“Altri invece si legano a luoghi oscuri. Dopo essere stati evocati, vengono relegati negli ambienti più isolati delle dimore, lì si trova il loro altare, lì attendono nell’ombra la loro preda”.

La diligenza su cui viaggiavano si fermò di scatto, il vecchio chiuse il logoro libro che stava leggendo. Quando la porta si aprì, afferrò il polso del bambino che gli stava accanto e scesero. Rivolse un freddo saluto al cocchiere che subito riprese la sua corsa sollevando schizzi al passare delle ruote sulle pozze d’acqua. La città gli parve cupa, in parte per la fitta pioggia che ne riduceva la vista alle sole forme essenziali; ma soprattutto per la stessa natura di quelle costruzioni, allungate verso l’alto e dai lineamenti spigolosi, costruiti in una pietra locale di colore scuro, tendente al nero, che contribuiva a dissolverne le forme nel buio della notte. Poco più avanti una luce illuminava un’insegna: Hostinec divoká koza, lo scroscio assordante della pioggia copriva il rumore dei loro passi sul selciato. Al di là del portone un unico ambiente era illuminato da alcune lampade ad olio addossate ai muri o sparse su alcuni tavoli. Nel centro del locale un grosso stanzone attirava lo sguardo degli avventori, era attorniato da banconi, che avevano l’evidente funzione di tenere a debita distanza i clienti dalle bottiglie di alcolici esposte sulle mensole. Su tutto vegliava una corpulenta donna in abiti da lavoro, il puzzo di alcol e aria consumata era insopportabile per il vecchio. «Una bettola molto grande, nulla di più» pensò scavalcando l’ennesimo debosciato riverso tra le panche. Il ragazzo non dava segni di disgusto… o meglio non dava segni di vita affatto. A stento lo si percepiva, si limitava a seguire il vecchio come un’ombra, con lo sguardo fisso davanti a sé, come fosse assente. Si mise a sedere su una panca accanto ad un uomo grassoccio riverso in una pozza di vomito misto ad alcol, un essere degno degli abiti sgualciti e mal rammendati che indossava. «Le piacciono le storie signore?» Ricevette solo grugniti e rantoli come risposta, il giovane riprese a parlare «C’era una volta, in una terra lontana, una grossa casa, piena di stanze buie e vuote, dove ad un piccolo ragazzo non era permesso entrare… per questo motivo erano chiuse a chiave. Ma il ragazzo era curioso, per chi cerca a fondo, una soluzione si trova sempre, e così fu anche per lui…».

La donna doveva essere stata davvero attraente al tempo della sua giovinezza, ma in quel contesto… in quella situazione al vecchio non interessavano che le stanze che aveva da offrire. Voleva che fosse nella locanda più dimenticata da Dio di tutta la città; nessuno doveva riconoscerlo, non si sarebbe mai dovuto sapere del suo viaggio. A questo pensava quando chiese al cocchiere di scendere nei sobborghi poco fuori le mura del ghetto. Si riflesse un attimo nel grosso specchio opaco alle spalle della cameriera, sembrava proprio una di quelle povere anime disgraziate, «Mi serve una stanza per tre giorni, il più isolata possibile, sa… alla mia età ho bisogno di un riposo adeguato, pagherò in anticipo» Disse accennando un sorriso spento.
«Ma che vuoi da me moccioso? Levati dalle palle!» e il giovane sarebbe volato via con una spinta, se l’ubriaco non ne avesse incontrato lo sguardo. Gli si gelò il sangue e si pietrificò come un agnellino al cospetto del lupo. Il bambino prese a dondolare leggermente la testa «No, no, no, Nathaniel, non ci si
comporta in questo modo.» Era un filo di voce, quasi un sussurro, l’ubriaco si tirò in dietro ma trovò
solo un’altra panca addosso la quale appiattirsi «…ma tu…tu come-»,
«Capisco, tu sei più tipo da racconti con le ragazzine non è vero? Meglio ancora se è una bella
ragazza» Scosse nuovamente la testa mentre si avvicinava per sussurrargli all’orecchio «Era tua figlia Nat, sai cosa succede a quelli come te? Oh beh credo che lo scoprirai molto presto. In ogni caso… io… ti capisco, sai? era così bella… con quei suoi capelli dorati e i suoi occhi verdi. Per non parlare del suo corpo, che seno magnifico aveva, non ho forse ragione Nat?» L’uomo era sempre più terrorizzato e se avesse potuto, sarebbe fuggito da quel ragazzo il più in fretta possibile… ma il suo corpo non rispondeva, era costretto lì, a terra, inerme. «Ma tua moglie mi pare di capire che non poteva accettarlo e così vi ha… separato. Non poteva sopportare che sua figlia fosse più bella di lei, che le portasse via il suo uomo. Le somigliava molto, non è vero? La sua copia sputata, una lei giovane… prima che ingrassasse tanto da somigliare alla scrofa che avevate in cortile, prima che una ragnatela di rughe le intrecciasse il volto con le sue fitte trame, prima che i calli rendessero dure quelle mani, un tempo esili e delicate, che erano solite accarezzarti nelle notti passate assieme. Non è così, Nat? ma dimmi, quando la trovasti… cosa ne facesti del suo cadavere? Lei… beh… non ha saputo dirmelo.»

