Il mese era incominciato da appena una settimana e il freddo si era instaurato nella capitale britannica come il più scortese degli ospiti. L’inverno sarebbe stato rigido, dato che le temperature in quel poco tempo non avevano fatto altro che abbassarsi; ma nonostante ciò la neve cadeva con delicatezza e grazia in quasi tutta la città, accompagnata da una lieve brezza che si era imposta l’unico obiettivo di non far salire il fumo perfettamente verticale, non interessata a peggiorare ulteriormente la questione freddo.
Le strade erano quasi del tutto deserte, non fosse stato per gli agenti di polizia, i pochi cocchieri a lavoro di notte e un numero assai limitato di pedoni. Ma non era il meteo ostico o l’orario a tenere i cittadini lontani dalle strade. Era la paura.
Tutti sapevano, tutti abbassavano lo sguardo e tutti temevano quel mostro che aveva fatto sprofondare l’intera città nel terrore in meno di un mese.
Londra, 8 novembre 1888.
Il crepuscolo aveva lasciato spazio alla notte da meno di qualche ora quando il detective Castle entrò nel distretto di polizia di Whitechapel. Non abitava molto distante dal luogo e non fece neppure in tempo a sistemarsi il soprabito che già se lo dovette togliere.
-È giunta circa quaranta minuti fa.- spiegò Thomas Bond di fianco l’ispettore, cercando di tenere il suo stesso passo svelto e ansioso. -Piangeva, era in stato di shock. Io stavo per tornare a casa, ma ho pensato fosse stato meglio chiamarti.-
-E hai pensato giusto, grazie, Tom.- sospirò James. Era un sospiro stanco, in contrasto con l’andatura, di chi non riposa da tanto, troppo tempo. In effetti l’investigatore James Castle, un gentiluomo rispettabile in tutto e per tutto, non si faceva una buona e ristoratrice dormita da molto più di quanto volesse ammettere. Sua moglie dava la colpa al lavoro (e non solo per il riposo del marito, ma per tutti i problemi all’interno della casa) e, per quanto lui provasse a smentire, sapeva avesse ragione. -Questa volta è quella buona.-
-Effettivamente nessuna era riuscita a sfuggirgli.- rammentò Thomas, facendo mente locale su tutto il caso. -Ma fa attenzione: è terrorizzata. Ho chiesto che le venisse portata una tazza di té, anche se temo non sarà sufficiente a calmarla.- Mise una mano sulla spalla del detective, costringendolo a fermarsi a facendolo voltare verso di lui. -Dice di averlo visto.- aggiunse cupo, con il tono di chi da la peggiore delle notizie.
James sgranò gli occhi, e se non si fosse sbrigato a parlare la mandibola gli sarebbe caduta a terra. -N…ne sei sicuro?-
-Più che certo.- rispose con fermezza. I due si conoscevano da parecchio tempo, e non era insolito che si dessero del tu. Eppure non lo facevano mai in pubblico, per il rispetto che due gentiluomini delle forze dell’ordine sono tenuti a portarsi. Ma quel mostro, chiunque egli fosse, era in grado di far dimenticare cose carine come l’educazione o il rispetto. -Il suo sguardo era quello di chi ha visto la morte da vicino.- proseguì Thomas.
James si ricompose al meglio che riuscì, poi prese un respiro profondo. -Questa è la nostra migliore occasione, Bond, cerchiamo di non sprecarla.-
-Non la sprecheremo, amico mio.- annuì con lo stesso tono come se lo stesse dicendo più a se stesso che all’altro.
Arrivarono alla fine del corridoio e James mise la mano sulla maniglia dell’ultima porta a destra. Inizialmente Thomas sembrava voler rimanere fuori, ma il collega gli lanciò un’occhiata silenziosa, sufficiente a fargli capire che sarebbero entrati entrambi.
E aprì la porta.
All’interno della piccola stanza, illuminata dalle lampade a olio sulle pareti, una giovane donna sedeva con tutta l’eleganza che riusciva a trovare. Non alzò lo sguardo quando i due entrarono, tenendolo fisso sulla lunga gonna a fiori.
