“Mio amato… è piena…”
Me lo dice piangendo, ormai non fa altro, e non so se sia per me o perché guardandomi non può fare a meno di pensare sulla provenienza del materiale di cui sono composti i miei vincoli o delle macchie di sangue che ancora sporcano il nero pavimento della buia caverna in cui sono confinato.
Io annuisco, la fronte e gli occhi che si sono appena ripresi dalla volta precedente. Sigyn allontana la coppa e la va a svuotare nella conca a due passi da lì, e il serpente ne approfitta. Cosa che fa sempre anche lui.
Le ho contate, una per una, quelle maledette gocce di acido che sembrano essere fatte di fuoco liquido proveniente da Muspellheimr, e so per certo che, fin quando la mia devota moglie mi fa da scudo, il ritmo di quelle gocce è regolare, come è regolare lo scorrere del tempo, l’alternarsi delle stagioni, il ciclo di vita e morte degli esseri mortali.
Ma quando quel dannato vede via libera, quando comprende che la protezione che mia moglie mi offre è momentaneamente sospesa, quel maledetto animale mi castiga con una quantità di liquido spropositata, acido verde e fumante come i miasmi di Helheimr, e io urlo.
Mi hanno sempre visto come il debole della situazione, e certo accanto al figlio di Jord e Odinn ho sempre sifgurato, ma adesso i midgardiani sanno qual è la mia forza, anche nel dolore, quando per il veleno del serpente scuoto i pilastri della terra stessa, agitando il mio corpo legato con vincoli scellerati alle pareti della mia prigione; sanno quanto è potente la mia voce quando questa, graffiandomi la gola ogni giorno, ogni anno, ogni secolo sempre di più, esce fuori, urlando per la pena inflittami.
La pelle sfrigola e brucia, gli occhi sembrano scoppiare, pochi rivoli di veleno mi solcano il volto e vanno a bruciare le labbra già segnate. Il ghigno sbilenco della mia bocca cucita si allarga, ma non per sorridere. I solchi delle cicatrici si riempiono di veleno e il dolore è intenso, come quando quelle cicatrici mi furono inferte.
Punito per la mia lingua d’argento, come sempre. Eppure gli Asi e i Vani ora scopriranno com’è vivere senza quella stessa lingua che troppe volte ha donato loro solo ricchezze e favori.
Gungnir, Mjollnir, Gullinbursti, Brisingamen, persino le alte mura della Cittadella sono merito mio, dei miei sacrifici. E cosa ne ho ottenuto in cambio? L’odio, l’esilio, la prigionia.
Sigyn ritorna, piange più forte ed è in pena guardandomi le turpi ferite che mi segnano il volto mentre, per magia, si rimarginano. Perché il Viandante pensa a tutto, e la sua crudeltà è accentuata quando sveste le sue stupide vesti da saggio “dio” e ritorna ad essere quello che è sempre stato: il signore dei massacri, dello spargimento di sangue, colui che si bagna nel sangue dei suoi fedeli.
Io in vita mia avrò chiesto ai mortali un paio di capre e alcune giovani vergini con cui sollazzarmi; Odinn chiede che periodicamente gli siano offerti umani, impiccati come lui si è impiccato all’Albero. Lì conobbi il mio carnefice, appeso a Yggdrasil mentre invocava le Parole da Jord. Ed io lì con lui, a rubarne qualche segreto.
Eravamo giovani, allora, e simili sotto molti punti di vista. Fratelli… lui volle che diventassimo fratelli.
Un fratello non usa l’altro come capro espiatorio. Un fratello non imprigiona l’altro. UN FRATELLO NON CONDANNA E UCCIDE I FIGLI DELL’ALTRO!
Legàti, gettàti in mare, relegati ai luoghi più freddi del cosmo, e ora uccisi e sventrati per farmi da catene! Questo è stato fatto ai miei figli, questo è stato il ringraziamento di Odinn per tutto ciò che ho sopportato!
È vero, ho privato Odinn del suo figlio prediletto, e adirato Frigga oltre ogni misura, facendole perdere il senno. Ma l’occasione era troppo ghiotta per non acciuffarla. Mandare il raggio di sole a Hel, punire gli Asi, punire Odinn per aver pensato di essere al sicuro.
