Il nastro a rulli porta verso di me l’ennesima cesta. Il lettore ottico alla fine dello scivolo scansiona il codice sul bordo, bip. Tolgo la scatola, un’altra cover per smartphone. Rimando indietro la cesta. La stampante alla mia destra sputa fuori i vari biglietti: sono tre. Uno sguardo veloce, i primi due sono auguri da inserire con il regalo all’interno. Inscatolo il tutto. Prelevo l’ultimo foglio da apporre per la spedizione, lo inserisco nella busta adesiva e lo attacco in cima alla scatola. Mi giro e lascio andare il millesimo pacco del giorno. Mi sistemo meglio sul trespolo della mia postazione, sento le gambe in sospeso gonfie e dolenti. Tolgo il berretto natalizio e mi passo la mano sulla fronte. Di riflesso piego la punta dell’orecchio due volte prima di rimettere il berretto. Un’altra cesta scivola verso di me, mi sento un automa tanto gradito agli umani, ricomincio.
Guardo in alto verso il tabellone. Sono le venti, mancano ancora due ora alla pausa. Il ronzio di avviamento del maxischermo attira la mia attenzione. Con luminosità sempre maggiore, i vari puntini led iniziano a delineare l’immagine del grande Mazos. Un sorriso abbagliante in maniera innaturale fa a gara con il luccichio della testa sferica.
“Amici elfi, è con grande piacere che vi annuncio, per il decimo anno consecutivo, il superamento dei target di vendita per il periodo Natalizio. Siamo in anticipo di ben tre giorni rispetto alle attese.”
L’enorme volto fa una piccola pausa per sfoggiare la dentatura luminosa. “Non per questo possiamo abbassare la guardia. Il momento è cruciale per la buona riuscita dei risultati annuali. È stato quindi deciso di prolungare i turni di ciascun elfo fino a esaurimento ordini. Grazie per il duro lavoro e la comprensione.”
Che ipocrita testa di alce. Mi raddrizzo sul trespolo, già un set da bagno aspetta di essere impacchettato. La stampante sputa fuori i vari biglietti. Questa volta sono quattro. Prendo subito quello in più, controllo che non ci siano droni di sorveglianza intorno e leggo il messaggio: 23-22-00.

Sento la sirena automatica per il fermo macchina. Sono arrivate le ventidue. Pausa. Salto giù dal trespolo. Atterro poggiando le mani al suolo per non sbattere di faccia: sono sceso troppo in fretta. Mi rialzo e sistemo il cappello. Corro sotto nastri e carrelli dirigendomi allo scaffale 23. Il vecchio Shinny e Bushy sono già lì che mi aspettano. Bushy indossa un gilet blu, anche lui oggi è stato assegnato ai pacchi, Shinny ha quello arancione da magazziniere. Un cenno del capo e subito Bushy si infila sotto lo scaffale pieno di merci, Shinny lo segue con quella sua andatura traballante. Guardo in alto per verificare che non ci sia davvero nessun drone e mi infilo per ultimo sotto lo scaffale. Striscio in avanti di poche decine di centimetri, tasto con le dita e trovo il bordo di un buco scavato nel suolo. Mi lascio scivolare dentro, precipito quasi in verticale per qualche metro, poi la pendenza diminuisce e riesco a rallentare. Mi tiro su. Una luce alla mia sinistra si accende, Bushy tiene in mano una torcia elettrica. La luce si riflette in modo fastidioso sulle strisce catarifrangenti della divisa. Mi guardo intorno. Siamo in un cunicolo scuro scavato nella roccia. L’umidità sulle pareti riflette la poca luce, mettendo in risalto l’irregolarità dei muri. Una goccia d’acqua mi cade sul naso. Guardo in su, il soffitto è basso, a misura d’elfo. Un grugnito alla mia destra. È Shinny, fatica ancora ad alzarsi. Lo aiuto a mettersi su. Lui mi dà un paio di colpetti sulla mano una volta riuscito a mettersi in piedi. “Grazie Pepper, queste stanche ossa non mi reggono più come una volta.”
“Figurati Shinny.” Mi giro verso Bushy: “Cos’è questo posto?”
Bushy sta ancora regolando il fascio della torcia. “È un accesso al deposito scarti. Lo ha creato Wun qualche giorno fa. Nonno ha detto che sente un flebile tremore magico provenire da qua sotto.”
Guardo il vecchio Shinny, sembra annusare l’aria a occhi semichiusi. “Senti qualcosa?” Chiedo prima di riuscire a fermarmi.
“Qualcosa… ma è molto debole. Dobbiamo addentrarci di più.”
Alle parole del nonno, Bushy scatta in avanti per fare strada. Lascio andare Shinny e chiudo la fila per controllare che non inciampi o si faccia male.
