C’era una volta, tanto tempo fa, in un Pittoresco Paesino un giovane prestante e di bell’aspetto. Era astuto e intelligente, forte come un gigante, veloce come il lampo e robusto come una montagna.

Fin dalla sua nascita era stato evidente a tutti che fosse… diverso. Migliore. In qualsiasi modo entrasse in competizione con gli altri bambini primeggiava quasi senza sforzo. Dalla corsa al far di conto, dalle sfide a braccio di ferro alle gare di far rimbalzare un sasso sul laghetto. Era il più bravo in tutto.

Le voci su questo ragazzino prodigio giunsero infine alle orecchie di un Vetusto Veggente. Costui si spinse fino al Paesino. Voleva ammirare con i propri occhi indeboliti dal tempo la meraviglia vivente che gli era stata descritta. Non fu deluso: il giovane era in tutto e per tutto all’altezza delle sue aspettative. Davanti al ragazzo e ai suoi Gioviali Genitori disse che si trattava senza dubbio di un Perfetto Predestinato. I Predestinati erano assai rari nel mondo, spiegò, ed erano benedetti fin dal loro primo istante di vita con ogni genere di talento. Qualunque obiettivo si fosse posto nella sua vita lo avrebbe raggiunto. I Genitori rimasero estasiati nel comprendere il potenziale del loro figlio, ma anche un po’ preoccupati. E se il loro Paesino non fosse stato abbastanza? Che avrebbero potuto fare se avesse capito di vivere in un villaggio troppo umile per lui?

Il Veggente indicò una Sinuosa Strada diretta chissà dove. Se il Predestinato si fosse incamminato lungo la Strada avrebbe trovato il suo Fato, o il suo Fato avrebbe trovato lui. In ogni caso, alla fine del viaggio avrebbe ottenuto tanta gloria da soddisfare ogni sua brama. Dopo aver pronunciato quelle parole il Veggente si ritirò per meditare su qualche oscura materia.

Il Perfetto Predestinato rimase molto colpito dalla profezia. Iniziò a crescere in lui il desiderio di mettersi in cammino, di guadagnare quella sconfinata gloria che gli era stata promessa. Un bel giorno questa brama divenne troppo forte per essere ignorata. Il giovane Predestinato raccolse tutti i suoi averi e si mise in cammino lungo la Sinuosa Strada. Mentre lasciava il suo villaggio tutti i compaesani si tolsero il cappello in segno di rispetto. I suoi genitori rimasero a guardarlo finché la sua immagine non scomparse del tutto all’orizzonte, orgogliosi di averlo messo al mondo.

E così il Perfetto Predestinato iniziò il suo viaggio, per compiere il suo incredibile Fato.

 

Il giovane camminò per giorni. La Sinuosa Strada lo condusse attraverso una Folta Foresta. Gli alberi erano alti e frondosi, e le loro chiome offrivano riparo dalla luce del Sole. Di notte il Predestinato si accampava sotto un tronco e si rannicchiava, riscaldato dal suo mantello. Proseguiva fiducioso e proprio quando le riserve di cibo nel suo fagotto iniziarono a scarseggiare, giunse nei pressi di una Tiepida Taverna. Entrato, offrì qualche soldo all’Affabile Albergatore per una stanza dove dormire la notte e provviste per continuare il viaggio.

Quella sera si sedette vicino al camino con una compagnia di Allegri Avventori, che venivano dai posti più disparati e narravano le storie più incredibili. Il Predestinato godette al pensiero che un giorno le sue avventure sarebbero state tanto gloriose da far impallidire tutti quei racconti.

Stava per ritirarsi, quando vide l’ultimo arrivato alzarsi per parlare. Egli, un Prudente Pellegrino, avvisò tutti gli Avventori di fare molta attenzione nel caso avessero in mente di proseguire lungo la Sinuosa Strada, perché non molto lontano si era annidata una banda di Fieri Fuorilegge. Secondo le voci erano tre, un Brutale Brigante, una Turpe Tagliagole e un Furbo Furfante. Erano spietati, e molto pericolosi. Le loro vittime non si contavano più.

Quelle parole gettarono inquietudine sui volti degli altri ascoltatori, ma determinazione nel cuore del Predestinato. Decise che la sua prima impresa sarebbe stata quella di sgominare quei manigoldi. Salutò gli Allegri Avventori e si diresse nella sua stanza. Riposò, per recuperare le forze in vista dello scontro, e giunta l’alba prese il suo piccolo bagaglio e partì di buon grado dalla Tiepida Taverna.

La locanda era da poco scomparsa dalla sua vista quando si udì un forte urlo, il fragore di uno schioppo e una voce minacciosa che intimò “O la borsa o la vita!”

Erano i tre Fieri Fuorilegge, sbucati fuori dai loro nascondigli tra i cespugli per tendere un’imboscata al Predestinato. Il Brutale Brigante era enorme e possente, e impugnava una grossa clava che teneva appoggiata sulla spalla. La Turpe Tagliagole era piena di gioielli, collane, orecchini e anelli, molti dei quali insanguinati, e minacciava il giovane con due pugnali scintillanti. Il Furbo Furfante era piuttosto minuto, sogghignava bieco mostrando i denti ingialliti, e incalzava la sua vittima con un archibugio malandato. Senza perdere tempo, il Perfetto Predestinato lasciò cadere il fagotto dal suo bastone, e partì all’assalto dei banditi. Questi non fecero in tempo a capire cosa stava succedendo che si trovarono subissati da una pioggia di percosse.

Colpisci qua, colpisci là, nel giro di qualche minuto i tre furono disarmati costretti alla resa. Ma il Predestinato non era soddisfatto. Era stata un’impresa molto meno avvincente di quanto si aspettasse, e rimase a osservare i Fuorilegge con aria pensierosa.

“Sei molto forte” osservò il Brutale Brigante “Potresti unirti a noi! Saresti il nostro capo, e con te a guidarci nessuno potrebbe tenerci testa! Potremmo rapinare chiunque sia così stolto da passare per la nostra strada!”

“Potremmo fare molto di più” propose la Turpe Tagliagole “Con la tua forza potremmo sottomettere e reclutare molti più briganti nella nostra banda! Nel giro di qualche mese potresti avere sotto il tuo comando tanti malviventi da poter razziare città intere!”

“Oppure” suggerì il Furbo Furfante “Potresti anche diventare agli occhi di tutti l’unico eroe in grado di sconfiggerci. Ti seguiremmo, assalteremmo chi vuoi tu, e poi potresti fingere di sconfiggerci e recuperare il bottino che abbiamo rubato. Così tutti ti acclamerebbero, ti osannerebbero, e ti pagherebbero a peso d’oro per avere la tua protezione… avresti fama, soldi e gloria! Noi ci accontenteremmo volentieri di una piccola parte…”

Il Perfetto Predestinato guardò i tre Fieri Fuorilegge. Era davvero questo che lo attendeva? Una vita da malfattore con quelle tre misere canaglie al seguito? Scosse il capo, sdegnoso. Vedendo la sua reazione, i tre furfanti voltarono le spalle e scapparono a gambe levate, sparendo in pochi istanti nella foresta. Il Predestinato non li seguì. Quei tre farabutti non meritavano un secondo in più del suo tempo.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo favoloso Fato.

 

La Folta Foresta si faceva sempre più fitta. Le foglie degli alberi non si limitavano più a fornire una lieve ombra, ma arrivavano a nascondere del tutto il Sole, gettando una coltre di oscurità sulla Sinuosa Strada. Il Predestinato viaggiava imperterrito, senza paura né di incappare in altri briganti né di essere preda delle bestie selvatiche. I movimenti dei cespugli e i suoni della foresta, che avrebbero impaurito un viaggiatore meno sicuro di sé, non lo intimorivano per nulla. Non doveva temere nulla, se non di perdere la Strada, ma questa era molto chiara e facile da seguire. Ebbe anche l’occasione di raccogliere delle bacche selvatiche, che crescevano sui margini della via, e di cacciare qualche animale imprudente che gli arrivò troppo vicino.

Passarono giorni e notti, finché la Sinuosa Strada non condusse il giovane a una Cordiale Cittadina. Era giorno di mercato, e tutto il paese era pieno di bancarelle cariche di ogni ben di Dio. Cibo, spezie, vestiti, profumi e ninnoli. Una Folla Festante riempiva le strade, ma non fu troppo difficile per il Perfetto Predestinato districarsi in quel groviglio di persone e giungere alla grande piazza centrale. Lì vide una Fresca Fontana e ne approfittò per abbeverarsi e per riempire il suo otre.

Per caso lì vicino si stava riposando un Gentile Gendarme, e il Predestinato gli rivolse un saluto. Il Gendarme gli sorrise, amichevole. I due iniziarono a discorrere del più e del meno. Il Predestinato disse alla guardia del suo viaggio lungo la Strada, e questi ricambiò con qualche aneddoto e storia sulla Cittadina. Gli raccontò che era molto difficile per lui e per i suoi colleghi mantenere l’ordine in quei giorni di confusione generale, e che aveva timore che qualche mercante sleale ne approfittasse. La ressa era un’ottima occasione per truffare la povera gente, o per vendere merci rubate o illegali. Correva voce che da qualche parte, in un ignoto quartiere nella periferia, fosse nascosto un Malfamato Mercato, un vero e proprio paese della cuccagna per i ricettatori e gli usurai, nonché banco di vendita delle più bizzarre e pericolose chincaglierie occulte, ma le guardie cittadine non erano mai riuscite a scovarlo.

Il Predestinato considerò che magari poteva essere quella l’occasione giusta per dimostrare il suo valore. Salutò il Gendarme e si mise alla ricerca di qualche indizio che potesse condurlo al famigerato Mercato. Non fu difficile per un uomo della sua sagacia. Non ci mise molto a scovare un individuo sospetto, e a seguirlo fino al quartiere del tanto discusso Mercato Nero. Tuttavia rimase molto deluso dello spettacolo che gli si parò davanti. Si aspettava infatti una temibile organizzazione criminale, mentre invece tutto ciò che vedeva era qualche bancarella spoglia e malandata, un paio di banchi di strozzini e qualche individuo poco raccomandabile che si muoveva furtivo. Iniziò dunque ad aggirarsi per quel Mercato, dando un’occhiata qua e là, ma senza trovare nulla che attirasse davvero il suo interesse, nulla che potesse promettergli la fama che bramava e meritava, almeno finché non giunse davanti all’ultimo carretto. L’uomo che sedeva davanti a lui, un Cupido Commerciante vecchio e incurvato, provò a tentarlo prima con filtri d’amore e con ingredienti per fare il malocchio, poi con pozioni e libri proibiti. Il Predestinato si accorse subito che tutto quel materiale non era altro che paccottiglia senza valore. Ignorò dunque la melliflua e abile lingua del venditore e rifiutò senza pensarci su due volte. A quelle parole al Commerciante brillarono gli occhi “È molto raro vedere da queste parti un giovanotto in gamba come te. Di solito tutti i popolani, di questa e di molte altre città, cascano come polli alle mie offerte. Non hai idea di quanto io guadagni a spacciare questa robaccia per magia d’alto livello! Ascolta, io inizio a perdere le forze, e mi farebbe molto comodo un aiutante bello sveglio. Se vorrai seguirmi nei miei viaggi e aiutarmi a vendere la mia mercanzia ti prometto che non avrai di che pentirtene” e, a sottolineare le sue parole, estrasse un sacchetto pieno zeppo di monete d’oro massiccio, lo appoggiò sul tavolo e lo spinse nella direzione del giovane. Il Predestinato si fermò un istante, e soppesò quel sacchetto con molta attenzione. Erano davvero tanti soldi. Quel vecchietto era proprio pieno di risorse, non si poteva negarlo. Una vita passata a nuotare nell’oro, a discapito dei poveri stolti che avrebbero abboccato alle sue menzogne? No, non poteva essere quello che faceva per lui. Si allontanò dalla bancarella, lasciando il Cupido Commerciante a borbottare insoddisfatto. Che si tenesse i suoi soldi e i suoi sporchi affari! Sarebbe stato ben altro ad attendere il Predestinato.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo eccezionale Fato.