-Buonasera.- salutò Castle il più cordialmente possibile, mostrando un sorriso spontaneo che non usava spesso in quel genere di luoghi. -Sono il detective James Castle e lui è il dottor Thomas Bond. Deve scusarci ma dobbiamo farle delle domande.-
-Non ho visto nulla.- sussurrò lei con un filo di voce. Non era cosa insolita che i testimoni si rivelassero contraddittori, ma faceva parte del loro lavoro sapere se mentivano o meno. -Non credo di potervi aiutare.-
-Ogni cosa può tornarci utile. Se è come ha detto quando è venuta qui, allora ogni sua parola per noi è di vitale importanza.- spiegò James prendendo posto di fronte alla donna, dall’altro lato di un piccolo tavolo, mentre Bond faceva lo stesso di fianco a lei, pronto a confortarla in qualsiasi momento. -Potrebbe dirmi il suo nome, per favore?-
-Mary Jane Kelly.- rispose lei strofinandosi gli occhi prima che potessero inondare di lacrime le sue guance.
-La sua età?- chiese ancora estraendo un taccuino e cominciando a scrivere con la penna penna stilografica usata a mo’ di segnalibro, per fargli aprire il quadernino alla prima pagina bianca.
-Ho venticinque anni.-
I due si scambiarono una sguardo d’intesa. Nessuna vittima era così giovane, aggirandosi di solito intorno alla quarantina. Che avesse qualcosa di speciale? -Ha famiglia, signora Kelly?-
-Signorina.- corresse Mary. Il tono, fortunatamente, si stava lentamente calmando e alzandosi di volume. -I miei genitori sono morti anni fa di malattia. Ho sette fratelli e una sorella. Nessun marito.-
-Sono nel giusto se dico che lei abita nel quartiere di Whitechapel?-
-Sì.-
James riuscì finalmente a indovinare quale fosse il “lavoro” che occupasse le giornate della giovane, quindi preferì non fare domande a riguardo. -Mi dica, signorina Kelly, cosa è successo? Perché si è rivolta al corpo di polizia di Londra?-
-L’ho visto.- disse lei con decisione e perdendo tutta l’insicurezza accumulata nel tono della voce. -Stavo tornando a casa quando mi si è… presentato.-
-L’ha aggredita?- domandò scrupoloso Castle.
-No. Era… gentile. Mi sorrideva e parlava con calma. Riusciva a farmi sentire a mio agio.-
L’ispettore cominciò a credere di trovarsi di fronte all’ennesima finta segnalazione e posò gli occhi su Bond, che però era palesemente concentrato sulle parole di Mary Jane. Non le stava sottovalutando, anzi, sembrava considerarla la testimonianza più importante dell’intero caso. Fu tale interesse a farlo proseguire nelle domande, che altrimenti non sarebbero continuate un secondo di più. -È riuscita a guardarlo in faccia?- chiese con molto meno interesse.
-No. Era buio. Le strade di Whitechapel non sono molto illuminate. Mi sembrava un normale signore che si preoccupa per una donna che girovaga di notte per le pericolose strade di Londra.-
-Nessun segno particolare, dettaglio o informazione.- constatò James afflitto. La porta venne aperta lentamente da un uomo vestito di nero e con il classico copricapo della polizia, che lasciò rapidamente una tazza di té sul tavolo e uscì senza dire una parola, forse capendo che non avrebbe dovuto disturbare. -Signorina Kelly, anche volendo non potrei considerare questa come una vera e propria testimonianza. Di conseguenza, non posso fare nulla se non consigliarle di prestare estrema attenzione finché non cattureremo l’assassino noto come Jack lo Squartatore.-
Seccata, Mary Jane tenne l’indignazione per sé, accanendosi contro la tazzina usando più calma possibile, mascherando efficacemente la sua collera. Vedendo il piattino, tuttavia, il suo volto divenne prima confuso e poi terrorizzato. Gridò e scoppiò a piangere, scattando in piedi e arrancando verso la parete. La tazzina era volata via contro il muro, frantumandosi in mille pezzi, per lasciare libere le mani tremanti ora premute contro il volto piangente. I due si accanirono contro l’oggetto che l’aveva così terribilmente turbata, scoprendo un biglietto proprio sul piattino. Le parole erano piene di errori di ortografia, e chi le aveva scritte non era di certo qualcuno bravo a utilizzare una penna. Ma leggerle non fu comunque complicato.