Deviamo verso destra. Il cunicolo si apre in uno slargo, sembra circolare, ma non riesco a capirlo con la poca luce che abbiamo. Cerco di seguire i movimenti della torcia di Bushy. Un’immensa catasta di oggetti si trova davanti ai miei occhi. A un tratto, un rumore metallico rompe il silenzio. Provo a capire da dove proviene, ma l’enorme spazio crea echi continui. In alto una lama di luce inizia a delinearsi. Deve esserci una saracinesca metallica al centro dell’enorme caverna in cui ci troviamo, ora meglio illuminata dal raggio che filtra dall’alto.
La catasta di oggetti ha una forma piramidale, è immensa. Molte delle scatole che la compongono sono più grandi di me. Con un tonfo seguito da uno sbuffo, l’apertura nella volta smette di allargarsi. Un ronzio seguito dal rumore di una sirena e delle scatole iniziano a cadere in cima alla pila.
“Gli scarti.” Dice Bushy alla mia sinistra. Sento Shinny mormorare qualcosa in elfico antico. Mi giro verso di lui. Mi osserva con occhi stanchi, la poca luce si riflette nelle iridi nere. Punti luminosi sfarfallano all’interno come stelle morenti. Espira. Sembra ancora più vecchio e stanco.
“Andiamo, non abbiamo molto tempo.” E inizia ad avvicinarsi alla pila, la mano protesa verso le scatole. Lo seguo a una certa distanza. Bushy alle mie spalle striscia i piedi al suolo, il fascio di luce della torcia tra le sue mani si alterna tra la catasta e il terreno dinanzi a noi.
Il suono della sirena cessa. Guardo in alto, non vi sono più scatole in caduta. Il rumore metallico della saracinesca ricomincia e l’apertura nella volta inizia a chiudersi.
“Pepper, vieni qui.” Mi sento chiamare da Shinny con voce roca. Lo raggiungo al margine della catasta. Mi afferra il polso, la sua presa non è molto salda. Ha il respiro corto e veloce.
“Cosa succede?”
“C’è un artefatto magico davanti a noi… Couf…” Shinny si ferma e porta la mano alla bocca per poi tossire altre due volte. Sono preoccupato, sta dando fondo alle sue energie magiche troppo in fretta. “Pepper, ora tocca a te? Couf…”
“Shinny, non starai esagerando? Possiamo tornare un’altra volta.”
“Non è possibile Pepper, abbiamo già perso troppo tempo… Couf, couf… tra poco finirà la pausa e ci scopriranno… Couf… Non riusciremo più a rientrare. Mazos potrebbe anche decidere di liberarsi di noi.” Il suo respiro si fa sempre più corto e affettato. Temo per lui, ma so che ha ragione.
Mi giro verso la piramide di scatole e oggetti. Faccio un lungo respiro e chiudo gli occhi. Sento il mio stesso battito rallentare poco a poco. Un brivido si irradia dal fondo della schiena, risale tra le scapole fino alle punte delle orecchie. Cerco dentro di me la scintilla. Un leggero calore inizia a crescere all’altezza dello stomaco. Così familiare anche dopo quindici anni. Mi ricorda mio padre, il tocco del suo caldo abbraccio. Lo sguardo di mia nonna mentre mi cantava una dolce ninna nanna. La scintilla cresce, si irradia sino alla gola. Spalanco la bocca ed espiro, cerco di dosare al meglio il flusso d’aria. Lascio defluire la forza dei miei avi. Apro gli occhi. L’alito si addensa come vapore luminoso. L’aria freme. Scintille elettriche cariche di energia sfrigolano tutto intorno. Il potere si abbatte contro il fianco della catasta, fumoso, si ripiega su se stesso e penetra nelle fessure tra le varie scatole. La pila inizia a tremare mentre alcune scatole schizzano via, altre si spostano, avvolte dalla nube magica, per sorreggere la massa pesante di oggetti al di sopra.
Sento la mano di Shinny posarsi sulla mia schiena. Inizia a salmodiare in elfico antico. La luminosità del vapore che ho creato ha un tremito, la luce si intensifica. Percepisco il potere di Shinny mescolarsi a quello dei miei avi. Lo spinge in profondità tra le scatole, in cerca dell’artefatto magico che ha individuato.
Un forte tremito e un oggetto lungo e scuro sguscia fuori dal vapore luminescente. La mano di Shinny si stacca dalla mia schiena. Posso interrompere la ricerca. Inspiro e richiamo il potere dentro di me. Quando anche l’ultimo alito luminoso torna nella mia bocca trattengo il fiato. Le stesse sensazioni di affetto familiare mi accarezzano per un attimo, per poi affievolirsi. Le sento ancora, vigili, in attesa.