«Ragazzo! Smetti di molestare quel poveraccio e seguimi» disse il vecchio trascinandolo per un
braccio fino al bancone.
«Vuole un letto anche per il ragazzo?»
«Non ce ne sarà bisogno» rispose in modo rude il vecchio, sollevando il bagaglio.
La donna non disse altro, sapeva dei… ‘’gusti particolari’’ di alcuni suoi avventori e non stava di certo a lei fare domande o giudicare, purché pagassero… E il vecchio l’aveva fatto, in argento di Kerkinta, tre notti aveva pagato, tanto le bastava perché comprasse anche il suo silenzio, su questo non c’era bisogno di contrattare. Che poi a dirla tutta, non aveva nessuna intenzione di mettersi contro qualche esponente della chiesa, a dispetto delle apparenze, il suo fiuto le diceva che quello era proprio un ecclesiastico; lo si capiva dal portamento superbo che li tradiva tutti «Camminano come fossero Dei scesi in terra, idioti. Chiunque si accorgerebbe del travestimento, se solo fregasse a qualcun’altro oltre me saperlo» e in ogni caso lo si capiva anche da tutti gli amuleti che teneva seminascosti tra i vari strati di stracci che indossava.
Appena i due scomparvero al piano di sopra, l’ubriacone con cui aveva parlato il ragazzo si mise a correre come un dannato verso l’uscita. Sparì nelle tenebre di quella notte infausta. Qualche giorno dopo, in un vicolo non troppo lontano, venne ritrovato un corpo brutalmente mutilato gettato in un canale fognario, «la criminalità del ghetto» si dirà in quei giorni.
«Sai, vecchio, questo viaggio si sta rivelando più piacevole del previsto», esclamò divertito il giovane mentre attraversavano quegli spogli corridoi. Il vecchio rispose con una semplice smorfia di profondo disgusto, spinse il pesante portone che gracchiò mille cigolii mentre lentamente si apriva, liberando il passo ad odori di muffa e umido. Entrarono e dopo aver dato una fugace occhiata al corridoio, lo richiuse di scatto dietro di sé, poggiò la lampada sul tavolo alla sua destra assieme alla valigia, bofonchiò alcune frasi tra sé e sé, poi si rivolse al ragazzo «Io vado a dormire, tu rimani dietro la porta, assicurati che non entri nessuno… e naturalmente non toccare nulla». Ciò detto, si abbandonò all’oblio dei suoi sogni inquieti.

Si trovava in una grossa sala colma di mobili antichi riccamente intarsiati; su una parete risaltava un quadro di famiglia: erano in quattro ma un volto era stato tagliato via, un giovane ragazzo ben vestito e pasciuto, stando alla parte restante del corpo, alle sue spalle un uomo in abiti da cerimonia di un rosso acceso, era lui qualche decennio prima, ormai si riconosceva a stento. Lì accanto sua moglie e la loro figlia maggiore. Ora si era incamminato verso l’ala est del palazzo, era disabitata da anni ormai, da quando il morbo aveva portato via la sua figlia maggiore ed uno dei suoi nipoti, perché ci stava andando?
La luce della luna entrava abbondante dalle grosse finestre alla sua destra, non c’erano nuvole,
nessun alito di vento, ma d’altronde ai confini sud del mondo civilizzato era normale. Seguiva un
leggero rumore in lontananza, quasi una cantilena e la seguì finché non arrivò ad una porta chiusa da una grossa catena dietro la quale filtrava una leggera luce, lì gli apparve il ragazzo. «Perché l’hai evocato? Ero il suo sacrificio? Mi hai abbandonato…» Il vecchio gli si avvicinò per abbracciarlo, ma il ragazzo si ritrasse «No, piccolo, non sono stato io a farti questo, ma tu abbi fiducia in me, ti riporterò indietro.» Dalle sue spalle arrivò una voce diversa, profonda e cupa. Il ragazzo si dissolse nell’oscurità, mentre una mano d’ ossa affusolata, nera, si avvinghiò alla spalla del vecchio, un alito di vento ardente portò una domanda alla sua mente «allora dimmi, vecchio, chi mi ha richiamato?» E scoppiò in una fragorosa risata.
L’uomo si risvegliò nel letto della locanda, due occhi di un giallognolo lattiginoso galleggiavano nel buio lì accanto. Il vecchio si mise a sedere e dopo aver scansato la figura si diresse verso il posto in cui ricordava essere la sua valigia. Mentre a tentoni avanzava verso il tavolo, un pensiero gli attraversò la mente, portò una mano al collo, fu sollevato di trovare ancora lì l’amuleto. Batté contro lo spigolo del tavolo e capì di essere arrivato. Doveva essere passata qualche ora dal loro arrivo, ma non troppo visto che dalle imposte serrate della finestra non trapelava neanche un filo di luce. Afferrò la valigia indagando con i polpastrelli alla ricerca delle fibbie che la tenevano chiusa: erano di ferro placcate in argento ed erano incandescenti come fossero state appena fuse, ma apparentemente intatte. «Non va bene», bofonchio tra sé a denti serrati. Le due fessure giallognole si materializzarono dietro l’uomo che in un istante estrasse un involucro e lo srotolò. All’interno un barattolo pieno di un liquido verdastro emanava una luce pallida tutto attorno. Posato il barattolo lì accanto, riprese a frugare tra le sue cose. Era un immane quantità di robaccia a vederla, ma essenziale per il lavoro, a suo dire.