 

Due abbondanti settimane, forse anche tre, trascorsero senza particolari intoppi. Gli uccellini cantavano sui loro rami, intorno si sentiva il placido scorrere dell’acqua di un torrente, e il dolce vento che soffiava tra gli arbusti. Il Predestinato avanzava canticchiando un motivetto allegro, pregustando le grandi gesta che lo attendevano lungo la Sinuosa Strada. Iniziò a scorgere qua e là dei cartelli, che annunciavano di lì a qualche giorno di cammino l’inizio dei territori di un vicino Regno Radioso. Questo accese ancor più la speranza nel petto del giovane. Forse era proprio quella la landa in cui avrebbe mostrato al mondo di che pasta era fatto, e scritto a lettere d’oro il suo nome nella storia. Pieno di vigore come non mai infuse ancora più ardore nella sua instancabile marcia. Un bel giorno, giunto in una radura in cui gli alberi erano più diradati, gli parve di scorgere del fumo levarsi nel cielo. Rimase incuriosito e, dato che la sua Strada lo conduceva proprio in quella direzione, decise di andare a vedere quanto prima che cosa stesse a significare quel fumo. Scoprì, con un certo stupore, che si trattava di un paese del tutto circondato dalla Foresta. Doveva essere stato fondato da non molto tempo, osservò, vedendo che ancora i cittadini correvano avanti e indietro, impegnati a tagliare gli alberi per creare spazio per costruire nuove case. Non appena si avvicinò, ben tre piccoli cortei, ben distinti tra loro, gli andarono incontro. A guidare le tre delegazioni c’erano tre uomini di chiara elevazione sociale. Erano un Patrizio Purpureo, un Titolato Turchese e un Aristocratico Ambrato. Il Patrizio era alto e snello come un chiodo, dal naso appuntito e dai capelli schiariti dal tempo. Il Titolato era basso e grasso come una botte, dalla folta chioma e dotato di un sorriso sfavillante. L’Aristocratico non era né alto né basso, né magro né grasso, e aveva degli occhi vispi e molto ammiccanti. I gran signori cercarono di accogliere il Predestinato, ma i loro modi apparivano goffi e approssimativi. Era tutto un continuo di interruzioni reciproche, e ciascuno dei tre cercava con insistenza un modo per risaltare più degli altri. Il Patrizio Purpureo lo invitò a un banchetto nella Residenza Rossa, il Titolato Turchese gli offrì la sua ospitalità preso l’Abitazione Azzurra e l’Aristocratico Ambrato gli chiese di presenziare a un convitto al Maniero Mandarino. Gli animi si scaldarono, e per un attimo i tre rischiarono di sfociare in un vero e proprio Parapiglia Policromo, trattenuti a stento dai rispettivi cortei. Giusto un istante prima del disastro si alzò una voce femminea. Era calma, suadente e al tempo stesso imperiosa: “Signori!”

Quella parola bastò a placare le ire dei tre nobili. A parlare era stata una dama vestita di grigio, una Subdola Suggeritrice: “Io credo che il nostro visitatore sarebbe meglio accolto nella grande piazza comune. In questo modo avrà modo di giudicare tutte le vostre cortesie, e di certo sarà in grado di capire da solo quale sia la migliore”

Non appena ebbe terminato di parlare i tre signori assentirono, plaudendo alla genialità dell’idea. Si inchinarono alla dama e all’ospite appena giunto, facendo a gara anche a chi si chinasse più in basso, poi radunarono i loro seguiti e si diressero in fretta e furia a preparare l’accoglienza più festosa possibile.

Quella sera, nella piazza, si tenne un banchetto che sarebbe poco chiamarlo maestoso. Tre tavolate, uno per nobile, posizionati in modo tale da avere tre posti a capotavola il più lontano possibile tra loro, mentre l’altra estremità era in comune. Al centro sedevano la Suggeritrice e il Predestinato, che avevano dunque modo, ruotando appena le sedie, di gustare le leccornie di tutti e tre i tavoli. Fu una serata spropositata. Ciascuno dei tre nobili aveva i suoi cuochi, che avevano lavorato col massimo impegno, i suoi musici, che cercavano con ogni mezzo possibile di sovrastare gli altri, i suoi commensali, che cercavano ogni pettegolezzo possibile per glorificare il proprio padrone e screditare gli altri. Quando la cena fu finita, i tre nobili si precipitarono a porgere dei doni al Predestinato, e a offrirgli un posto per dormire. Il Patrizio Purpureo gli fece portare un Celere Cavallo, il Titolato Turchese una Scintillante Spada e l’Aristocratico Ambrato una Signorile Saccoccia piena zeppa di monete d’oro. Prima ancora che il giovane avesse la possibilità di ringraziarli, o di decidere da quale dei tre gentiluomini passare la notte, la Suggeritrice prese di nuovo la parola: “Il nostro ospite vi è estremamente grato per la vostra generosità, ma è molto stanco, e preferirebbe passare la notte nella mia dimora. Così facendo avrà la possibilità di ringraziare adeguatamente ciascuno di voi domattina”, al che i tre si congedarono senza battere ciglio.

“Vedi” disse la Subdola Suggeritrice al giovane, quando furono rimasti soli “Un tempo quei tre citrulli erano ottimi amici, e regnavano su questa città in armonia. Ma da quando sono arrivata non ho fatto altro che seminare discordia e zizzania tra loro. Ora, con qualche menzogna e qualche falsa promessa, posso vivere della loro inimicizia. Faranno a gara a chi può compiacermi meglio, e cercheranno di esaudire anche ogni tua richiesta, se sarai al mio fianco. La tua prestanza e il tuo bell’aspetto basteranno a farli rodere fino a crepare, al solo pensiero di saperti al servizio di un altro signore. Con te potrò convincere quei tre a dissanguarsi pur di avere i nostri favori. E se mai un giorno finiranno le risorse per soddisfarci ci basterà spostarci in un diverso paese, e ricominciare da capo. Credimi, non avrai bisogno di faticare un solo giorno della tua vita, se imparerai da me l’arte dello spargere dissenso”

Il Predestinato rifletté. Poteva essere questo ciò che il destino aveva in serbo per lui? Una vita di ozio e di lusso, senza alcuna preoccupazione o problema, a patto di essere in grado di mettere l’uno contro l’altro tutti quelli che lo circondavano? Per quanto allettante, non sembrava offrirgli l’epica gloria che stava cercando. Quella stessa notte, mentre la Suggeritrice dormiva, raccolse i suoi averi e abbandonò quel paese maledetto dalla discordia.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo straordinario Fato.

 

La Sinuosa Strada condusse il Predestinato al di fuori della foresta, in una valle sconfinata. La luce del Sole, che per troppo tempo aveva visto soltanto filtrata attraverso le chiome degli alberi, lo investiva splendente come non mai. Il panorama era pacifico e tranquillo, e la Strada si estendeva ancora al di là di quanto l’occhio potesse scorgere, ma questa visione non scoraggiò affatto il giovane uomo. Per quanto potesse essere lungo il suo tragitto egli l’avrebbe compiuto senza esitare. Anzi, fu colto da una certa soddisfazione quando scoprì di essere infine entrato a tutti gli effetti nel Regno Radioso. Inoltre non sentiva più neanche la fatica del cammino, grazie alla sua aggraziata cavalcatura. Iniziò a incontrare più viaggiatori durante il cammino, e molti rimasero sorpresi di sapere che veniva dalla Folta Foresta. Erano ben pochi, venne a sapere, quelli che giungevano nel Regno da quella parte. Ciononostante, nessuno parve mostrare astio nei suoi confronti, perché i forestieri erano sempre ben accolti nel Regno Radioso.

Un bel giorno il Predestinato giunse in una Contenuta Cittadella. Era un borgo piuttosto modesto, e il giovane non ci avrebbe rivolto molta attenzione, se non fosse che mentre cavalcava lungo la strada principale a un tratto il suo Celere Cavallo iniziò a zoppicare. Il Predestinato scese di sella, per capire cosa fosse successo, e vide che uno degli zoccoli si era danneggiato. Si mise dunque a cercare un posto dove sostituirlo. Un Provvidenziale Passante gli indicò dove poteva trovare un Fedele Fabbro, a suo dire il migliore di tutto il reame. Non fu difficile trovare la sua Ferrigna Fucina, piccola ma ben tenuta, dal cui camino usciva un forte fumo nero. Il suono del ferro battuto rimbombava a un ritmo costante e preciso. Il Predestinato bussò alla porta, e dopo qualche istante si trovò di fronte al Fabbro. Questi era un omaccione grande e grosso, sporco e sudato per il suo lavoro. Sentita la richiesta del giovane, esaminò con occhio esperto il Cavallo “La bestia è un animale non da poco” commentò “Ma i suoi ferri sono stati realizzati più per essere belli che non per essere utili. Con tutto il rispetto, credo che sarebbe meglio per l’animale e per voi se ne forgiassi quattro nuovi di zecca. Il Cavallo certo sarebbe più comodo, e voi potreste viaggiare con molti meno intoppi”. Il Predestinato annuì, e pagò l’opera del Fabbro con una manciata di monete dalla Signorile Saccoccia. Incuriosito dal suo lavoro, gli chiese inoltre di assistere alla forgiatura dei ferri. Il Fabbro acconsentì volentieri. Era tanto esperto da potersi permettere di parlare mentre lavorava. “Il mio lavoro” spiegò mentre fondeva il metallo “Può sembrare umile, ma è onesto e utile. Non tutti la pensano come me, molti preferiscono gestire botteghe meno impegnative, ma io credo che non esista una soddisfazione più grande di vedere il proprio lavoro mentre viene plasmato con la fatica.”

