Zena Mariq lasciò la casa del piacere in lettiga, comodamente adagiata tra i soffici cuscini di seta colorata e riparata dagli sguardi indiscreti grazie a spessi tendaggi.

I quattro lettighieri che la Custode Taissia le aveva fornito erano forti ed esperti e procedevano lungo la Via della Sabbia facendo in modo che la ricca etera viaggiasse comoda e non avvertisse scossoni. Per la donna, che non si alzava mai prima della quarta campana, si trattava di un orario davvero insolito. Tuttavia il suo cliente, un uomo riservato, aveva preteso di essere raggiunto prima che la città si destasse, attraverso quella strada poco trafficata.
Nonostante il sole non fosse ancora sorto, l’aria estiva era già torrida. Zena sventolava pigramente davanti al viso il proprio ventaglio di piume di pavone e stava quasi per appisolarsi, cullata dal placido dondolio, quando udì una sorta di lamento soffocato provenire dall’esterno. Contemporaneamente la lettiga si schiantò al suolo. L’improvviso colpo alla schiena le spremette l’aria fuori dai polmoni lasciandola boccheggiante e incapace di muoversi, avvolta nei drappi che, fino a pochi istanti prima, proteggevano la sua intimità. Una figura dal volto celato si avvicinò a lei e la trasse fuori senza tanti complimenti, mentre un’altra passava a fil di spada l’ultimo lettighiere rimasto ad agonizzare sul selciato.

Carson Occhiocieco pose fine alle proteste del proprio sottoposto con un sibilo:
-Non ti ho mai chiesto un’opinione, Elki.
L’altro, intimorito dal furore che lampeggiava minaccioso nell’unico occhio ceruleo del Primo Assassino ,si zittì all’istante e uscì dalla stanza con espressione rassegnata, chiudendo la porta dietro di sé.
Occhiocieco sospirò. Effettivamente l’uccisione dell’Arconte avrebbe potuto gettare Kerkinta nel caos di una rivolta, poiché la gente lo amava, a dispetto dei numerosi oppositori politici che lo accusavano di danneggiare la città-Stato con i suoi provvedimenti populisti.
L’assassino, però, si fidava del giudizio della Signora, che voleva il politico morto entro il mattino seguente. Infatti, da quando lo stregone Meandor sussurrava all’orecchio dell’Arconte, il Consiglio dei Cento finiva per approvare di buon grado leggi sempre più restrittive sull’utilizzo della stregoneria, a discapito della Cabala di Baruk.
Allo scopo sarebbe servita una persona che possedesse bellezza, raffinatezza e cultura.
In qualità di Primo Assassino della Cabala, Occhiocieco aveva pianificato con cura ogni cosa e scelto tra i suoi sicari il più adatto a quel compito.
In città, L’Arconte era conosciuto come “Iskar il Giusto”. Forse, una volta morto, il popolo lo avrebbe chiamato addirittura “Iskar il Santo”. Occhiocieco conosceva un bardo che ci avrebbe scritto una splendida ballata : un tipo in gamba, che beveva come un maiale e suonava come un Dio. L’assassino sorrise tra sé.

Zena Mariq si risvegliò in sottoveste , senza nemmeno uno dei suoi gioielli e con il peggiore mal di testa della sua vita. Si mise lentamente seduta sulla branda puzzolente e si sfiorò la fronte incrostata di sangue secco, per poi vomitare sul pavimento polveroso. Fu solo quando rialzò lo sguardo offuscato che si accorse di essere al cospetto di Occhiocieco.
Il mezzelfo aveva un viso che, in altre circostanze, Zena avrebbe trovato bello. Un colpo di spada ne attraversava la metà sinistra dalla fronte allo zigomo. L’orbita sfregiata, probabilmente vuota, era coperta da una benda scarlatta, mentre l’occhio destro, di colore azzurro, splendeva freddo sulla pelle abbronzata. La cicatrice, che avrebbe imbruttito chiunque, gli conferiva stranamente un aspetto affascinante, da gatto selvatico.
Occhiocieco si sedette accanto a Zena sulla branda. L’assassino riusciva a sentirne l’odore di animale terrorizzato, misto a profumo costoso. Non gli piaceva l’idea di togliere la vita a una donna indifesa, tuttavia non poteva nemmeno correre il rischio di lasciarla libera. Infilò la propria daga al di sotto della quinta costa dell’etera, a sinistra, e la punta raggiunse rapida il suo cuore.