“Ti ho fatto una promessa. Stanotte sarai mia”
James scattò verso la porta, aprendola, o per meglio dire sfondandola, per poi infuriare nel corridoio come un cinghiale che carica la sua preda, raggiungendo in pochi attimi la segreteria all’entrata del distretto. Stava per gridare ordini a tutti gli agenti presenti quando guardò la scrivania, dove il copricapo indossato dallo stesso sconosciuto che aveva fatto irruzione se ne stava senza ricevere la minima attenzione. -Chi lo ha lasciato?- sbottò all’agente dall’altro lato del tavolo, esclamandolo più che chiedendolo. -CHI ERA?!-
-Io non…- lui scuoté la testa confuso. James allora scattò verso l’ingresso, affacciandosi alla strada dalla cima dell’alta scalinata che conduceva alla stazione di polizia. Deserta, desolata. Occupata solo dalla nebbia.
Con passo colmo d’ira rientrò, non volendo sopportare il freddo un istante di più. Con lo sguardo intravide Beck, ma cercò di far finta di niente. Aveva appena trovato un sospettato, gli era stato a meno di dieci centimetri di distanza, e se lo era lasciato sfuggire. Un errore simile gli sarebbe potuto costare il distintivo, ma in fondo era riuscito a sfuggire a tutti gli agenti lì presenti, quindi non se ne preoccupò.
Entrato nella stanza degli interrogatori, vide che il pianto di Mary Jane si era affievolito a qualche singhiozzo, e Bond stava facendo tutto quello che era in suo potere per consolarla.
-Lei dove abita, signorina Kelly?- domandò con tono cupo e con lo sguardo puntato verso il basso. Si sentiva dannatamente impotente e inutile. Quattro vittime accertate e nessuna pista, annegavano nei sospettati e brancolavano nel buio. Senza contare che dovevano costantemente far sembrare di essere sicuri di ciò che stavano facendo.
-Miller’s Court…- balbettò lei, il fiato ancora mozzato dal pianto appena passato. -Numero 13.-
-Devo chiederle di tornare a casa. Faremo sì che un numero consistente di agenti in borghese pattugli il perimetro della sua abitazione.- James si avvicinò alla donna e si sedette sul tavolo, guardandola dall’alto verso il basso. -Saranno armati, e saranno molti più di lui. È al sicuro. Bond, può occuparsi della scorta, per favore?-
-Certo.- Thomas scattò verso la porta, uscendo con passo spedito.
Mary Jane aspettò che l’uomo si fosse allontanato abbastanza, poi prese un respiro profondo. -Vorrei che fosse sincero con me. Crede che morirò stanotte?-
James Castle non poteva essere meno sicuro a riguardo, quindi preferì non dare la sua parola. Ma una cosa poteva farla: poteva mentire. -Non credo, signorina Kelly.- sospirò lui incrociando le braccia. -Penso sia più probabile che l’assassino si presenti per poi andarsene. Quegli uomini le resteranno vicino finché non sarà passato il pericolo, e in meno di una settimana non sarà più un bersaglio.-
Quando uscì dal distretto il signor Castle salutò la donna sorridendo mentre Bond le presentava la squadra di volontari che si sarebbe occupata della sua tutela. Alzò il bavero del cappotto, poi scomparve nella nebbia, continuandosi a ripetere che quella fosse la migliore scelta che avrebbe potuto fare.
Londra, 9 novembre 1888
Il detective Castle il giorno dopo non indossò il cappello, limitandosi solo a un pesante cappotto per affrontare il freddo che, come per farsi beffe di lui, aveva smesso di essere tanto rigido. Si diresse nella via in carrozza, insieme a Bond, riconoscendo la strada grazie ai numerosi agenti presenti sul luogo. Non aveva molta voglia di parlare, ma in fondo nessuno ne avrebbe avuta. Quella stessa mattina, di buon’ora, il suo amico e collega era venuto ad avvisarlo del ritrovamento del corpo di Mary Jane Kelly, nel suo appartamento al numero 13 di Miller’s Court, non molto distante dal mercato di Spitalfields. Da gentiluomini quali erano, avevano noleggiato una carrozza per raggiungere il punto, e ora scendevano su quella strada che non avrebbero dimenticato mai.