Si interruppe per un istante. Si asciugò il sudore dalla fronte e osservò con attenzione il metallo fuso.  Quando fu soddisfatto, riprese: “Un giorno un uomo, un Malcontento Mercenario, venne lungo la Strada a gridando a squarciagola. Diceva che era pronto a pagare una fortuna a chiunque lo avesse seguito. Era sul punto di partire per una Magnifica Missione, e offriva grosse sacche piene di soldi a destra e a manca. Ha anche bussato alla mia porta. Ha detto che la mia forza gli sarebbe stata molto utile, e che io sarei stato abbondantemente ricompensato. Beh, come potete vedere sono ancora qui. Per quanto mi riguarda, non abbandonerei mai il mio martello, il mio fuoco e il mio sudore, neanche per tutto l’oro del mondo. Mio padre ha forgiato il metallo in questa Ferrigna Fucina, e il padre di mio padre prima di lui.”

Sorpreso dal suo modo di parlare, il Predestinato gli chiese se per caso ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa che avrebbe desiderato e che lo avrebbe reso ancora più felice. Il Fedele Fabbro rimase in silenzio per qualche minuto, poi rispose “La cosa che mi piacerebbe di più sarebbe avere un apprendista. Qualcuno che mi aiuti, qualcuno a cui insegnare il mio lavoro e tutti i segreti della lavorazione del ferro che ho imparato da mio padre e dai miei anni di lavoro. Se avessi un apprendista, credo che davvero mi rimarrebbe poco o nulla da chiedere al Fato”.

Il Predestinato fu attraversato dal pensiero di offrirsi lui come apprendista. Di restare con il Fedele Fabbro a imparare la sua arte, a forgiare utensili e armi dall’incandescente fuoco. Ma durò solo un istante, perché si ricordò subito che ben altra gloria lo attendeva. Attese che il Fabbro terminasse il suo lavoro in silenzio.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo emozionante Fato.

 

Il Regno Radioso era vasto quanto era splendido. La gente che incrociava il Predestinato era sempre gentile e bendisposta, e viaggiare tra i prati fioriti e i campi coltivati che iniziavano a germogliare, riempiva il cuore del giovane di buonumore. Quando scendeva la notte spesso non doveva neanche accamparsi, gli bastava chiedere ospitalità per venire accolto con la stessa gioia con cui si riceve un parente da tempo assente. Per non abusare dell’ospitalità degli abitanti aveva preso l’abitudine di lasciare loro una moneta d’oro sulla tavola, ogni volta che lasciava la loro casa al mattino. Inoltre erano tutti molto curiosi, e di certo non gli dispiaceva rispondere alle loro domande sui posti che aveva visitato nella Folta Foresta. Quando gli chiedevano dove fosse diretto, lui rispondeva che cercava il suo Fato. Evidentemente le chiacchiere dei paesani viaggiavano più veloci del Celere Cavallo, poiché a un certo punto il Predestinato scoprì che si erano diffuse delle voci su di lui, su questo cavaliere giunto da molto lontano per compiere grandi imprese. Ne fu soddisfatto. Era forse il primo passo verso la sua imperitura gloria.

Passarono settimane, forse anche un mese. La Sinuosa Strada lo condusse fino alla Colossale Capitale del Regno. Era la città più grande che avesse mai visto. Lo splendore e la bellezza dei palazzi fecero sorgere in lui il forte desiderio di incontrare l’uomo che regnava su un posto tanto magnifico. Gli risposero, però, che il Magnanimo Monarca non si trovava nella Capitale al momento. Si era assentato per viaggiare in lungo e in largo nel Regno, per capire come poter venire incontro ai problemi che affliggevano i suoi Sinceri Sudditi.

A sentire queste parole nacque il giovane provò un moto di ammirazione per un sovrano tanto giusto e saggio, ma al contempo anche un certo rammarico, perché temeva di non avere l’occasione di conoscerlo. Di certo non poteva abbandonare la sua Strada. Ma si riscosse. Se era volere del Fato, allora lo avrebbe incontrato.  Decise comunque di restare almeno qualche giorno nella Capitale, per poterla vedere meglio, e si organizzò per passare le notti in una Luculliana Locanda. Gli costò molto caro, tanto che la Signorile Saccoccia si trovò mezza vuota, ma il cibo e il letto valsero la spesa di ogni moneta.

Un giorno, mentre passeggiava per le vie della Capitale, il Predestinato si imbatté in una scena piuttosto bizzarra. Un Arrogante Agiato e un Malridotto Mendicante erano nel mezzo di un’animosa lite. Il Predestinato si mise in mezzo a loro proprio un istante prima che la discussione degenerasse in una baruffa. Presto accorsero tre Solerti Soldati, che li condussero tutti al Tenace Tribunale.

A presiedere il processo vi era un Giudice Galantuomo, che non ci mise molto a verificare l’innocenza dell’intervento del Predestinato. “Lei è libero di andare” dichiarò solenne.

Il giovane, che era rimasto incuriosito dalla vicenda, espresse il desiderio di rimanere per capire che cosa fosse successo. Il Giudice non ebbe nulla da obiettare “La Giustizia è cieca, ma non ha nulla da nascondere allo sguardo altrui” enunciò. Dopodiché, fece parlare i due litiganti.

L’Arrogante Agiato denunciò il comportamento del Mendicante. Lo accusò di aver dormito sotto la copertura del balcone della sua casa, rifiutando sia di andarsene sia di pagargli un affitto. Il Malridotto Mendicante, quasi in lacrime, disse di non aver nessun altro posto dove andare e di non aver altro modo per ripararsi dalla pioggia. Il Giudice annuì con severità, fece controllare con diligenza la veridicità delle testimonianze e si allontanò qualche minuto per deliberare.

“Il verdetto” pronunciò infine “È che d’ora in poi al Mendicante sia proibito dormire sotto la protezione del balcone del cittadino Agiato” il ricco esultò, ma il martelletto del Giudice rimbombò sul banco “Non avevo ancora terminato! Dicevo, al Mendicante sia proibito… eccetera eccetera… a condizione che il cittadino Agiato gli offra un mese di permanenza alla Luculliana Locanda. La seduta è sciolta!”

Il Predestinato provò soddisfazione per l’espressione stupefatta che comparve sul volto di quel presuntuoso riccastro, e volle congratularsi con il Giudice per la sua saggezza. Questi parve lusingato, anche se fece del suo meglio per mostrarsi impassibile “Ho fatto il mio dovere, né più né meno. Il Mendicante voleva un posto dove stare, l’Agiato non voleva che il Mendicante occupasse lo spazio intorno alla sua abitazione. Personalmente lo trovo un compromesso più che accettabile. E con un po’ di fortuna insegnerà un po’ di umiltà a quell’Arrogante. La Giustizia… è materia molto delicata. La Legge del Magnanimo Monarca impone di proteggere i deboli e chi è in difficoltà, ma anche se la Legge è giusta non significa che sia facile amministrare la giustizia.” scosse il capo, colto da pensieri e memorie di tutti i casi che aveva presieduto “Ci sono situazioni molto più complesse. Dei veri rompicapi. Il povero che ruba per sfamarsi. Fratelli che litigano tra loro per spartirsi l’eredità del padre… il mio è un lavoro complicato. Occorre raziocinio, per trovare la soluzione migliore, e molta virtù, per non lasciarsi corrompere né dai soldi né dalla pigrizia. È un compito molto, molto duro, e tutto ciò che posso fare è svolgerlo al meglio delle mie possibilità”.

Il Predestinato rimase ammaliato da quelle dichiarazioni. Erano parole molto forti, molto profonde. E se il suo Fato fosse stato quello di amministrare la legge, di donare giustizia a chi la chiedeva a gran voce, di raddrizzare i torti con la legge alla mano?

C’era qualcosa che non gli tornava, però. Aveva ancora la sensazione che non fosse abbastanza per lui, che il suo Fato fosse più grande, più nobile. Così, con grande rispetto, si congedò dal Giudice.

Tornato alla Locanda per recuperare i bagagli intravide l’Agiato con una faccia nera per la rabbia pagare una sacca ben piena di soldi all’oste. Gli sfuggì una risatina compiaciuta, poi sellò il suo Cavallo.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo legittimo fato.

 

Passò altro tempo. Sole, pioggia, vento e tempesta si contesero il cielo sotto cui cavalcava noncurante il Perfetto Predestinato. Era consapevole di essere vicino al compimento del suo Fato, sentiva quasi di poterlo afferrare con la mano. Quindi continuava, continuava a spronare il suo Celere Cavallo. Non poteva fermarsi proprio a un passo dal successo.

Giunse in vista di un Valido Villaggio. Non era nelle sue intenzioni fermarsi a lungo, ma vide su un volantino l’annuncio di un Trionfale Torneo indetto dal Magnanimo Monarca in persona. Ecco, quella sarebbe stata la sua grande occasione. Grazie alle sue doti nessuno avrebbe potuto tenergli testa, avrebbe potuto fare colpo sul re, che di certo avrebbe saputo indirizzarlo una volta per tutte alla gloria che gli spettava di diritto.

Mentre pagava il conto alla Locale Locanda si accorse che i soldi della sua Signorile Saccoccia iniziavano a scarseggiare, ma non se ne curò. Dopotutto si sentiva già in tasca i soldi della vincita del Torneo, e della paga che di certo il Magnanimo Monarca gli avrebbe offerto se lo avesse preso nei suoi cavalieri.

Il Predestinato passò i giorni successivi nel cortile della Locanda, ad allenarsi. Era più che sicuro di vincere, ma voleva essere certo di mostrare il meglio della propria forma, le sue mosse più eleganti, per fare colpo sul re.

Giunse infine il giorno del Trionfale Torneo. I Competitivi Contendenti si squadravano l’un l’altro nel campo, armati fino ai denti e pronti a dimostrare il loro valore. Il Predestinato alzò lo sguardo verso le tribune e fu piuttosto deluso dallo scoprire vuoto lo scranno riservato al re. Ma non aveva importanza. Di certo i nobiluomini e i suoi consiglieri che osservavano la sfida gli avrebbero raccontato del suo indiscusso valore, una volta che la polvere del duello si fosse posata.

Gli scontri cominciarono al suono di un corno. Erano duelli uno contro uno, in cui tutto era valido salvo le ferite gravi. Il Perfetto Predestinato non si prese neanche la briga di studiare chi aveva di fronte. Piroettava da un lato all’altro del campo di battaglia, stordendo i Contendenti con la sua agilità, per poi sferrare un devastante colpo diretto quando meno se lo aspettavano. In pochi riuscirono a resistere abbastanza a lungo da ricevere il terzo colpo. Sbaragliò con facilità tutti i suoi avversari che ebbero la sfortuna di affrontarlo, senza mai venire ferito neanche di striscio.

Giunse quindi senza alcun problema all’ultima sfida. L’altro finalista era un Coraggioso Cavaliere, a tutti gli effetti il braccio destro del Monarca, che si era distinto per forza, valore e fedeltà in mille occasioni. Quando le loro armi cozzarono, però, la lama della Scintillante Spada, superba a vedersi ma forgiata più per estetica che non per venire usata in un vero scontro, si spezzò in mille pezzi. Il Predestinato balzò all’indietro. Non se l’aspettava.

