Quando levammo la lastra di pietra dalla fine del condotto, una luce invase i nostri occhi sorpresi: i cristalli di othium brillavano a causa del muschio fosforescente tipico della Valle di Nelah, riflettendo le nostre ombre sulle pareti della grotta.
Dar-uj mi superò con uno scatto strisciando sulle scale di fronte a noi: portavano ad un tempio in rovina al centro dell’oscurità sotterranea. Quando schioccò le sue fauci da serpente, ci muovemmo.
Il silenzio non era dei nostri: Tagdana, il cui volto fuso con la sua maschera di ceramica celava appena il nervosismo, sfiorava i muri con la sua corazza di acciaio producendo uno stridio simile alle unghie di una maestra sulla lavagna; Delia dal canto suo aveva da preoccuparsi di zoccoli e corna, i primi erano tamburi su pietra e i secondi spesso incrociavano e distruggevano delle stalattiti nel tragitto.
Il lungo corridoio non era stato pensato per Tonalisti e infatti continuavo ad espandere la mia mente alla ricerca di pericoli; i miei aghi tremavano a causa della Marea e le ventose dei tentacoli erano tutte ispide.
«Illusionista, assistenza.» Era Dar-uj, già penetrato nelle rovine del tempio; potevo sentire la sua mente indugiare sulla soglia. Con il tentacolo destro feci cenno a Delia di avanzare, non percepivo creature nelle vicinanze. Solo la tensione del vecchio Dar-uj.
Stringendo le ali da pipistrello e abbassando le sue corna demoniache, Delia proseguì nell’oscurità – lasciandomi il brivido di assistere all’inferno di cui parlano le scritture terrestri. Non c’è rimasto molto, ma i Getusta si dicono certi di poter recuperare la memoria dell’Impero e di poterlo fare con una certa precisione.
Io e Tagdana ci tocchiamo le menti: «Senti qualcosa?». «Qui in fondo c’è del materiale metallico.» I suoi occhi da cerbiatta lampeggiavano come dei led. Sulla sua nuca le corna si erano fuse a formare un’antenna parabolica che sondava i dintorni.
«Delia che succede?». Lo dissi senza riflettere, perché avevo capito dal suo silenzio che c’era qualche sorta di calappio illusorio. Forse una trappola collocata lì dalla specie che aveva costruito il tempio. Certo erano umanoidi, si poteva intuire–
«Odalf, piantala di isolarti nel tuo solito divergere storiografico e vieni a dare un’occhiata, per Asgarath!»
Devo ammettere che ha ragione: fin da piccolo ero solito… beh, avrete capito.
Facendo attenzione a coordinare il mio sondare telepatico al movimento di aghi e tentacoli, scesi le scale che da pietra divennero ben presto composte di un metallo arrugginito. Il gradino di passaggio aveva la pietra tagliata in modo da fondersi con una lastra lavorata. Il tempio di fronte a me era composto da una serie di reattori, i cui cavi scoperti in cima davano l’impressione di capitelli come quelli delle case di Thalarion. Il tetto era composto dalle enormi porte appese con cavi metallici alla grotta.
«Per di qui capo!»
«Dar-uj, dannato serpente, mandami telepaticamente cosa hai visto e basta!»
«Avremo bisogno della sua ricerca storico-telepatica, signore – e vorrà confermare col tatto ciò che vedo.»
Poggiai i tentacoli sugli stipiti dell’ingresso (un vecchio portellone a tenuta stagna riutilizzato), li allungai strisciando sui lati di un corridoio che sembrava simile ai condotti delle Mura di Xira. Sulla superficie sentivo ruvide protuberanze e percepivo luci accese… c’era elettricità nel tempio! Eppure, tutti i miei sensi parlavano di oscurità e ignoto.
Appena svoltai l’angolo feci quello che Kashmar fu costretto a fare con sua moglie umana la prima notte di nozze e infransi le protezioni telepatiche di Dar-uj. Il Bagliore fuoriuscì dalla mia anima così potente da assorbire anche il campo visivo di Delia.