Pietre, metalli, piante, fiale con liquidi vari e parti di animali essiccati si avvicendavano in uno spazio perfettamente organizzato su più livelli. La teneva sempre con sé e non se ne separava mai, come se da essa dipendesse la sua stessa esistenza… forse era così. Il giovane gli si fece accanto per scrutare all’ interno «Quel sacchetto che porti sempre legato al collo emana un odore tremendo, prima o poi dovrai liberartene. Puzza più di un cane nero dopo un giorno di pioggia.»
«É il pelo di un cane nero, lo sai benissimo… ed entrambi sappiamo a cosa serve.»
Il giovane prese a gironzolargli attorno «andiamo, vecchio, non penserai che voglio approfittarmi di te? Abbiamo un patto noi due, uno del mio rango rispetta sempre gli impegni presi.» Il vecchio era tutto preso a mescolare alcune polveri con dell’acqua, poi con uno scatto tipico di un’età che non gli apparteneva, afferrò il ragazzo e disegnò un simbolo sulla sua fronte «Rispondimi, Shumain, è già il tuo giorno questo?» Il giovane digrignò i denti prima di rispondere, come per frenare la sua lingua, poi cedette «Sì, grande inquisitore, è il giorno della luna questo.»
«Bene», ribatté il vecchio che era tornato a frugare tra il suo prezioso ciarpame «Ora dimmi, Shumain, per quale motivo hai cercato di frugare tra le mie cose?»
«Oh. . . ma grande inquisitore, non è stato il nobile Shumain a farlo. Io ero dietro la porta a controllare che nessuno entrasse.»
«Allora se io non sono stato e nessun’altro è entrato, chi è stato?! Hai svolto male il tuo compito,
demone?»
«Shumain è ligio al dovere, vi ha promesso di non far entrare nessuno dalla porta ed è stato fatto… non posso garantire per la finestra però», arrangiò un sorriso che espose tutte le sue scintillanti zanne.
In una ciotola il vecchio cominciò a bruciare foglie di mirto e alloro, un denso fumo riempì la stanza «Ora lascia che il ragazzo riposi, così che potrai ricominciare a mentire come da tua natura.»
«Maledetto vecchio! Come se non sapessi cosa sono quei fumi», sibilò ritraendosi in un angolo «ma un giorno anche tu dovrai morire, vecchiaccio, e quel giorno Shumain sarà presente, Shumain ricorda, Shumain non perdona! Le pene che gli stai infliggendo saranno ripagate.»
Un’ombra lasciò il corpo del ragazzo che si afflosciò al suolo come un sacco vuoto, il vecchio lo
raccolse amorevolmente e lo adagiò sul letto « Hai promesso di rilasciarlo non appena ti avrò fatto accedere nella zona sacra del tempio palatino, di me poi farai ciò che credi», poggiò la schiena sulla grossa porta e si sedette sul pavimento scheggiato; erano entrambi lì, un ombra e un vecchio che si scrutavano vicendevolmente nella semi oscurità verdognola della stanza; nella bettola più infame della più disgraziata tra le città degli uomini.
Quando i primi raggi di sole spuntarono trai tetti del ghetto, due figure avvolte in pesanti mantelli neri furono viste aggirarsi per le strade della capitale. La morìa nera di lì a poco colpì la città, i roghi si moltiplicarono in tutto l’impero. Quella sera un uomo fu ucciso nelle stanze dell’imperatore: un vecchio con il volto sfregiato dalla malattia. Nei trent’anni successivi la guerra sacra divampò contro la agia e i ghetti si trasformarono in mattatoi a cielo aperto. Stesso fato tocco alle campagne, nessuno fu risparmiato. La fame finì poi lo spirito di quanti rimanevano: uomini trasformati in bestie, cacciatori
dei loro simili.

Racconto di Primiano dell’Aquila