Il Cavaliere, da combattente leale qual era, si offrì di interrompere il duello per dargli l’occasione di prendere un’altra spada, ma il Predestinato declinò. Era proprio l’occasione che gli serviva per mostrare chi era davvero. Non aveva bisogno di una spada per vincere. Caricò l’avversario a testa bassa, schivò un fendente all’ultimo istante e lo colpì al mento con un pugno. Il Cavaliere barcollò, e fu costretto a rinculare. Il Predestinato lo sommerse sotto una raffica di colpi, e infine riuscì ad afferrargli il braccio e a torcerlo. La presa sulla spada del suo avversario si indebolì, e il giovane ne approfittò per disarmarlo.

Il Cavaliere fu costretto ad ammettere la sconfitta, e si congratulò con il campione. Si offrì di donare la sua spada al Predestinato, ma questi rifiutò. Con gli occhi già scrutava la folla che lo acclamava, nella speranza di scorgere il sigillo del re, ma non lo vide.

Un po’ deluso, fece per lasciare l’arena, ma venne fermato da un Mansueto Mendico, un vecchio incappucciato accompagnato da un Nervoso Nerboruto.

“Giovane” gli disse il Mendico “Hai dimostrato forza, coraggio e arguzia nel Torneo di oggi. Devi essere ben fiero di te stesso”

Il Predestinato sorrise, e rispose che era contento di aver dato quell’impressione. “Ho sentito parlare, di recente” continuò il vecchio, con aria pensierosa “Di un giovane cavaliere prodigio che percorre il Regno Radioso seguendo la Sinuosa Strada per trovare il proprio Fato” alzò il mantello, mostrando sul suo petto una veste molto più raffinata, su cui era ricamato lo stemma reale. Quell’uomo era il Magnanimo Monarca, travestito da Mendico per vagliare i problemi del popolo con maggiore discrezione, e il Nerboruto che lo accompagnava era la sua fidata scorta. “Giovane cavaliere” riprese il Monarca “Per caso, potrei umilmente permettermi di offrirti un destino al mio fianco?”

Il Predestinato non stava più nella pelle per l’eccitazione. Chiese al sovrano quali pericolose missioni avrebbe potuto affidargli. C’erano draghi che minacciavano il suo Regno? Un sanguinario nemico venuto dall’Oriente metteva in pericolo la pace del suo popolo? Qualche mago crudele aveva lanciato un’oscura malizia su un villaggio indifeso?

Il Monarca sorrise “Niente di tutto questo. Anzi, il mio Regno sta vivendo un periodo di pace come pochi ne ricordano gli storici, e ne sono molto soddisfatto. Non vedo conflitti all’orizzonte, né vedo motivo di iniziarne, e ad ogni modo saremmo più che pronti a difenderci. No, quello di cui ho bisogno in questo momento è di altri consiglieri. Persone che viaggino per il Regno come me per trovare torti da riparare e problemi da risolvere, oppure che stiano nella Colossale Capitale a discutere di quali leggi possano essere più sagge e più giuste. Il mio Regno è florido, ma sento che c’è ancora molto lavoro da fare, tanto nei villaggi quanto nel palazzo. Se accetterai il mio incarico e ti dimostrerai degno ti concederò molto potere. Ricorda, dovrai sempre usarlo per il bene del popolo, e mai per il tuo interesse personale. Dunque… sarai al mio fianco nel compito di governare questo Regno Radioso?”

Il Predestinato rifletté. Era un’offerta che non capitava tutti i giorni. Nel consiglio del re avrebbe potuto mostrare la sua saggezza, però… sarebbe stato abbastanza? Non sarebbe stato un po’ uno spreco del suo immenso potenziale? E poi, non avrebbe rischiato di divenire invisibile in mezzo alle folte schiere di consiglieri di cui si era circondato il sovrano? Non c’era molta occasione di gloria in quella corte.

Con tutta la cortesia possibile, declinò l’invito. Il Monarca parve dispiaciuto, ma accettò la decisione del giovane “E sia. Ti auguro buon viaggio, giovane cavaliere. Spero tu possa trovare il Fato che cerchi così appassionatamente”.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo grandioso Fato.

 

I giorni si erano trasformati in settimane, e le settimane in mesi. Il Predestinato era irato e scontento. La Sinuosa Strada che doveva condurlo al suo Fato ancora non accennava a giungere al termine. Continuava a estendersi a perdita d’occhio, noncurante di quanto cammino avesse già percorso il Predestinato. Quanto tempo era passato da che aveva abbandonato il suo villaggio natale, da quando aveva detto addio ai suoi genitori? Tanto. Troppo. E cosa aveva ottenuto? Niente. Il suo Fato beffardo continuava a restare al di fuori della sua portata. Il giovane Predestinato proseguiva, spronando sempre di più il suo Cavallo, consumato come da una furia cieca e inarrestabile. Purtroppo, in un giorno dal cielo grigio pieno di nuvole di pioggia, il Celere Cavallo che tanto a lungo aveva trasportato il Predestinato nitrì disperato e si accasciò al suolo, facendo ruzzolare il suo cavaliere nel fango. Il Predestinato si rialzò, furioso, e percosse l’animale con un colpo. La bestia rimase immobile. Esaminandolo meglio il giovane comprese che era morto per la troppa fatica. Senza mostrare una sola traccia di scoraggiamento, il Predestinato raccolse i suoi bagagli e riprese a seguire la Strada a piedi. Aveva iniziato la sua ricerca del Fato senza un cavallo, non gliene serviva uno per concluderla. Molte altre persone si sarebbero arrese alla disperazione, nelle sue condizioni. Sempre meno soldi nella Saccoccia, la Spada e il Cavallo perduti e ancora nessun indizio della prossimità della sua meta. Ma lui non era una persona qualsiasi. Lui era il Perfetto Predestinato. Anche stanco, fradicio per la pioggia e infangato sarebbe riuscito a completare il suo viaggio.

Camminò senza sosta per tutto il pomeriggio. La sera, sfinito dalla fatica, giunse a un Ospitale Ostello. Sentì più che mai il bisogno di fermarsi a prendere fiato, almeno per una notte, almeno per lavarsi e rinfrescarsi. Così fece, e subito si sentì molto meglio. Certo, non aveva più una cavalcatura, ma la fatica non lo intimoriva. Scese a consumare la sua cena, e non appena entrò nella sala da pranzo udì le soavi note di un liuto. Vide una piccola folla di Attoniti Astanti circondare un gentiluomo vestito di ricche vesti purpuree che pizzicava le corde del suo strumento con grazia e maestria. Egli era un Magistrale Menestrello, giunto da quelle parti per caso, che aveva ben pensato di offrire all’Onesto Oste di pagarsi il vitto e l’alloggio con la sua arte. La cena di tutti gli Astanti fu resa cento volte più dolce dalle canzoni del Menestrello. Anche il Predestinato trovò pace e tranquillità nella deliziosa melodia dell’artista. C’era però qualcosa che non gli andava giù. Non riusciva a capire cosa fosse, ma qualcosa di quel Menestrello proprio gli impediva di apprezzarlo come facevano gli altri.

“Cos’è quel muso lungo, compare?”

Il Menestrello, terminato di suonare e cantare, era sgusciato via dagli applausi della folla per sedersi accanto al Predestinato. Il giovane lo guardò un po’ storto, ma non rispose. Non sapeva cosa dirgli. Il cantore finse di non notare l’occhiataccia che aveva ricevuto, e riprese a parlare abbassando un po’ il tono della voce “Amico, non c’è bisogno di far finta di niente. Guarda che ho capito. Ti ho notato mentre suonavo, e so qual è il tuo problema”

Il Predestinato alzò un sopracciglio. Davvero? Davvero un cantastorie qualsiasi era riuscito a comprendere soltanto fissandolo un problema che non era chiaro neanche a lui stesso?
“Riconoscerei ovunque quel tipo di sguardo. È invidia. Pura e semplice. Volevi esserci tu al mio posto, volevi l’attenzione della folla tutta per te. Non c’è niente di male, dico davvero. Dopotutto io ci vivo di questo. Anzi, forse forse potresti farlo anche tu. Chi può dirlo? Potresti imparare a suonare, e magari poi si scopre che non sei male a canticchiare… poi da cosa nasce cosa… e di qui a qualche anno ti ritrovi come me a mangiare e a dormire dove senza tirare fuori un soldo di tasca. Potrebbero anche invitarti a esibirti alle feste e alle corti, perché no? Pensaci, mio caro. Avresti tutto il pubblico che potresti mai desiderare. Potrei insegnarti qualche trucco del mestiere, se ti interessa. Non mi dispiacerebbe avere un allievo, tutto sommato. È da troppo tempo che viaggio da solo…”

Il Predestinato si alzò di scatto e se ne andò senza neanche lasciargli il tempo di finire di parlare. Ma di che diavolo stava parlando? Ma si sentiva? Le sue parole erano boriose e offensive. Come se lui avesse bisogno dell’attenzione altrui. Il suo unico obiettivo era il suo Fato, quello che gli spettava di diritto, quello che gli era stato promesso. E poi che razza di gloria è limitarsi a vagare e offrire canzoni a destra e a manca? No, a lui spettava di più, molto di più. Si recò nella sua stanza, si concesse una notte di riposo e all’alba riprese il cammino lungo la Sinuosa Strada.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo magnifico Fato.

 

Il cammino si faceva sempre più duro. La Strada si inerpicava su e giù lungo colline sempre più alte e ripide, rendendo il viaggio del Predestinato ancora più arduo. Come se non bastasse, la stagione si era fatta molto poco clemente, e temporali e piogge erano sempre più frequenti. Ogni volta che il Predestinato si fermava sentiva le gambe doloranti e sfinite. Iniziò persino a perdere la cognizione del tempo. Per lui era come se esistesse solo il momento di incamminarsi al mattino, il momento di fermarsi a mangiare, il momento di riposare, la Sinuosa Strada e la promessa di trovare il suo Fato. Tutto il resto era come se sparisse, come se non avesse più nessuna importanza… o come se non l’avesse mai avuta.

Si era molto allontanato dal centro del Regno Radioso, e gli incontri lungo la Strada erano sempre più rari. Ma non aveva intenzione di arrendersi, non finché non fosse giunto alla propria destinazione.

Giunse un giorno in un Babelico Borgo. Era una cittadina piuttosto piccola, ma di grande importanza commerciale, dato che era un insediamento portuale. Come suo solito, cercò di trovare un luogo dove passare la notte al chiuso, al riparo dalle intemperie. Si trovò però invischiato in una Frenetica Fiumana di Poveri Pescatori, Magri Mercanti e altri Indistinti Individui. Era oppresso, schiacciato dalla Fiumana e costretto a farsi strada a gomitate e spintoni.

Riuscì, seppure a stento, a raggiungere un Sinistro Slargo dove poté riprendere fiato. Si sedette un momento a riposare. C’era davvero tanta gente, per essere un posto così piccolo. Solo dopo qualche istante si accorse di una strana mancanza al fianco sinistro, dove teneva la Signorile Saccoccia. La sua mano scattò a tastare, e subito capì che la sua già scarsa riserva di soldi era sparita. Gli era scivolata nella Fiumana? O, più verosimile, qualche Passante Profittatore aveva colto l’occasione e aveva rubato la Saccoccia nella confusione?

