C’era un’atmosfera che mi distraeva e non era solo il tempio. Mentre scendevamo per la scala, così stretta da dover costringere gli altri ad assumere forma umanoide per un poco, intuitivo i pensieri confusi di ßashir che apriva la via. Lui, veterano della guerra contro lo Xefriot Immantus di Lomar, adorato dai compagni Irraqa perché portava solo venti cicatrici, tremava ad ogni passo.
È la rarefazione di Marea?, mi chiesi. No, dev’essere altro…
Il condotto scendeva molto in profondità e ben presto i muri composti da metallo e circuiti lasciarono posto a roccia fredda e percorsa da rigagnoli di acqua di condensazione. Sul soffitto, una lunga rete metallica sospesa sosteneva alcuni tubi e cavi che scendevano: Dar-uj si era arrampicato proprio qui sopra per darci spazio di manovra, strisciando tra grovigli di metallo e plastica più rapidamente di noi grazie anche alle sue zampe d’insetto, il suo segno fatato cristaliano. Ogni tanto le sue zampe avevano anche tempo d’indagare i fili e i tubi, alla ricerca di trappole che potessero attivarsi dall’alto.
Infatti, quando si fermò, a circa una decina di gradini dalla fine della scala, diedi ordine a tutti di fermarsi subito: il serpente scese abbracciandosi ad una colonna di calcare non ancora separatasi in stalattite e stalagmite, e ci indicò con la coda un punto sopra all’ultimo gradino. Tagdana fece segno di no con la testa, così il serpente (sempre in assoluto silenzio telepatico) prese con le sue zampette un po’ di polvere dal terreno e, tramite Marea, la cosparse sul gradino: si formò così la silhouette di un piccolo totem, una sorta di pietra invisibile composta da un grosso faccione tondo.
Dar-uj diede dimostrazione delle sue doti da Xinti e, con un rapido movimento del corpo, circondò l’intera trappola, evocando una barriera che agiva da contro-trappola: una volta fatto ciò, lanciò un sasso dentro alla trappola che esplose contro la barriera di Marea appena creata.
«Chi avete detto che avrebbe costruito questo posto?», chiese Dar-uj.
«Ho detto che sembrava avere la firma dei Venerabili.»
«Non preoccuparti Tagdana, sono sicuro che non era sarcasmo», risposi.
Infatti, Dar-uj mi inviava un’immagine del luogo sotterraneo ben precisa: su un altare a circa venti metri dall’ingresso era poggiata una piramide cosparsa di pulsanti e led, racchiusa in un involucro di metallo liscio e trasparente agli occhi dello Xinti. «Hai attivato il Bagliore?»
Dar-uj annuì. I suoi Bagliori erano sempre così silenziosi… tuttavia, la sua visione infra-metallica era utile quando il piombo impediva ai miei sensi di sondare ciò che stava dietro, come quella volta alle rovine di Çest-Lhum–
Dalia tossì e costrinse la mia mente a raggiungerla. «Hai bisogno?»
«Che tu esca dalle digressioni storiche. Mai pensato la carriera Getusta?»
«Gente, forza, concentriamoci», disse ßashir inginocchiandosi.
Mi mossi per oltrepassarlo, sfruttando la rete per aggrapparmi con i miei tentacoli; alcuni aghi sfiorarono la pelle dell’Irraqa, che sbuffò: «Ora come faccio a spiegare agli altri che queste non sono cicatrici per l’uso di Marea?»
«Quando torniamo a Xira ti pago una seduta al replicatore di cute.»
Sentii il cacciatore mandarmi mentalmente a quel paese, ma ero troppo interessato all’oggetto sull’altare: se ci fosse stato Gentru! Quello aveva tutto l’aspetto di essere un Veneralia, cosa che confermava lo zampino dei Venerabili…
«Silenzio», disse Delia alla mente di tutti. Si era concentrata per far sì che solo noi sentimmo, infatti la sua voce non echeggiava come le altre. «C’è un’illusione lì, sul fondo. Vedo un Velo di Maia.»
«Aspettate a mostrare segni di essercene accorti», dissi subito. I Veli di Maia erano una scoperta di Delia: aveva studiato a lungo il comportamento di alcuni Saggi delle Pozze, Raqsaxa e Tsoalnia e si era accorta che molti erano in grado di creare onde verticali di Marea e nascondersi dietro di esse.
Il mio avvertimento doveva essere giunto tardi: da dietro l’altare esplose una luce intensa, un misto di bianco e viola, che ci travolse in pieno. Dar-uj e ßashir erano già rasenti il terreno, quindi riuscirono ad evitare il colpo, ma io lo presi in pieno: Dalia e Tagdana non potevano trasformarsi in quelle condizioni, potevano solo acquattarsi contro il muro e lasciarmi rotolare verso l’alto. Così fecero.
Il colpo che avevo ricevuto doveva essere un misto di Fiamma di Ægori e qualche altra forma di Marea, perché mentre rotolavo sentivo bruciare i tentacoli e parte della corazza. Ci misi qualche secondo a riprendere controllo dei poteri: eressi una barriera telecinetica fermando la mia corsa, me l’ero cavata con qualche livido, ma giù nella stanza dell’altare si iniziava la lotta contro il misterioso aggressore.
«Arrivo!», dissi agli altri. Poi, la sensazione di una presenza alle mie spalle mi obbligò a voltarmi e non potei credere ai miei occhi.
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