L’inizio del Crepuscolo.
Io ho mandato la Luce in Hel, al fianco di mia figlia che tanto bramava del calore, e Baldr è lì, freddo e morto, ma lì. E Odinn sa come farlo tornare. Magia di donna esiste che solo lui conosce e non vuole usare, perché mi darebbe ragione, perché mostrerebbe quanto lui sia come me.
Lui conosce il Seidr come lo conosco io, se non meglio, ma ormai è accecato, lui come tutti gli Asi. Mimir il saggio ha parlato, profezie di morte e distruzioni sono nate dalle sue labbra morte. Wyrd affermato, ognuno al proprio posto e io in prigione, con le budella dei miei figli, parenti più degli Asi che della mia razza… Narvi e Vali, miei poveri, innocenti figli di stirpe Asi… a legarmi in questa rocce nelle profondità del creato, senza che la luce di Sol riesca a raggiungermi.
Qui sono destinato a rimanere, fino all’arrivo dell’Inverno, e il momento è sempre più vicino, le giornate si accorciano, Sol si fa meno luminosa e più affannata, mio nipote ogni giorno sempre più vicino a sbranarla.
Giorno dopo giorno dopo giorno il mio supplizio continua, ora dopo ora il veleno scava le mie carni ricordandomi del rametto di cui armai il dio cieco per invidia del bel figlio degli Asi, che tanto amore ha ricevuto pur non avendo fatto nulla per la sua razza, mentre io tanto ho fatto eppure solo odio mi è stato dato in cambio.
L’Ingannatore, il Bugiardo, padre delle Streghe e madre dello Stallone, Labbra Cucite… tutti nomi detti con timore e disprezzo, mai che si ricordi come ogni singola azione che ha originato quei nomi era volta solo e unicamente al loro bene. Sciocchi Asi, Vani dementi, ogni giorno di prigionia che mi infliggono è un passo in avanti verso la loro fine.
E a ricordarmelo, quasi ogni notte, è lei. La Strega. La Madre dei Lupi. La donna di cui sono stato il compagno.
Quando Mani si alza in cielo, vedo la sua ombra stagliarsi nella caverna, assieme al branco dei suoi figli. Ululano i nostri figli, e lei canta una nenia antica, in un linguaggio che gli Asi non capirebbero. È una melodia feroce e triste allo stesso tempo.
Mi compatisce e mi accusa: perché non sono rimasto con lei a Jarnvidr, perché sono inorridito quando mi ha svelato il suo piano contro gli “dei”, perché l’ho tradita… perché non sono rimasto con lei ad aspettare che arrivasse il mio momento, quando la mia flotta sarebbe stata libera di salpare.
La volva sapeva, prima che Mimir parlasse, prima che Surt cominciasse ad affilare la spada… la volva sapeva del Crepuscolo, e del mio ruolo, e ha cercato di tenermi a sé, in un percorso alternativo al Wyrd che mi sono scelto.
Quando la sente, Sigyn piange più forte. Il sangue antico le fa comprendere parte di ciò che la sua rivale dice, così come la spinge a pensare, tristemente, spinta da quello strano, cieco amore che l’ha spinta ad amare un essere così diverso da lei, che probabilmente con Angrboda sarei stato più felice, nell’attesa dell’ultima battaglia.
E poi anche Angrboda piange, il suo diventa un lamento funebre, ma sempre rabbioso. Sa che ci ricongiungeremo, con tutta la nostra famiglia. Ma solo alla fine, quando Vidarr il possente vendicherà il padre uccidendo il mio primogenito, Fenrirsulfr… il mio Fenrir… quando Thor, il mio migliore amico, e Jormungand si uccideranno a vicenda… il mio Jorgi… quando io e mia figlia… la mia Hel… salperemo sulla Nave d’Unghie e incontreremo il nostro destino, davanti a Heimdallr dai Denti d’oro e le Nove Madri, e davanti a Surtr, il Nero, che tutti distruggerà.
Noi tutti ci riuniremo, con rancori che non verranno placati, e legami che non verranno sanati. Troppo poco tempo è rimasto ormai, e la mia rabbia monta.