L’unico modo per riavere i suoi soldi era ributtarsi nella mischia e cercare il colpevole. La sagacia per ritrovare il maltolto non gli mancava, quello che gli difettava erano le energie per farlo. In fondo poi ne valeva davvero la pena? La Saccoccia era comunque quasi vuota. E lui era ormai abituato ad accamparsi, quindi la cosa più semplice sarebbe stata riprendere il cammino, e…

“Sacripante, giovanotto, mi sembra abbattuto. Le è successo qualcosa?”

A parlare era stato un anziano e distinto signore che passava di lì per una viuzza secondaria e meno gremita. Il Predestinato, un po’ di malumore, gli spiegò con poche parole che era stato derubato. “Sacripante!” ripeté il figuro scuotendo la testa “Sono terribilmente dispiaciuto, figliolo. La prego, mi permetta di accompagnarla dai gendarmi, sono certo che potranno aiutarla” il Predestinato scosse il capo. Non c’era bisogno, erano comunque pochi soldi. Il signore si sistemò i suoi grossi occhiali sul naso un po’ abbondante e annuì “Capisco, capisco… mi permetta, almeno, di dimostrarle che non tutti i cittadini di questo Babelico Borgo sono tanto disonesti e disgraziati. Mi conceda di condividere con lei il mio tetto e la mia tavola, almeno per una notte”

Il giovane scrollò le spalle e acconsentì a seguire il suo improvvisato anfitrione. Costui, presentatosi come un Passionale Poeta, lo condusse per vie meno affollate a un edificio elegante e un po’ più isolato rispetto agli altri “La mia umile dimora” la presentò, con un filo di falsa modestia. Era un appartamento adornato e abbellito da numerosissimi cimeli, ornamenti e ogni genere di chincaglieria. Era una casa di dimensioni modeste, ma era tanto stracolma da sembrare ancora più piccola di quanto non fosse.

Il Poeta si mosse per preparare una dignitosa cena, lasciando il Predestinato libero di esplorare tutti i ricordi di quel bizzarro posto. Il giovane fece ballare l’occhio su tutti i cimeli che lo circondavano, ma si mosse poco, per evitare di rovesciare qualcosa per sbaglio. C’erano vasi antichi, fogli di appunti sparsi, quadri di personaggi ed eventi emeriti. Chissà se un giorno qualcuno avrebbe dipinto immagini per raffigurarlo. Ma che domanda era? Certo che lo avrebbero fatto, e in gran numero.

Nonostante la varietà di oggetti collezionati dal vecchio ciò che davvero riempiva la casa erano i libri. Potevano magari passare in secondo piano, nascosti dal resto, ma erano veramente tanti. Quasi ogni muro era in realtà una biblioteca stracolma, e altri volumi erano appoggiati alla rinfusa sui tavoli, sui mobili, persino sulle sedie. Ce n’era uno, però, che risaltava più degli altri. Era un enorme libro rosso aperto su un leggio proprio sulla tavola da pranzo. Questo Titanico Tomo era un’enorme raccolta di tutte le poesie scritte dal Passionale Poeta nel corso della sua vita. Scorrendolo brevemente, il Predestinato si accorse che i componimenti variavano per lunghezza, per metri, per temi e soprattutto per toni. Le opere giovanili apparivano leggere e scherzose, quelle più mature profonde e riflettute, soprattutto a tema amoroso, mentre gli ultimi versi erano molto più malinconici e tristi.

Il padrone di casa interruppe le sue letture entrando nella stanza con due ciotole di zuppa in mano. Si sedettero al tavolo apparecchiato in fretta e furia, ancora ingombrato da fogli mezzi scritti e con il Tomo sempre al centro, e lì consumarono il loro pasto. “Vedi” gli confidò il vecchio, finita la cena “Tu mi ricordi molto mio figlio, sai? Anche lui si è messo in cammino sulla Sinuosa Strada come te, e non è più tornato. Immagino che abbia trovato ciò che cercava.”

Calò il silenzio. Il Predestinato non aveva voglia di parlare del suo viaggio. Il vecchio provò a cambiare argomento “Hai dato un’occhiata alle mie opere, non è vero? Che te ne pare? Sai, quando ero giovane come te, scrivevo di tutto ciò che mi passava per la testa. Non avevo rispetto per niente o per nessuno. Ma tutto è cambiato, quando ho incontrato la mia Diletta Dama. È stato un amore beato e benedetto… ma purtroppo quei tempi sono ormai passati. Lei… non c’è più. E ormai anche il nostro adorato figlio se n’è andato. E così trascorro un’esistenza solitaria, circondato soltanto da anticaglie e ricordi.” i suoi occhi erano lucidi, ma il suo sorriso sembrava sincero “In realtà non è così male, sai? Non finché ho con me la mia arte. Ho scoperto che incastrare le passioni, le vere emozioni, in un’opera non è solo fondamentale per creare una composizione degna di questo nome, ma è anche un ottimo modo per liberare il cuore dei suoi fardelli. Ho voluto raccogliere tutti i miei scritti in quel Tomo per organizzare l’opera di tutta la mia vita. È consolante per me pensare che quando non sarò più, e forse non manca così tanto, i miei scritti resteranno su questa terra. Ho amato la lettura fin da quando ero un bambino. Mi ha sempre permesso di vivere le più incredibili avventure senza bisogno di fare un solo passo. La mia speranza è che i miei componimenti siano in grado di far appassionare e commuovere altri come mi sono commosso e appassionato io.”

Il Poeta continuò imperterrito a parlare, ma il Predestinato aveva ormai smesso di ascoltarlos. Che cosa gliene poteva importare delle vuote chiacchiere di un vecchio? Che cosa aveva fatto di tutta la sua vita? Una serie di macchie di inchiostro, ecco cosa. Emozioni incastrate in opere? Che perdita di tempo. Un modo patetico e pigro di slanciarsi verso una gloria effimera. Quando infine il Passionale Poeta si decise a chiudere il becco, il Predestinato lo ringraziò con poche parole e fece per partire. “Ma come?” il Poeta parve deluso “Mio caro, permettimi di ospitarti almeno per la notte, te ne prego. Non sentirti costretto a partire, puoi restare… puoi restare quanto vuoi. Io…” il Predestinato lo interruppe, gli spiegò che aveva un cammino molto lungo e che non poteva proprio fermarsi. Il vecchio parve rattristato, ma il giovane era già partito.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo intrigante Fato.

 

Il Perfetto Predestinato decise di evitare altri insediamenti. Tutti i posti che aveva visitato, tutti i luoghi in cui si era fermato lo avevano deluso, irritato e lasciato profondamente insoddisfatto. Tanto più che le voci che avevano iniziato a circolare sul misterioso e splendido cavaliere alla ricerca del proprio Fato si erano fatte più rare. Sembravano quasi sul punto di spegnersi del tutto. La sua unica reazione nel constatarlo fu uno sbuffo infastidito. Cosa contava? Un giorno la sua gloria avrebbe sarebbe andata ben oltre delle misere voci. Che il popolino trovasse pure qualcos’altro di cui parlare, per il momento. Presto sarebbe tornato sulla bocca di tutti. L’unica cosa che contava era seguire la Strada, la Sinuosa Strada che lo avrebbe condotto dove davvero meritava di stare. Quindi al diavolo tutti coloro che avrebbero cercato di rallentarlo. Ridusse anche il tempo per dormire o per curare il suo aspetto, dedicando ogni sua briciola di energia al cammino. La barba iniziò a crescere folta sul suo volto, e i capelli iniziarono ad apparire arruffati e mal curati, ma non era una sua preoccupazione. Una volta arrivato, una volta scoperti quali erano i meravigliosi piani che il Fato aveva in serbo per lui, ecco, allora avrebbe potuto tornare a occuparsi di cose tanto frivole come l’aspetto estetico.

Rinunciò anche all’idea di cacciare. Ci voleva troppo tempo, che andava sottratto al prezioso cammino. Decise di accontentarsi delle bacche e dei frutti selvatici che crescevano abbondanti ai lati del sentiero. Un mezzodì, dopo una fitta pioggia, trovò un bel gruppo di funghi violacei e ne fece una scorpacciata. Dopo qualche ora di cammino, però, iniziò ad avvertire delle fitte allo stomaco. In un primo momento provò a ignorare il dolore, appellandosi alla sua incredibile resistenza, ma il male cresceva sempre di più, finché non cadde bocconi per terra. Ogni sforzo di rialzarsi fu vano. Gli spasimi erano troppo forti, anche per lui.

Gli parve di sentire un rumore di passi che si avvicinavano, ma non riuscì neanche a tirarsi su quanto bastava per vedere chi fosse. Se erano banditi, come quelli che aveva incontrato all’inizio del viaggio, era spacciato. Non poteva certo combattere in quelle condizioni.

Il misterioso sopraggiunto gli poggiò una mano sulla spalla e lo rigirò con forza a pancia in su. Era troppo ben vestito per essere un brigante. Sugli abiti viola erano ricamati incomprensibili simboli a caratteri d’oro, e portava un cappello a punta simile a quello dei maghi. Nonostante i molti anni che dimostrava, la sua stretta era ancora decisa.

Il vecchio si accarezzò la lunga barba bianca, con fare pensoso. Tastò con aria esperta il ventre del Predestinato, prendendo mentalmente nota dei suoi gemiti. Dopo qualche istante, chiese in tono inquisitorio: “Ha per caso mangiato dei funghi color pervinca?”

Il Predestinato annuì, ancora boccheggiante. L’anziano signore bofonchiò a mezza voce, frugò per qualche momento in una bisaccia che portava a tracolla finché non ne estrasse un’ampolla piena fino all’orlo di un denso intruglio vermiglio, e lo fece trangugiare a forza al Predestinato. Il sapore era amaro e aspro, ma non appena ebbe finito di bere provò una sensazione di sollievo. “Quelli erano Miceli Maligni” borbottò, cupo “Sono molto pericolosi, se non vengono trattati come si deve. È fortunato che fossi uscito a raccoglierne un po’ per un mio elisir, giovanotto”

Il Predestinato lo ringraziò sommessamente, la voce ridotta a un sussurro. Tentò di levarsi in piedi per riprendere il suo viaggio, ma riuscì sì e no a mettersi in ginocchio prima di rovesciare di nuovo al suolo. “No, no, no!” brontolò il vecchio, sostenendolo “Non può mica cercare di alzarsi all’improvviso così! Le serve riposo” il Predestinato tentò di obiettare, ma alla prima parola il suo soccorritore lo zittì appoggiandogli un dito sulle labbra “Lasci fare a chi sa quel che fa, signore. Ora andiamo a casa mia, dove lei si sdraierà almeno per qualche ora. La pozione che ha bevuto contrasta il veleno dei Miceli, ma voglio assicurarmi di avergliene data abbastanza, e non ne ho altra con me. Non faccia storie, per il suo bene.”