Mi volto, Shinny sta raccogliendo un oggetto da terra illuminato da Bushy. Mi avvicino anche io. È una lunga frusta marrone. L’impugnatura cilindrica è grande e avvolta da filamenti d’oro. Dalla base si dipanano e intrecciano lunghe strisce di cuoio scuro che terminano in un nodo. Shinny la tiene con due mani, sembrano ancor più piccole mentre sorreggono l’oggetto. La luce della torcia si abbassa. Mi volto e distinguo appena Bushy inginocchiato per terra. Lo sento singhiozzare. Anche io sento un pizzicore agli occhi che si inumidiscono. Abbiamo trovato la frusta magica.
“Alzati e fammi luce piccolo Bushy, non abbiamo ancora finito.”
“Scusami, nonno.” Dice Bushy con voce roca e appena udibile. Si alza e torna a dirigere la torcia davanti a lui.
“La sai usare Shinny?” dico prima di rendermi conto della stupidità delle mie parole. Lui è Shinny, il più anziano e potente di tutti noi elfi, lo era ancor prima che quindici anni fa ci decimassero.
“Non ti preoccupare, figliolo.” Mi risponde senza traccia di offesa o risentimento. “So come usarla e dove dobbiamo andare.”
Shinny si sposta lontano da noi, allarga le gambe e sistema le mani sull’impugnatura incordata d’oro. La frusta è sproporzionata rispetto ai suoi piccoli arti e alla bassa statura. La allunga al suolo dietro di sé, alla sua sinistra. Effettua un movimento fluido con tutto il corpo, ruotando verso destra. Il lazzo della frusta lo segue. Quando si trova di nuovo alle sue spalle, cala giù le braccia con gesto deciso. La frusta saetta in avanti ad arco. Prima che l’estremità annodata tocchi terra, la tira indietro con uno scatto. Il rumore è tremendo. Riecheggia all’interno della caverna. Uno squarcio nell’aria si apre nel punto in cui la frusta ha scaricato la sua energia. La crepa è grande, dai contorni frastagliati, come uno strappo su una tenda invisibile. Scintille di energia danzano e scoppiano intorno allo squarcio. Al di là dell’apertura non si vede più la pila di scarti, ma un’altra grotta. Una luce fioca delinea a stento i contorni ruvidi delle pareti di roccia. Un’ombra si muove a oscurare la fenditura. Una grande mano fuoriesce ad afferrare il bordo strappato. Lo allarga verso l’alto. Una gamba avvolta in braghe di pelliccia rossa con ai piedi enormi stivali neri si sporge oltre la soglia. La gamba è poi seguita da un torso nudo, la pelle tesa sui muscoli gonfi. Un uomo enorme si raddrizza, lascia andare lo strappo che, con un risucchio sento chiudersi alle sue spalle. Gli arrivo a stento al ginocchio, le braccia enormi si allargano mentre poggia le mani sui fianchi e inarca la schiena. Piega la testa calva su un lato, il collo emette leggero scrocchio. Da dietro la schiena una lunga barba candida scivola in avanti. Arriva a un palmo dal suolo. Abbassa gli occhi verso di noi. La luce della torcia illumina uno sguardo feroce grigio ghiaccio, incastonato sotto folte sopracciglia candide come la barba. Sebbene sia cambiato in questi anni lo riconosco, quegli occhi non possono che essere i suoi. Le ginocchia mi cedono sotto la forza di quello sguardo, il sedere tocca il pavimento freddo. Chiudo gli occhi un secondo, li riapro e la figura è scomparsa. Mi giro di lato, l’uomo è chino al suolo su un fagotto. Riconosco Shinny, come svuotato all’interno della sua divisa, il volto rattrappito e invecchiato di mille anni. L’enorme mano si avvicina alla guancia di Shinny, l’accarezza con l’indice. Lui riapre gli occhi. “Bentornato Santa.” La voce non è che un leggero sussurro.
“Shinny, vecchio amico. Perché hai usato la mia frusta? Sapevi di non avere abbastanza potere.” Quella voce profonda. Mi assalgono migliaia di ricordi, il mio corpo inizia a tremare. Sento le lacrime scendere lungo le guance.
Shinny solleva la mano, il gesto lento e debole, afferra il dito di Santa. “Ne è valsa la pena figliolo. Ne è valsa la pena.” Richiude gli occhi, la mano scivola di nuovo verso il basso senza più forza.
Sento Bushy muoversi alla mia sinistra. “Papà Claus… hic… cosa facciamo… hic… adesso?” La voce impastata dalle lacrime e i singhiozzi.
“Oh Bushy, sento che a breve sarà Natale.” Santa distoglie lo sguardo dal corpo ormai senza vita di Shinny. Gli occhi lucidi sembrano ghiaccio che inizia a liquefarsi. “Bisogna riportare un po’ di equilibrio nel mondo. Credo proprio che stanotte eliminerò qualche nome dalla lista.”

Racconto di Marco Autorino

Vincitore del Contest Stagionale Inverno 2022-2023