Di fronte a loro stavano sei teche di cristallo, sicuramente di un’epoca antecedente alla nostra. Stando alla ruggine ai margini delle coperture in metallo e alla loro forgiatura, forse le teche erano addirittura più antiche – non vi nascondo che pensavo di trovarmi di fronte a reperti della Virgo.
Eppure, il vetro di cui erano composte le teche presentavano scanalature diagonali (impercettibili all’occhio umano) che erano tipiche delle creazioni in vetro delle Noßeroedi delle Edsi: dovendo stimare, forse tra i duecento e i trecento anni dopo la colonizzazione.
Le percezione di Dar-uj, da buon Cristaliano, mi trasmettevano anche l’assenza di spiriti o anime attorno alle teche: di solito nelle rovine si trovava sempre il residuo spirituale di qualche creatura, ma qui anche il cuore selvaggio del pianeta sembrava attutito. Quanto a Delia, i suoi sensi ferini mi trasmettevano la presenza di creature viventi entro alle teche e la certezza che tutto ciò che stava di fronte loro non era una illusione.
«Delia, posso?»
«Fai pure.»
Dopo aver chiesto il permesso, estesi come tentacoli l’anima che avevo usato per lanciare il Bagliore e presi il controllo dell’arto di Delia. La sua forma demoniaca mi permise di togliere sporcizia e condensa da una delle teche e sentii Delia subito resistermi, tremare, alla vista della creatura: era una donna Argoth, proprio come lei.
«Cos–com’è possibile?»
Dar-uj aveva ripulito con la coda da serpente un’altra teca: dentro c’era una Kamsit. A questo punto li raggiunsi e, mantenendo la loro percezione visiva, ripulii le altre tre teche: un paio di umani, un Ishgor e un Cristaliano stavano sospesi in un liquido verdastro, connessi alle rispettive bocche da un tubo; i loro arti erano connessi a dei tubi grazie a degli aghi, forse servivano per il nutrimento.
«Diamine, che probabilità c’è di trovare sei creature come noi?», disse Dar-uj. In effetti, contando Gentru che avevamo lasciato al duentu e ßashir, che era rimasto fuori dalle rovine per creare un campo base a prova di Marea, eravamo un gruppo simile a quello imprigionato.
«Non è quello», aggiunse Delia. «Controllate bene i vostri simili, non notate qualcosa di strano?»
Anziché affidarmi alla percezione visiva degli altri, questa volta preferii sondare telepaticamente la teca dell’Ishgor. Percepii a tre dimensioni la sua struttura, ogni ago, ogni tentacolo… era in qualche modo familiare. Tagdana ci raggiunse in quel momento, trasformandosi in forma umanoide: «Ho i brividi, e di solito non ho i brividi.» Si avvicinò alla sua simile e fu in quel momento che anche io mi preoccupai: la maschera di ceramica della Kamsit nella teca era identica a quella della mia compagna. Il Cristaliano imprigionato sembrava simile ad un giovane Dar-uj, così come per l’Argoth femmina che aveva le stesse corna di Delia; quanto all’Ishgor, non ne ero sicuro, ma era davvero identico al sottoscritto.
Mi guardai attorno, controllano gli occhi di Dar-uj e Delia e sincronizzandoli con la mia capacità di sondare le menti: m’imposi di eliminare ogni rumore e concentrarmi sulle tracce psichiche lasciate da qualche creatura e trovai solo due rimasugli recenti. Uno di questi portava verso uno dei corridoi labirintici del tempio, l’altro invece era di una creatura che era uscita dal tempio; potevo vedere di quest’ultima il percorso attraverso i muri del tempio, era fuggita verso le scale. Poi, tutte e cinque le figure nelle teche furono scosse da qualcosa e numerose bolle d’aria uscirono dalla loro bocca.
Il rumore del loro scatto si propagò come un’eco in tutte le rovine. Eravamo soli, con i nostri cloni.
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