Mentre la daga di Occhiocieco affondava nel cuore della sua prigioniera, Amaya Seifar affondava la punta del suo pennellino da trucco nella poltiglia scarlatta che aveva appena ultimato di preparare. Con cura cominciò a dipingere le proprie dita affusolate , per poi proseguire lungo il dorso delle mani. Prima tracciò con lentezza complicati ghirigori che si avvolsero come spire intorno ai polsi e alle belle braccia tornite; poi decorò le caviglie e la pianta dei piedi e disegnò numerosi petali delicati attorno ai propri capezzoli scuri, alla maniera delle odalische di Yazirat.
Intrecciò infine i lunghi capelli neri e indossò i gioielli e l’abito che gli uomini della Signora avevano sfilato a Zena Mariq prima della sua esecuzione.

Era suonata da poco la terza campana, quando Amaya ,scortata da cinque guardie armate e da una giovanissima ancella, fu ammessa al cospetto di Iskar il Giusto.
L’uomo era seduto di fronte a un grande tavolo ingombro di libri, mappe e pergamene scritte in molteplici lingue ma, quando la sua ospite fu annunciata, si alzò in piedi per darle il benvenuto.
L’Arconte era un umano di media statura, di circa cinquant’anni e, nonostante avesse superato abbondantemente l’età della giovinezza, il suo corpo era ancora asciutto e vigoroso. Il castano scuro dei suoi capelli era interrotto da numerose ciocche argentate e aveva grandi occhi nocciola con bagliori dorati : quando un raggio di sole ,sfuggito ai lunghi tendoni, li intercettò, splendettero nella penombra della stanza come quelli di un puma. Nonostante fosse preceduto da una fama di giustizia e bontà, Amaya capì di trovarsi di fronte ad un uomo pericoloso.
-Dunque voi siete Zena Mariq. Avete un nome molto dolce- le disse, fissandola in volto. Il suo tono di voce era basso e piacevole.
-Per servirvi, mio Signore- rispose Amaya, abbassando rispettosamente lo sguardo.

Iskar si chiese come mai la Custode Taissia gli avesse taciuto la bellezza di quelle iridi color malachite.
-Immagino che la Custode vi abbia già parlato delle regole di sicurezza del mio palazzo. Potranno forse sembrarvi eccessive, ma i miei consiglieri ritengono che la prudenza non sia mai troppa. Se questo non vi offende e vorrete comunque restare in mia compagnia, vi prego di seguire Malika. Quando sarete pronta, vi condurrà di nuovo da me.
L’ancella e le guardie scortarono così Amaya fuori dalle stanze dell’Arconte e la condussero dal Lettore di palazzo.

Il Lettore era un uomo pallido e dall’aspetto malaticcio. Sul capo portava una sontuosa parrucca, adorna di fili d’oro e tinta di verde pallido. Sulla ricca tunica era ricamato il simbolo dei Divinatori: l’Occhio Sempre Vigile.
-Zena Mariq, negate di avere qualcosa da confessare ,in mia presenza e in presenza delle guardie del nostro Signore, l’Arconte Iskar il Giusto?- cominciò il mago, con fare pomposo.
-Lo nego-ripose Zena, senza spostare lo sguardo dagli occhi vacui dell’incantatore.
-E negate di nutrire intenzioni nocive nei confronti dell’Arconte e della polis di Kerkinta?
-Lo nego- ripetè lei.
Il mago distolse l’attenzione dal bel viso di Amaya :
-Dice il vero.