Questo signore, un Acuto Alchimista che viveva solitario in quella zona, condusse il Predestinato alla sua dimora, un’alta Torre Turchina piena di trattati, alambicchi e provette. Il Predestinato avrebbe voluto riprendere subito il viaggio, ma i dolori ripresero a farsi sentire, e dovette accettare di passare un paio di giorni sotto le cure dell’Alchimista. Il vecchio era molto indaffarato a mescolare Misteriose Miscele, o a studiare i Vasti Volumi della sua libreria. Nonostante la sua volontà di seguire la Strada, il Predestinato non poteva negare di essere in qualche modo incuriosito dal lavoro dell’uomo che lo aveva salvato.

La sera in cui infine l’Alchimista stabilì la sua totale ripresa, il Predestinato decise di chiedergli in cosa consistessero le sue ricerche. In principio il vecchio si limitò a scuotere il capo borbottando, e non pareva intenzionato a rispondere, ma poi fece un respiro profondo e iniziò a spiegare “Fin da quando ero bambino sono stato curioso di… in realtà di tutto il mondo che ci circonda. Dagli alberi agli animali, dalle stelle del cielo ai misteriosi movimenti dell’animo umano. Ogni cosa costituisce un incredibile enigma, impossibile da decifrare per intero. Ho dedicato la mia vita a una continua e infinita ricerca. Ogni risposta che trovo mi porta a nuove domande, eppure non mi sono mai sentito arenato. Il mio studio si fa più preciso, più consapevole e più profondo ogni giorno di più. Saresti sorpreso se avessi la pazienza di ascoltare tutte le scoperte che ho fatto nel corso degli anni. Ormai sento di non avere più così tanto tempo a disposizione, e voglio usarlo al meglio. Sento di essere vicino a una svolta, e spero che qualcuno, dopo di me, riprenda in mano i testi che avrò lasciato e inizi a scrivere di suo pugno. Anche per questo sto riordinando al meglio i miei appunti. Voglio che siano precisi e comprensibili a chiunque vorrà svelare gli arcani misteri che ci circondano.”

Il Predestinato annuì. Un lavoro faticoso, e ingrato. Destinato a restare incompleto e a dover essere continuato da qualcun altro, poi da qualcun altro ancora, e ancora. Una ricerca senza fine, in cui ogni ricercatore rischiava di venire eclissato tanto dai predecessori quanto dai successori. Per fortuna il suo Fato sarebbe stato molto più glorioso. Salutò l’Acuto Alchimista e abbandonò per sempre la Torre Turchina.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo maestoso fato.

 

Giorni… o mesi? O forse anche anni? Ormai quasi non gli importava neanche più se era giorno o notte. Camminava senza sosta finché le gambe lo reggevano poi, stremato, si lasciava crollare sul ciglio della Strada e lì si addormentava. Intorno a lui il panorama mutava sempre più, le leggere salite lasciavano il posto a sentieri rocciosi e aspri, i colli erbosi diventavano picchi rocciosi, ma per lui non aveva alcuna importanza. L’unica cosa che contava era che non era ancora arrivato. Il suo Fato lo attendeva sempre più impaziente, e lui non si sarebbe arreso. La gloria era vicinissima, giusto un poco più in là.

Un giorno, il primo giorno di Sole dopo una serie di piogge ininterrotte, giunse a una piccola foresta su una cima, con una piccola pozza d’acqua. Aveva marciato senza sosta per tutta la notte, non aveva più fiato e gli dolevano tutte le ossa, quindi si lasciò scivolare ai piedi di un albero. Con le ultime forze si sistemò il mantello per proteggersi dal freddo, si calcò il cappello sul volto per coprire gli occhi dalla luce, e, del tutto stremato, cadde in un sonno profondo.

I suoi sogni furono inquieti e tormentati, come era ormai da più di quanto potesse ricordare. Quando erano iniziati quegli orribili incubi? Impossibile dirlo con certezza. Quando aveva lasciato il suo villaggio natale il riposo gli donava visioni di gloria futura. Ormai, che avesse gli occhi aperti o chiusi, l’unica cosa che vedeva era la Strada, la Strada che si estendeva all’infinito, e il suo Fato che lo attendeva con un ghigno beffardo, come se lo stesse deridendo.

D’un tratto un raggio di luce infranse le tenebre che lo circondavano. Ancora sonnacchioso, il Predestinato socchiuse un occhio. Intravide una sagoma confusa davanti a lui, che aveva sollevato la tesa del suo cappello e che aveva preso a giochicchiare con una ciocca dei suoi capelli. Scosse la testa, nel tentativo di riprendere del tutto i sensi, e cercò di concentrare lo sguardo. “Oh, perdonatemi, signore, vi supplico. Non volevo svegliarvi”

Queste parole, pronunciate con una voce dolce e melodiosa, erano state dette da una Fascinosa Fanciulla. Ella era radiosa e splendente. Le sue vesti erano umili, ma la sua bellezza era disarmante. Ogni suo movimento esprimeva grazia e dolcezza. Si era chinata davanti al Predestinato, e gli aveva alzato il cappello per vederlo meglio. Colpito dal suo aspetto e dai suoi modi, il Predestinato si alzò e si inchinò con il massimo rispetto. Lei gli rispose con una contenuta riverenza “Messere” disse “Perdonatemi ancora se ho turbato il vostro sonno. Ero venuta a prendere l’acqua al laghetto e vi ho visto. Sembravate così turbato…” il Predestinato le assicurò che non aveva nulla da farsi perdonare. “Ne sono lieta” sorrise lei, con delicatezza “Ma se volete riposare, mio signore, io vivo poco distante da qui. Potrei offrirvi un letto, se preferite”

Il Predestinato declinò l’offerta. Per qualche motivo, si sentiva rinato. Gli pareva di essere più forte che mai. Si offrì di aiutare la Fanciulla, se gli era possibile, e lei gli propose di fare un po’ di legna, cosa che il Predestinato accettò di fare volentieri. Valeva la pena fare un po’ di fatica, se significava avere di nuovo la possibilità di vederla sorridere. E lei gli sorrise, gli sorrise quando riportò la legna, quando l’aiutò a procurarsi frutti e bacche del bosco per la cena. La sua casa era piccola, ma molto accogliente. Quella sera, davanti a un fuoco che avevano acceso sotto le stelle, il Predestinato le chiese come mai viveva da sola nei boschi di quella montagna. Lei si prese tra le dita una ciocca dei suoi lunghi capelli e la tormentò un po’ prima di rispondere “Sono nata principessa di un Impietoso Impero non molto distante da qui. Sono cresciuta tra mille agi, e credevo di essere felice, ma non lo ero. Capii quanto era misera la mia condizione, quanto ero prigioniera di una gabbia dorata, quando mi dissero che avrei dovuto sposare un Nefando Nobile. Io non volevo, mi opposi con tutte le mie forze, implorai in ginocchio mio padre, l’Impavido Imperatore, ma non ci fu modo di convincerlo. Capii allora che avrei preferito mille volte vivere in miseria e morire da sola piuttosto che sposare un uomo che non amavo. Così, con l’aiuto di una mia Audace Ancella, fuggii dal palazzo in cui vivevo con giusto una manciata di soldi e mi rifugiai in questo Regno Radioso, dove spesi tutti i miei averi per questa casa. La mia Ancella, prima di separarsi da me, mi disse che la Sinuosa Strada che passa qui vicino è percorsa da viaggiatori molto speciali, e che forse uno di loro…” arrossì, e si coprì la bocca con le mani.

I giorni successivi furono forse i più lieti della vita del Predestinato. Le energie che per troppo tempo lo avevano abbandonato tornarono tutte di colpo, rendendolo ancora più prestante di prima, se possibile. Qualunque richiesta la Fanciulla potesse avere, lui era più che lieto di accontentarla. Iniziò a cacciare qualche animale selvatico, per permetterle di avere sulla tavola qualcosa di diverso, e un paio di volte andò a fare compere per lei in un Pacifico Paesino più a valle. Era la prima volta, da quando aveva iniziato il suo viaggio, che percorreva la Sinuosa Strada nella direzione opposta alla sua meta.

Il Predestinato aveva di nuovo perso la cognizione del tempo, ma in un modo del tutto diverso rispetto a prima. In passato i giorni erano monotoni, cupi e pesanti, e trascorrevano con una lentezza esasperante mentre lui si trascinava nel suo cammino. Ora invece il tempo volava con gioiosa armonia e lui si sentiva spensierato e felice.

Una sera, tornato da una commissione, il Predestinato trovò la Fanciulla che lo aspettava con un’aria strana, come se fosse preoccupata o in ansia per qualcosa. I suoi occhi color del cielo tremavano e guizzavano da tutte le parti, il suo respiro era affannoso e le sue guance erano rosse come delle fragoline selvatiche. Il Predestinato le chiese se c’era qualcosa che non andava, se avesse scoperto che qualcuno dall’Impero fosse sulle sue tracce, ma lei lo rassicurò che non era niente del genere. Gli disse “Ho una sorpresa per te. Chiudi gli occhi”. Il Predestinato, un po’ stupito, obbedì.

Sentì una dolce pressione sulle sue labbra, e poi le dolci mani di lei cingerlo in un abbraccio. Sorpreso, non poté fare meno di ricambiare l’abbraccio e il bacio, con amoroso impeto. Lei era più bella che mai, e il rossore per l’imbarazzo di ciò che aveva appena fatto la rendeva ancora più perfetta. “Ti prego, mio signore” gli sussurrò, mentre ancora si stringevano “Non lasciarmi mai. Non abbandonarmi. Promettimi che resterai con me per sempre”

Il Predestinato, senza riflettere, promise.

Quella notte, però, non riuscì a prendere sonno. Uscì dalla casetta per prendere un po’ d’aria. Non c’erano stelle quella notte. Nubi nere come il peccato coprivano l’intera volta celeste. Solo in quel momento il Predestinato si rendeva davvero conto di ciò che aveva promesso. Si era impegnato ad abbandonare per sempre il suo destino di gloria per l’amore della Fascinosa Fanciulla. Ne valeva la pena? Lasciar perdere tutta la grandezza che avrebbe potuto raggiungere per una donna? Lei era così… buona, e dolce, e sensibile, e delicata, e tenera, e così fragile… le avrebbe spezzato il cuore se avesse infranto la promessa. Fu sul punto di abbandonare per sempre la Sinuosa Strada, di rientrare e di addormentarsi al fianco della sua amata per quella che sarebbe stata la prima di innumerevoli notti… quando il desiderio che lo aveva animato per così tanto tempo si riaccese violento nel suo petto. Abbandonare la sua gloria? No, no. Lui era destinato alla grandezza, lo sapeva fin da quando era bambino. Ma quale grandezza poteva esserci per lui in quella montagna, in quella casa lontana da tutto e da tutti? No! Il Fato aveva ben altro in serbo per lui. Lui sapeva chi era. Lui era il Perfetto Predestinato. Non aveva bisogno di nessuno. Attento a non fare rumore, rientrò nella casa e in quattro e quattr’otto radunò tutto ciò che era suo, e riempì di provviste il suo fagotto. Il suo sguardo cadde per l’ultima volta sulla Fascinosa Fanciulla addormentata. Lei giaceva inquieta nel letto, e le sue braccia si agitavano come se fossero alla ricerca del corpo del Predestinato, del suo conforto. Conforto che non avrebbe mai più trovato. La Sinuosa Strada, che aveva trascurato per troppo tempo, lo aspettava.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo epico Fato.

