.»
«O sei tu che hai bisogno di Jack.»
Lo sento trattenere il fiato e stringere i denti. Il cuore gli batte più forte. Vuole attaccarmi. Per un attimo, spero che provi.
«A proposito, toglimi una curiosità. Era ancora una fanciulla? L’hai fatta sanguinare?»
«Farò sanguinare te, se non chiudi la bocca.»
Gli rido in faccia. «Calma, calma. Non c’è bisogno di offendersi. »
Lui si ferma di colpo. Si porta un dito al labbra.
Bene. Se n’è accorto.
«C’è qualcuno.»
«Lo so.»
Sono in sette. Quattro dietro di noi e tre dall’altro lato del ponte, convinti di prenderci in trappola. Sento il loro odore da un po’. Odore caldo di bosco d’autunno. Sudore, cuoio, vecchia lana umida.
«Chi va là?» grido, per stanarli.
Spuntano dalla macchia davanti a noi. Due uomini e una ragazza. Si fa avanti quello coi capelli biondi. Dev’essere il loro capo.
«Da bravo, vecchio. Posate a terra monete, armi e provviste. Non vi uccideremo.»
Non hanno nemmeno un arco o una balestra, solo inutili coltelli.
Squalo scoppia a ridere. «Fanculo.»
Apro lo stomaco al primo. Viscido, caldo. Per pranzo si è mangiato zuppa di cipolle. Al biondo mozzo le braccia e il collo. Urto la ragazza con gli stinchi. Mi abbraccia le ginocchia. Capelli scuri, lentiggini. Lacrime sulle guance sporche. Si vuole arrendere. La colpisco alla testa.
Mi giro di scatto. L’arn è a terra dissanguato. Squalo se la sta cavando bene. Un uomo gli si lancia contro, coltello in pugno. Lui lo scansa un paio di volte, sorride.
Smettila di giocare!
Con un destro gli schiaccia il naso sulla faccia. Lo butta a terra, gli cade addosso. Dallo scrocchio gli ha rotto un paio di costole. Gli strappa il coltello di mano e glielo affonda in gola.
L’amichetto del morto è armato di un bastone. Invece di avvicinarsi a Squalo, glielo lancia. Riesce solo a sfiorargli la spalla.
Che brutta idea.
Squalo lo solleva per il davanti della giubba e gli schianta il cranio contro il muretto. Schizza sangue e cervello sull’ultimo rimasto. Il ragazzo è tra Squalo e me. Si agita come un ratto intrappolato. Non sa dove scappare.
«Perdonami, Liz» singhiozza.
Scavalca il muretto e si butta giù dal ponte. Il corpo si spappola sui sassi.
Squalo si sporge a guardare, massaggiandosi la spalla. «Cazzo.»
Si avvicina al corpo della ragazzina. «Cazzo, Slag. Questa avrà avuto tredici anni. Non c’era bisogno di ucciderla.»
«Lo so, ma ci è voluto poco tempo. Sono più veloce di te.»
«Voglio dire…Bah, lascia perdere.» Sospira forte e scuote la testa.
A volte mi confonde. Non capisco dove sta il problema.
Ci rimettiamo subito in cammino. Non ci sono altri umani nei paraggi. C’è odore di feci di pecora, bacche marce, fumo di legna in lontananza. Squalo sbrana il suo pane nero senza dire una parola. Comunque, il silenzio mi piace.

Racconto di Melissa Negri.