Nella stanza da bagno l’ancella chiese ad Amaya di togliersi i vestiti.
Senza battere ciglio, la donna slacciò con facilità veste e sottoveste ,poco più che veli di seta dei colori del tramonto , e le lasciò cadere entrambe a terra, mostrandosi completamente nuda. Come ogni etera di Yazirat aveva il corpo del tutto depilato e la pelle color caramello ornata da elaborati tatuaggi.
Amaya scavalcò i propri abiti con un passo e lasciò che la giovane serva le slacciasse i sandali e le togliesse tutti i gioielli appartenuti alla vera Zena Mariq. Quando ebbe sciolto l’acconciatura , la sua lunghissima chioma scura le si avvolse attorno al corpo come un mantello.
-Devo chiedervi di immergervi- annunciò timidamente Malika, indicando la vasca di marmo colma di acqua tiepida. Sulla superficie limpida galleggiavano fiori di ibisco.
-Come saprete esistono veleni con cui è possibile cospargersi corpo e capelli, e il nostro padrone non può correre rischi. Naturalmente spero che questo non vi offenda e che non danneggi i disegni che avete realizzato con tanta cura per l’Arconte.
-Non temere, mia cara, i fiori di Yazirat non scompaiono con un solo bagno: mi faranno compagnia ancora per qualche settimana.
Amaya sorrise amabilmente in direzione della fanciulla e si immerse nell’acqua tiepida con un sospiro di piacere.

-Camminate con me, Zena- disse Iskar il Giusto, porgendo galantemente il proprio braccio alla donna. Insieme, i due scesero i pochi gradini di pallido marmo rosa che li separavano dal cortile interno, il Giardino dell’Estate. Il profumo dei gelsomini era inebriante e Amaya lo aspirò con evidente piacere.
-Siete già stata a Kerkinta?- chiese l’uomo.
-Soltanto per brevi soggiorni, Signore, ma ora intendo stabilirmici.- rispose lei, guardandosi intorno ammirata- Non resterò a lungo ospite della Custode Taissia : desidero acquistare una residenza, una con un giardino splendido quanto il vostro. Quando l’Arconte sorrise, i suoi occhi da puma, circondati da rughe sottili, emanarono nuovamente bagliori ambrati.
-E che cosa si dice di me nella vostra Yazirat?
-Quello che si dice in tutte le città della Stella del Sud-rispose Amaya, mettendosi seduta sul bordo della fontana e aggiustando il lungo l’abito sotto di sé- Che siete un grande condottiero e il migliore oratore della vostra agorà. Dicono che il popolo vi chiama Il Giusto, poiché possedete saggezza e buon cuore.
-Non adulatemi, Zena. Non ne avete bisogno- insistette Iskar, prendendo posto accanto alla donna. Amaya notò che sul fondo del suo sguardo galleggiava un velo di malcelata preoccupazione.
-Si dice che stiate limitando l’egemonia degli stregoni e che abbiate istituito delle scuole pubbliche per i giovani delle classi meno abbienti. Proprio ieri Dama Taissia mi ha riferito che avete proposto al Consiglio una legge che permetterà ai poveri di guardare spettacoli teatrali senza pagare e che saranno le tasse versate dai nobili a coprire il costo dell’entrata.
Iskar annuì. Poi chiese:
-E voi, cosa ne pensate?
-Durante l’adolescenza sono stata la schiava di una nobile. La mia padrona, il cui cuore era grande quanto il vostro, permise allo stesso precettore dei suoi figli di darmi un’istruzione. In tal modo, quando mi liberò, fui in grado di intraprendere la professione di etera e di costruirmi un grande patrimonio, sfruttando la mia bellezza e la mia cultura. Senza di lei sarei costretta a vendermi in un postribolo.
Amaya si interruppe, temendo di aver parlato con un linguaggio troppo audace, ma l’uomo, che forse aveva frainteso la sua esitazione, le prese la mano, come per rassicurarla. La strinse tra le sue con dolcezza, quasi chiedendole il permesso. Amaya riprese a parlare:
-Penso che sia un nobile gesto, quello di concedere ai poveri un’istruzione; ma credo anche che questo danneggerà la Città Libera di Kerkinta.
Le rughe che solcavano la fronte dell’Arconte divennero un poco più evidenti.
-Ora parlate come i miei oppositori- osservò.
-Molti poveri schiaccerebbero volentieri tutti quelli come voi e istruirli li metterà in condizione di farlo, un giorno o l’altro- affermò lei, in tono più cupo.
-Per fortuna siete una donna, Zena Mariq, e non vi può essere concesso un seggio nel Consiglio dei Cento. Altrimenti avrei un altro temibile avversario a cui tenere testa- concluse lui, con un sorriso leggermente amaro.
-Torniamo alle mie stanze, ora, il pomeriggio si sta facendo troppo caldo.