 

La Strada era sempre più ripida, sempre più difficile da percorrere, ma il Predestinato non si perdeva d’animo. Tutta la fatica sarebbe stata ricompensata, una volta raggiunta la destinazione. E se anche il vento e il tuono si facevano sempre più forti e impressionanti, il suo coraggio incrollabile non veniva mai meno. Nessuna forza della natura sarebbe stata sufficiente per fermarlo. I suoi muscoli affaticati avrebbero retto, sottomessi dalla sua volontà d’acciaio. Nessuna impresa era troppo ardua per lui. Con tutto il tempo che aveva impiegato ad arrivare fin lì, con tutte le offerte di fermarsi che aveva rifiutato… di certo il premio sarebbe stato all’altezza, e lo avrebbe ripagato di tutti i sacrifici. Non c’era alcun dubbio al riguardo.

In un giorno di tempesta, il suo vagare lo condusse, malconcio e fradicio per la pioggia, a un Isolato Insediamento, l’ultimo borgo del Regno Radioso prima del confine. Il suo proposito, maturato ormai da tempo, sarebbe stato quello di evitare ogni contatto, ma era troppo stanco e infreddolito. Aveva bisogno di un po’ di calore e di lavarsi, ma non sapeva come permetterselo, non avendo più una sola moneta. Non poteva nemmeno vendere o barattare qualcosa in cambio di riparo, dato che non possedeva niente di valore. Si riparò dall’acqua sotto una tettoia, e lì rimase a riflettere su come fare a ottenere ospitalità, quando vide una figura coperta da un grande cappuccio avvicinarglisi. “Buona giornata, pellegrino. Pioviggina, nevvero?”

Il suo tono era allegro e gioviale. Appena lo raggiunse sotto la copertura, scoprì il suo volto. Era un Felice Frate, estroverso e cordiale. Portava sulle spalle un grosso sacco all’apparenza quasi vuoto, e dall’aspetto sembrava molto giovane. Il Predestinato, però, non era proprio dell’umore per battutine e scherzi “Che espressione corrucciata, fratello” commentò il Frate, senza abbandonare il suo sorriso “Beh, posso dire che hai proprio buon gusto. Hai scelto la più bella pensilina di tutto il villaggio per ripararti. Ma mi sentirei in vena di proporti, molto umilmente, un posto che potrebbe essere ancora migliore per evitare la furia del temporale. Almeno, uno più caldo. C’è una Calma Cappella, poco distante da qui, in cui quantomeno potrai sederti senza inzuppare il tuo povero posteriore. Se ti interessa, non hai che da seguirmi” e si allontanò di buon passo, rialzando il cappuccio per coprirsi dall’acquazzone. Il Predestinato scrollò le spalle. Di certo non aveva un posto migliore dove andare.

La Cappella era piccola e spoglia, ma a suo modo accogliente. Il fraticello lasciò che il suo ospite si sedesse e riposasse, e nel frattempo gli preparò un bagno e qualcosa da mangiare. L’acqua nella tinozza era fredda, e la cena era costituita da appena mezza pagnotta. “Perdonami, fratello, se la mia ospitalità è così limitata” si scusò il Frate “Ero andato a raccogliere qualche offerta dagli abitanti dell’Insediamento, ma è subito scoppiato il temporale, e ho dovuto interrompere il mio giro”

Dopo il misero pasto, ancora stretti dai morsi della fame, i due accesero un umile fuocherello nel camino, con la poca legna che avevano. La fiamma era piccola e non bastava affatto a scaldarli. Il Predestinato però notò che nonostante il freddo, la miseria e la fame il suo padrone di casa sorrideva, come se fosse più lieto che mai. Gli chiese che cosa lo rendesse tanto allegro, vista la sua povera vita. Il Felice Frate lo scrutò con sguardo penetrante e profondo. Poi riprese a sorridere “Fratello, l’unico modo che ho per rispondere alla tua domanda è raccontarti la mia storia.” Si strinse un po’ negli abiti ancora zuppi, per mettersi comodo, poi riprese: “Io sono nato unico figlio di un ricchissimo mercante. Per tutta la vita ho avuto abiti sfarzosi, mille cibarie e bevande sulla mia tavola e qualsiasi altra cosa che il denaro potesse comprare”

Il Predestinato lo fissava stupito e un po’ incredulo. Era un altro dei suoi scherzi?

“Dico davvero, non mi mancava niente. Eppure non ero soddisfatto. Per quanto lo sfarzo e il lusso riempissero la mia vita, mi sentivo consumare da un infinito e insaziabile vuoto dentro di me. Percepii lo stesso vuoto in mio padre. Lui cercava di colmarlo con tutti i soldi su cui riusciva a mettere le mani, ma più egli si arricchiva più ai miei occhi appariva misero. Un giorno di pioggia, proprio come questo, uscivo da un’osteria dopo un lauto banchetto coi miei amici. Vidi al lato della strada un Malnutrito Miserabile, che tentava inutilmente di stringersi nei suoi stracci per proteggersi dal freddo. In quel momento, quasi senza pensarci, mi tolsi il mantello che mi copriva dalla pioggia e glielo offrii. I suoi occhi si illuminarono di gratitudine e in quel momento, ti giuro, in quel momento per la prima volta nella mia vita mi sentii Felice. Fu allora che capii che per sentirmi completo non dovevo accumulare, bensì donare, donare tutto quello che potevo. Certo, mio padre non la prese bene, ma non me ne importava. Da allora divenni chi sono oggi, un Felice Frate che offre al prossimo tutto quello che può… anche metà dell’unico pezzo di pane che ha per cena. E… no, la vita di prima non mi manca per niente. Non mi mancano i manicaretti, i denari o i mantelli raffinati. Che me ne faccio di un mantello? Il mio cappuccio è molto più utile per ripararmi dalla pioggia.”

Che vita meschina, pensò il Predestinato. Una vita spesa a dare senza ottenere nulla in cambio, senza lasciare nessuna traccia del proprio passaggio. Senza dire una sola parola, si alzò e uscì dalla Cappella, noncurante del maltempo che continuava a imperversare. Non si voltò a osservare il volto del Frate. Non meritava un solo minuto in più del suo tempo. Ma mentre l’acqua continuava ad abbattersi impietosa su di lui, per un istante, un brevissimo e fugace istante, un dubbio attraversò la sua mente. Se la sua vita era davvero così sciagurata, se davvero non aveva nulla perché tutto ciò che aveva lo aveva regalato, come faceva a essere così felice?

Fugò in un lampo quel pensiero. La Strada era ancora lunga davanti a lui.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo memorabile Fato.

 

Il vento soffiava furioso e inclemente, e la neve fioccava fredda e crudele la notte che il Perfetto Predestinato giunse sulla Vetta Virtuosa, la cima del monte più alto del Regno Radioso. Una parte di lui si aspettava che la Sinuosa Strada si interrompesse lì, che fosse quello il punto in cui avrebbe infine trovato il suo Fato, ma vide che invece continuava imperterrita e scendeva giù, lungo tutto il versante opposto della montagna. Il Predestinato era stanco. Si sedette su un cumulo di neve, per riprendere fiato. Sarebbe stato davvero il caso di iniziare la discesa senza una luce a guidarlo? O sarebbe stato più saggio attendere il sorgere del Sole?

“Cosa ti porta sulla Vetta Virtuosa, o viandante?”

Il Predestinato si voltò di scatto. La voce sembrava provenire da una grotta poco distante, che ad un primo sguardo gli era sfuggita. Si avvicinò, anche solo per trovare riparo. Quando fu al coperto notò la flebile luce di una candela, quasi invisibile dall’esterno della caverna. Illuminato da quella debolissima luce stava l’Enigmatico Eremita, il misterioso uomo che viveva da tempo immemorabile sulla cima del monte.

“Cosa ti porta sulla Vetta?” ripeté il saggio. Era impossibile scorgere il suo volto avendo a disposizione solo quella piccola fiammella. La sua voce era profonda e calma, e il suo tono pacato ma al contempo deciso.

Il Predestinato rispose che cercava il suo Fato, e chiese all’Eremita se potesse essere in grado di rivelarglielo. Il saggio della montagna rimase in silenzio per qualche istante.

“Chi cerca il proprio Fato è condannato a vagare fino al giorno in cui le stelle scenderanno dal firmamento per danzare nel deserto, se non sa dove cercarlo” sentenziò.

Il Predestinato, risentito, disse che non era disposto a essere preso in giro. Sapeva che avrebbe trovato il suo Fato, proseguendo lungo la Strada. Ma mentre parlava di quanto era certo della grandezza che gli era stata promessa, si accorse di essere dilaniato dal dubbio. Per la prima volta nella sua vita si sentì preda dello sconforto. E se tutto quello che gli aveva detto il Vetusto Veggente fosse stata una bugia? Se la Strada non lo avesse condotto da nessuna parte? Che senso aveva avuto il suo vagare?

Dopo un’altra piccola pausa, l’Eremita parlò di nuovo “Ti posso rassicurare, viandante, che la Sinuosa Strada volge ormai al suo termine. Discesa questa montagna incontrerai una volta per tutte il tuo Fato… e lì troverai la tua gloria. E la tua gloria sarà tanta da soddisfare ogni tua brama”

Il Predestinato si sentì scorrere da un fremito. Era davvero così vicino? Certo, doveva essere così. Se anche la saggezza dell’Eremita confermava quanto gli avevano detto… era davvero vicinissimo. Un nuovo vigore lo pervase, e fu sul punto di balzare in piedi e precipitarsi giù dalla montagna in quel preciso istante, quando l’imperscrutabile uomo parlò ancora, con tono autorevole “Aspetta, o Perfetto Predestinato!”

Il Predestinato sentì il rumore di un’otre che veniva stappato, e dell’acqua che veniva versata. L’Eremita gli avvicinò una ciotola. Solo in quel momento il Predestinato riuscì a vedergli le mani, rugose e consumate dal tempo. Le mani iniziarono a muoversi, a danzare lente e ipnotiche sopra la superficie dell’acqua senza toccarla. “Guarda, Predestinato” disse l’Eremita “Prima di scegliere da che lato della montagna scendere, osserva la via che hai percorso per giungere fin qui. Ecco davanti a te le vite che hai incrociato, gli effetti che ha avuto il tuo vagare”

Per qualche portento, l’acqua si increspò e, guardando nella ciotola al posto del proprio riflesso, il Predestinato vide i volti di tutti coloro che aveva incontrato.