-Preferisco non farla salire, signore. Le basti sapere che la gola era squarciata fino alla quasi totale decapitazione, come ogni altra vittima.- spiegò dopo aver pagato il cocchiere, mentre camminavano a grandi passi verso la scena del crimine. -Il viso è stato terribilmente mutilato, persino io ho fatto fatica a riconoscerla. Il petto e l’addome sono stati aperti con una precisione chirurgica, stessa precisione usata per l’asportazione degli organi interni e della carne ed epidermide degli arti. L’intestino è stato arrotolato intorno alle mani, come una corda per legarle i polsi.-
-Per non volermi far salire non stai tralasciando neanche un dettaglio.- commentò l’uomo cercando di abituarsi all’aria uggiosa e puzzolente di quella zona di Londra. -Chi è sul posto?-
-L’ispettore Walter Beck e il sergente Edward Badham. Il mio collega, George Philips, mi ha aiutato ad analizzare il corpo.-
-Perfetto, devo avere a che fare con il più grande incompetente di tutta l’Inghilterra.- sospirò Castle riferendosi a Beck. -Venti sterline che si prenderà il merito. Chi ha denunciato il tutto?-
-Il giovane Tom Bowyer, l’assistente di John McCarthy, il padrone di casa.- Bond tirò fuori un taccuino dal lungo cappotto e prese a leggere le parole scritte a matita, cominciando a rivedere gli appunti non ricordando molto di più. -McCarthy lo aveva mandato a riscuotere l’affitto. Ha bussato alla porta ma l’ha trovata chiusa, quindi è entrato da una finestra sul retro. La stessa si era rotta dopo un litigio con il convivente, quindi non può essere la prova di una colluttazione con l’assalitore, di cui non ci sono segni. Se è stato lo Squartatore, non ha lasciato indizi.-
Il detective si fermò di scatto. -Puoi… potete… evitare di chiamarlo in quel modo?- gli domandò infastidito.
-Chiedo scusa signore, ho pensato di utilizzare il nome più usato dalle testate giornalistiche.- si giustificò Bond.
-Be’, usa un altro nome. Come lo ha chiamato qualche giorno fa? Il Dispettoso di Whitechapel? Usate quel nome, prego.-
Era insolito per Castle trattare il suo amico a quel modo, ma lo stress e la malinconia si stavano facendo sentire. Dal suo punto di vista aveva fallito, di nuovo. Era sicuro di poterlo catturare, e adesso era frustrato, parecchio anche. Bond non si arrabbiò, capendo il suo stato d’animo all’istante. Sospirò un “sì signore”, poi continuò a esporre i fatti camminando di fianco al detective. -Mary Cox dichiara di averla vista tornare a casa in compagnia di un uomo intorno a mezzanotte meno un quarto. Dopo averla salutata, dice di averla sentita cominciare a cantare. Ha riconosciuto la canzone: “A violet I plucked from Mother’s grave when a boy”. Pare avesse continuato per più di un quarto d’ora, dato che è passata di nuovo nelle vicinanze e ha udito il canto.-
-Improbabile.- commentò Castle.
-Ma confermato: Catherine Picket, una vicina di casa, voleva andarsi a lamentare del fracasso, ma fu persuasa dal marito a non farlo. Dice di averla sentita cantare ben oltre le mezzanotte e mezza, Cox infatti dichiara di aver sentito il canto fino all’una, quando ha cominciato a piovere e si è diretta a casa.-
-Se ha lasciato delle tracce per strada, la pioggia le avrà pulite.- ragionò il detective, guardandosi intorno come se le prove potessero comparire all’improvviso smaniose di attenzione.
-Stiamo comunque cercando. L’ultimo testimone è George Hutchinson, dice che Kelly gli ha chiesto dei soldi per pagare l’affitto intorno alle due e mezza, per poi andare via con un uomo basso, ben vestito e con folti baffi biondi. Li ha seguiti fino all’abitazione di Kelly, che si lamentava di aver perso il proprio fazzoletto e il nostro uomo baffuto gliene ha regalato uno rosso. I nostri agenti hanno confermato ogni cosa.-
-Perché li ha seguiti?-
-Non l’ha detto.- rispose Thomas chiudendo il quadernino e riponendolo in tasca. -Ma se quel che dice è vero, ho motivo di credere che l’uomo a cui fa riferimento sia il nostro Dispettoso.-
-Crede bene, dottor Bond. Avete fatto grandi passi in avanti.-
-E li abbiamo fatti senza di lei, Castle.- sogghignò Beck avvicinandosi lentamente, con le mani ben poggiate alla cinta. -Sembra che ieri ti sei lasciato scappare un sospettato.-
-Se non sbaglio anche tu eri nell’entrata del dipartimento, Walter, quindi è scappato a te e tutto il corpo di polizia. Gradisci fare il bambino ancora a lungo o lasci lavorare i professionisti?- gli chiese James, che con quell’uomo non avrebbe voluto avere nulla a che fare.