Fu solo quando ebbero fatto ritorno alle stanze dell’Arconte, nel cuore della casa, che Iskar posò le mani sui fianchi sinuosi di Amaya e affondò il proprio viso nel manto notturno dei suoi capelli, odorandone l’aroma di gelsomino. Nel momento in cui si fusero con passione sul morbido materasso di piume e l’amante le stuzzicò con la lingua i capezzoli bruni, Amaya si ritrovò a pensare che, se l’uomo fosse morto in quell’istante, probabilmente nessuna delle guardie che si trovavano fuori dalla porta sarebbe intervenuta, scambiando i lamenti d’agonia per gemiti d’estasi. Questo, però, ancora non poteva accadere.
Dopo molte ore trascorse a conversare e a darsi vicendevolmente piacere, L’Arconte chiese ad Amaya di abbandonare il suo palazzo per fare ritorno dalla Custode, non prima di averle strappato la promessa di non lasciare Kerkinta per alcun motivo, e di non concedersi ad altri che a lui.
Mentre risaliva sulla lettiga, l’assassina si rese conto che, se lo avesse rivisto, si sarebbe potuta innamorare di quell’uomo. Iskar possedeva arguzia, scaltrezza e ambizione, mitigate da un’autentica bontà di cuore. Era colto, intelligente ed eloquente. Doveva essere anche molto ardito, per essersi schierato così esplicitamente contro la Signora.
Amaya sentì il desiderio struggente di incontrare nuovamente Iskar il Giusto, di conversare con lui e di passeggiargli accanto nel Giardino dell’Estate, di percorrere la sua schiena nuda con le dita e di accogliere ancora il suo membro nel proprio ventre.
Tuttavia ciò non poteva essere, perché la Signora aveva dato altri ordini e perché l’Arconte aveva già bevuto la morte dai bei seni di Amaya, quando ne aveva baciato i fiori letali, attivando il veleno con la propria saliva. La tossina era penetrata nel corpo di lui attraverso quei sottili capillari che si snodano nascosti sotto la lingua e gli scorreva ormai nel sangue ,lenta ma inesorabile, dirigendosi al cuore.

Nessuno si trovava con l’Arconte quando morì. La mattina seguente giaceva riverso sullo scrittoio dove Amaya lo aveva visto per la prima volta. La sua mano sinistra stringeva la tunica damascata all’altezza del petto, mentre la destra era ancora chiusa intorno alla penna d’oca. Gli occhi da puma ,ormai spenti e mansueti, erano privi di ogni bagliore.
Non ci volle molto prima che anche il corpo della vera Zena Mariq venisse ritrovato, insieme a quello dei lettighieri.
Inutile dire che gli assassini, quando ciò avvenne, avevano già lasciato la città, diretti a Gesimar.
Solamente il Lettore venne catturato e impiccato pubblicamente nella Piazza delle Stelle. Le sue ultime parole furono :
-Per la Signora. Per Baruk.

Racconto di Melissa Negri.