I Fieri Fuorilegge avevano continuato a razziare indisturbati. La loro banda era cresciuta in numero e in empietà. Fra i malvagi volti che avevano reclutato spiccavano un Alienato Assassino, un Laido Ladrone e uno Spietato Sicario. Il Furbo Furfante guidava i loro massacri con arguzia e crudeltà, sempre spalleggiato dal Brutale Brigante, ora divenuto la sua fidata guardia del corpo. La Turpe Tagliagole sembrava brillare di luce propria, tanti erano gli scintillanti gioielli che la ricoprivano. Le loro vittime erano sempre più numerose, e la scia di sangue che si lasciavano dietro non dava alcun segno di essere sul punto di interrompersi.

Il vecchio Cupido Commerciante giaceva malato e debole sul letto di morte. Appena fuori dalla sua stanza una piccola folla dei suoi degni compari e colleghi erano pronti a calare sulle sue ricchezze come Affamati Avvoltoi non appena la sua ora fosse suonata. Il Malfamato Mercato sarebbe fiorito come non mai, una volta che le inestimabili ricchezze fossero state spartite.

La Subdola Suggeritrice frequentava una Confusionaria Corte, ben lontana dalla città dei tre nobiluomini. Il Patrizio Purpureo, il Titolato Turchese e l’Aristocratico Ambrato erano andati in rovina a furia di rivaleggiare in tutto, e la seminatrice di zizzania aveva ben pensato di partire per depredare altre zone con il suo fascino e la sua astuzia.

Il Fedele Fabbro lavorava nella sua Ferrigna Fucina. I suoi capelli, neri come le piume di un corvo al tempo dell’incontro con il Predestinato, avevano iniziato a ingrigirsi. Accanto a lui c’era un Attento Apprendista, che studiava con molta cura i segreti del mestiere che il suo maestro gli insegnava.

Il Giudice Galantuomo proseguiva il suo lavoro imperterrito e onesto come sempre. Gli anni iniziavano a farsi sentire, ma proclamava a gran voce che avrebbe continuato a perseguire la Giustizia fino al suo ultimo respiro.

Destino simile aveva il Magnanimo Monarca. Lui, il Nervoso Nerboruto e il Coraggioso Cavaliere sedevano a un tavolo con il Concitato Consiglio. Si parlava di divisione della terra tra i nobili, di trattati di pace e di mille altre questioni del Regno, dalle più futili alle più fondamentali.

Il Magistrale Menestrello aveva deciso di allestire una Calorosa Compagnia di musicisti al suo seguito. Le sue esibizioni erano ancora più raffinate e potenti nell’impatto. Il suo nome e la sua fama si espandevano anche al di fuori dei confini del Regno.

Il Passionale Poeta stava di nuovo sistemando il suo Titanico Tomo. Sospirava, malinconico e solitario, ma al contempo soddisfatto di tutte le emozioni, di tutte le preziose esperienze che aveva collezionato nella sua vita e che era sul punto di donare ai posteri ricamate con le sue abili parole nel suo testo.

L’Acuto Alchimista era deceduto dopo una vita piena di scoperte. Al suo posto ora vi era un nuovo studioso, un Eccellente Erudito, intento a studiare i testi che aveva composto il suo predecessore con la massima cura. Aveva già trovato alcuni spunti molto interessanti per delle ricerche sui Miceli Maligni…

La Fascinosa Fanciulla aveva pianto tutte le sue lacrime, disperata, al laghetto dove aveva incontrato l’amante che l’aveva abbandonata. Alla fine la dolce ragazza si era addormenta nel preciso punto dove aveva trovato il Predestinato, ed era stata avvicinata da un Vivace Viaggiatore, anche lui pellegrino sulla Sinuosa Strada. Costui l’aveva consolata e le aveva restituito il sorriso. Al contrario del Perfetto Predestinato, non era intenzionato a riprendere il suo cammino.

Il Felice Frate sedeva con i suoi confratelli, a pregare e a dividere un frugale pasto. Tra loro pace e armonia regnavano sovrane, tanto erano dediti alla loro scelta di vita che, sebbene li rendesse poveri nel corpo, li arricchiva così tanto nello spirito.

“Queste sono le persone che ti hanno incontrato, o Predestinato” disse l’Eremita “Sei sicuro che non ci sia nulla di meglio per te da dove sei venuto?”

Il Predestinato scosse la testa. A nessuno aveva portato giovamento. Tutti coloro che avrebbero potuto essere suoi mentori, suoi amici, suoi compagni o anche qualcosa in più lo avevano rimpiazzato con qualcun altro. Nessuno aveva bisogno di lui.

“C’è anche un’altra opzione davanti a te” riprese la voce “Non sei costretto a proseguire la tua via. Puoi fermarti qui, su questa Vetta Virtuosa. Il tempo passerà, ma non sarà in grado di ferirti, e tu da qui potrai contemplare i misteri del mondo.”

Il Predestinato declinò l’offerta e si alzò. Aveva rinunciato a tanto per il suo Fato, non poteva fermarsi quando era così vicino alla fine. Doveva terminare il suo viaggio. A tutti i costi.

“Sia come desideri” furono le ultime parole che gli rivolse l’Eremita. Le sue mani si mossero ancora, cancellando ogni immagine dall’acqua. In quello stesso istante, il vento cessò, e il Sole sorse caloroso e splendente. Il Predestinato abbandonò la grotta, iniziando la discesa seguendo la Sinuosa Strada.

E così il Perfetto Predestinato riprese il suo viaggio, per compiere il suo imminente Fato.

 

Era finita. Era davvero finita. La Sinuosa Strada, che lo aveva condotto per così tanto tempo era terminata. Il Perfetto Predestinato alzò lo sguardo per la prima volta da quando aveva iniziato a discendere la montagna. Si trovava in una vallata grigia e nebbiosa. Non c’era erba, e i pochi alberi che poteva scorgere erano neri, secchi e scheletrici. Ogni cosa intorno a lui sembrava morta. La gioia per essere alla fine giunto alla fine del viaggio iniziò a mescolarsi a una strana sensazione di disagio.

“C’è nessuno?” chiese, con voce esitante. Era di certo per l’emozione di aver concluso il suo lungo cammino, senza dubbio. Non poteva essere per la paura.

Si alzò un vento freddo e leggero, che scosse i vuoti rami degli alberi. Al Perfetto Predestinato parve di sentire una rauca risata echeggiare tutto intorno a lui. Afferrò con entrambe le mani il suo bastone, e si preparò a respingere un eventuale assalto “Sono venuto da molto lontano per trovare il mio Fato. Non me ne andrò a mani vuote!”

“Oh… no, no di certo. Questo non succederà…”

A pronunciare quelle parole era stata una voce aspra e beffarda. Il Predestinato non si lasciò intimorire, e ordinò “Mostra il tuo volto, chiunque tu sia!”

Un’ombra prese forma dalla nebbia che lo circondava, una massa informe, oscura e tremolante, da cui proveniva la voce “Non ho un volto da mostrarti, umano… ma posso concederti di vedere quel poco di me che i tuoi occhi sono in grado di cogliere.”
“Che razza di mostro o creatura sei?” chiese il Predestinato, tentando di incalzarlo con il bastone. La massa d’ombra ignorò i suoi movimenti “Io sono colui che ti ha aspettato da quando hai mosso il primo passo lungo la Sinuosa Strada. Io sono colui che hai tanto disperatamente cercato per tutto questo tempo. Io sono la fine del tuo viaggio. Io sono il Famelico Fato. E il nome che mi hanno dato i mortali… è Oblio.”

“Oblio… sei forse tu che devo sconfiggere per ottenere la gloria che cerco?” chiese baldanzoso il Predestinato. Sentiva di essere giunto alla resa dei conti. Avrebbe avuto il modo di mostrare al mondo intero quanto valeva.

La stessa risata, ancora più sguaiata e beffeggiatrice, risuonò per la valle. “Oh, no, niente affatto, mortale… non è affrontandomi che compirai il tuo destino. Io sono il tuo destino. Qualunque umano entri nella mia valle mi appartiene. Verrai consumato, come innumerevoli prima di te e altrettanti dopo di te. Sarai soltanto un lieve sollievo per il mio insaziabile appetito”

“Non credo proprio!” ribatté l’umano, e, pieno di fiducia nelle proprie possibilità, balzò in avanti, cercando di squarciare in due l’oscurità di Oblio con il bastone. La sua arma però attraversò quell’ombra melmosa senza scalfirla. Per nulla impressionato, l’uomo scattò di lato, rimettendosi in posizione di guardia. Iniziò a girare intorno al suo nemico, circospetto, sempre pronto a rispondere a un eventuale attacco, ma Oblio rimase immobile, senza neanche voltarsi per seguirlo con lo sguardo. L’uomo partì di nuovo alla carica, menò un fendente, poi un secondo e un terzo. Il Famelico Fato rimase immobile, come se non lo avesse neanche sfiorato.

“Che cosa speri di ottenere?”

La voce del mostro era ancora più forte. La sagoma stessa sembrava più grande e minacciosa. L’uomo chiamò a sé tutte le sue forze, e si lanciò col bastone in un micidiale affondo. Questa volta il bastone penetrò attraverso l’oscurità melmosa che costituiva il corpo di quella creatura. Senza emettere un suono, Oblio si dissolse sul terreno.

Il Perfetto Predestinato tirò un sospiro di sollievo. Ce l’aveva fatta. Per un istante aveva temuto il peggio. Era ora di ritornare nel Regno Radioso, a riscuotere gli onori e la gloria che gli spettavano, ma… dov’era finita la Sinuosa Strada? E la montagna da cui era disceso?

Il Predestinato si voltò da una parte e dall’altra. Impossibile. Tutto intorno a lui c’era soltanto quella morta pianura, fino all’orizzonte. Che cosa significava?

Tentò di muovere un passo, ma si rese conto che il suo piede era come appiccicato al terreno. Era come se fosse immerso in una fanghiglia nera.

“È inutile opporsi, mortale. È troppo tardi per te, ormai”

La melma nera iniziò a risalire lungo le sue gambe. Sferrò un altro colpo contro il terreno ai suoi piedi. Si udì uno schiocco, e metà del suo bastone atterrò non poco distante. L’uomo si sentì sprofondare, mentre ormai la poltiglia oscura gli raggiungeva la vita.

“Non è possibile!” esclamò, cercando di levarsi quel letale fango nero di dosso, senza alcun successo “Mi avevano promesso gloria… tanta gloria da lasciarmi soddisfatto!”

“Ti era stato promessa, sì” rise deliziato l’Oblio “Ed è esattamente quello che ti sto concedendo. Hai avuto mille occasioni di gloria lungo la Strada. Le glorie dell’uomo dedito alla vizio, alla società, alla creatività, alla spiritualità. Le hai rifiutate tutte. È evidente che nessuna gloria sia abbastanza per te… dunque nessuna gloria avrai.”

Il Predestinato urlò a pieni polmoni, ma nessuno poté udire il suo lamento di morte. L’Oblio lo consumò finché nulla rimase di lui, e poi si dissolse nella valle, in attesa della sua preda successiva.

E così il Perfetto Predestinato terminò il suo viaggio, dopo aver compiuto il suo Famelico Fato.

Racconto di Simone Miraldi