Beck fece alcuni passi in avanti, rendendo irrisoria la distanza tra i loro volti. -Sembra che vogliano toglierti il caso. Cinque omicidi e ancora nessuna pista valida? Forse tua moglie dovrebbe davvero cercare un vero uomo con cui andare a letto. Ho saputo che vuole chiedere il divorzio.-
Thomas fece schizzare gli occhi verso James, spaventato da qualsiasi potesse essere la sua reazione (considerando che, da detective, Castle possedeva una rivoltella), ma dovette ricredersi vedendo la calma negli occhi dell’amico, insieme a una discreta quantità di rabbia. Controllata e, in quel particolare modo, letale. -Forse hai ragione, Beck, almeno non verrebbe trovata ogni giorno con uno diverso come la tua.- ragionò Castle facendo finta di pensarci sopra. Fece poi un passo in avanti, chiudendo ulteriormente la distanza che lo separava da Beck, abbastanza perché i loro nasoni da gentiluomini si sfiorassero. -Finché non vedo un comunicato che mi taglia fuori dal caso, ti conviene allontanarti dalla scena del delitto e limitarti a leggere i rapporti, magari in questo modo potresti riuscire almeno a capire come mai mi considerino il miglior detective di Londra.-
Il tono di Castle era rimasto calmo, come un tacito ringhio di un cane molto arrabbiato. Beck cercò di reggere lo sguardo per quanto riuscì, ma dopo un paio di secondi dovette portarlo sul collega, facendogli cenno di seguirlo, e se ne andarono senza aggiungere una parola.
Mantenendo il silenzio, James si diresse verso la porta. Non avrebbe voluto, ma doveva vedere il corpo. Come monito: sarebbe stata l’ultima. Doveva esserlo.
Giunto sulla soglia completamente da solo, Castle guardò in avanti, e all’improvviso rimase pietrificato. Il breve corridoio che si trovava di fronte a lui sembrò allungarsi di chilometri, miglia e leghe. Un freddo pungente si era insinuato tra la camicia e la schiena, facendolo rabbrividire. Non aveva ancora visto il cadavere o la scena del delitto, eppure se ne stava lì, immobili, con gli occhi di chi ha visto il peggiore dei suoi incubi in volto. Le mani gli tremavano, le labbra sbattevano tra di loro non riuscendo a far fuoriuscire dalla bocca un solo suono. Avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto scappare, ma niente. Doveva restare lì, per mettere insieme i puntini e per capire quello che gli stava dicendo quella specie di intuizione. Riusciva a sentire l’assassino di fronte a lui, mentre gli faceva la stessa cosa che Bond aveva descritto essere sul corpo di Kelly. Una minuscola briciola di ragione gli fece pensare alla suggestione, ma venne subito messa a tacere dalla paura e dal terrore.
“Voi non mi avrete mai”. Era questo che diceva l’intuizione. Un’intuizione che James Castle non potrà mai dimenticare.
Non parlò mai a nessuno di quest’ultima parte della storia, né tanto meno ne fece riferimento nel rapporto. In fondo, i gentiluomini non hanno paura dei fantasmi.
Certo, dei fantasmi no. Ma dei mostri sì.
Jack lo squartatore non è mai stato identificato. Gli vengono attribuite quattro vittime accertate, ed è sospettato di aver compiuto altri dodici omicidi. I sospettati ufficiali superano la ventina, ma nessuno fu effettivamente accusato o arrestato. Thomas Bond è stato un dottore e medico legale, che cercò di creare un profilo psicologico dell’assassino, mentre James Castle è un personaggio di fantasia. Jack compare in numerosi fumetti, libri, videogiochi e molti altri prodotti mediatici e di intrattenimento. Ancora oggi, nonostante il numero di vittime “irrisorio” messo a confronto con altri assassini, Jack lo squartatore viene considerato il più brutale e malvagio che sia mai esistito, in grado di spaventare dopo oltre cento anni.
–
Racconto di Max Casagrande.
Carina come idea e si vede un miglioramento dalle precedenti opere, ma c’è ancora tanta strada da fare. Farei molta, molta attenzione alla gestione delle informazioni e a come vengono esposte, spesso anche nei dialoghi si sfocia o nell’infodump o nell’artificiosità, cosa coadiuvata dai Dialogue tag e da alcuni comportamenti un po’ troppo schematici, alle volte davvero macchiettistici.
Il racconto, a mio avviso, avrebbe necessitato di far uscire maggiormente il tema e renderlo più diretto, più esplicito. Sul finale, purtroppo, mi pare perdersi in niente.