Basta scherzi, basta burle, basta chiudere gli occhi davanti alle scelte sbagliate di Odinn e perdonarlo per il legame di sangue che per lungo tempo ci ha unito e ci unirà ancora… ancora per poco.
L’autunno è finito, Sol soccombe. Sigyn è costretta a svuotare sempre più spesso la sua ciotola dal veleno, e ora non piange più perché ha visto cosa sta succedendo, lo sente, così come lo sente il serpente che invano cerca di fermarmi. Ma non ci riesce.
Lo sente anche Angrboda, madre dei lupi, che al suo canto funebre adesso ha sostituito urla di guerra, canti di furia intonati dai suoi figli. La spada di Tyr è spezzata, Fenrirsulfr ulula e la terra trema! Jormungand è sveglio, e il mare bolle! Sol e Mani tramontano, Skoll e Hati banchettano!
Finbulvinter è giunto, e con lui l’apice della mia furia!
Sigyn assiste impotente mentre le budella dei nostri figli spariscono e io dilanio a mani nude il serpente che mi ha castigato, l’ultima cicatrice da lui provocata che fatica a guarire, la magia di Odinn che svanisce e mi rende segnato, ma libero.
Avanzo, nudo nel freddo della landa che accoglie la mia vecchia prigione. Millenni sono passati, l’aria è fetida, vecchia, puzza di morte. Puzza di fine.
Io sono quella fine.
Sigyn alle mie spalle mi guarda, Angrboda anche lei mi guarda da lontano mentre uno dei suoi figli mi porta un mantello fatto della pelle di un suo fratello. Lo indosso ma non ne ho bisogno. Troppo tempo ho assunto questa forma, ora basta rinnegare le mie vere ascendenze.
Io non sono il fratello di Odinn, alleato degli Asi, amico dei Vani.
Io sono Loki, figlio di Fárbauti e di Laufey, di Nál, fratello di Býleistr ed Helblindi, padre del Vánargandr, ovvero il lupo Fenrir, di Jǫrmungandr, ovvero il Miðgarsðormr, di Hel, di Narvi e di Vali; congiunto di Sleipnir, marito di Sigyn, nemico degli dèi, scempio dei capelli di Sif, creatore di avversità, l’astuto, calunniatore e ingannatore degli dèi, colpevole della morte di Baldr, il non più incatenato, acerrimo nemico di Heimdallr e di Skaði.
Io sono Loki, il Fuoco incarnato. La devastazione del Fulmine che colpisce. Io sono l’Ingannatore e la Morte degli Dei. La tempesta che avanza, la fine che incombe. L’araldo del Ragnarok.
Non per mia scelta.
Gli Asi… Odinn maledetto ha voluto ciò, non è stato mio volere cedere a questo Wyrd, le Norne mi siano testimoni, ho provato in tutti i modi ad evitarlo. Ma così non è stato. Che ora gli “dei” subiscano l’ira dei Giganti, loro antenati rinnegati, che BRUCINO SOTTO IL FUOCO DEL CAOS! Brucerò volentieri assieme a loro se solo mi sarà permesso di sentirne le urla di dolore! Di vedere mio figlio fare scempio delle carni del Generale! Di vedere il veleno di mio figlio e le armate di mia figlia schiantarsi, distruggere, umiliare le armate degli Asi e dei Vani!
Che siano dannati, fino alla fine dei tempi, tutti coloro che mi hanno spinto a questo ultimo passo! Brucino e dalle loro ceneri nasca un mondo nuovo!
Io sono Loki l’Ingannatore, latore del Ragnarok. Faccio il mio primo passo da creatura libera fuori dalla mia caverna, nella fredda oscurità del Fimbulvinter. Sarà la mia fiamma ad illuminarne le tenebre.
Sarà la MIA fiamma a bruciare per sempre i peccati degli “dei”. L’ultimo a ridere, almeno questa volta, sarà proprio il Burlone… paradossalmente quando i panni del Burlone saranno smessi del tutto.
E la distruzione calerà su coloro che veramente si sono sporcati le mani. E io avrò la mia vendetta.
–
Racconto di Vittorio Grimaldi.
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