“Torna subito qui ragazzina!”
Urlò l’uomo in arme.
Sira correva a perdifiato, lanciandosi in una sfrenata corsa tra i borghi e vicoletti di Kerkinta. La corsa era resa ancora più difficoltosa dall’enorme quantità di bancarelle che spuntavano a ogni metro della strada, rendendo le vie ancora più tortuose.
Per i piedini veloci della piccola non era un grosso problema, ma per un uomo delle dimensioni e con l’armatura di Fagos era già un discorso diverso.
La piccoletta correva buttando un occhio sempre alle sue spalle. Nonostante tutti gli ostacoli, l’uomo riusciva comunque a tenerla di vista, non perdendola mai.
Fagos dal canto suo faceva tutto quello che poteva per destreggiarsi tra i mercanti e le mercanzie che occludevano i passaggi. La tabarda dorata con raffigurata la spada e le ali di Aretha svolazzava qua e là, e l’armatura di ferro faceva un gran rumore che riecheggiava nelle orecchie di tutti.
Non avrebbe voluto inseguire quella ragazzina, ma era il suo dovere…
L’aveva vista con i suoi occhi, l’aveva vista chiaramente. Stava borseggiando un mercante di vetri, rubando dal suo sacchettino alcune Arpe.
Non l’avrebbe punita in maniera brutale, ma almeno un ceffone e riconsegnare le Arpe al legittimo proprietario era il minimo.
Grida di protesta si alzarono da alcuni mercanti, vendendo i loro vasi improvvisamente messi in pericolo dal passaggio dell’omone.
Non c’era tempo.
Sira girò di scatto in un vicolo stretto. Un angolo a gomito che separava la via dei mercanti con quella delle case popolari.
Diversi gradini, almeno una ventina, portavano il vicolo più in basso della strada principale.
E lì capì di aver fatto qualche calcolo sbagliato. Da quella posizione rialzata vide che quello in cui si stava andando infilare non era altro che un vicolo cieco.
Fece i gradini a due a due, cercando di creare altro distacco tra lei e il suo cacciatore.
Con le ultime forze rimaste dalla folle corsa, cercò disperatamente di arrampicarsi sul muro che le precludeva la libertà.
Lo sentiva avvicinarsi.
Sì, sì sentilo.
I passi pesanti, la ferraglia dell’armatura che cozza contro le pareti di mattoni.
Sì, eccolo.
Sira, ormai consapevole del proprio destino e di come i Paladini osservassero con rigore la legge della Dea, si raggomitolò nell’angolo del vicolo. Si strinse il polso destro con la mancina, e un paio di lacrime caddero.
Per chi ruba viene tagliata la mano con cui si è compiuto il crimine…
Ma aveva fame, e suo fratello era ancora troppo piccolo per iniziare a lavorare, proprio come lei.
Non pianse rumorosamente. Erano più lacrime silenti e dolorose.
E tutto per qualche Arpa d’argento…
E con la fronte appoggiata al muro, gli occhi stretti e il cuore colpevole, aspettò che l’uomo facesse il suo dovere.
Un improvviso rumore metallico però distolse la sua attenzione.
Alzò il volto, con gli occhi ancora rossi per il pianto.
Non si aspettava di vedere quella scena.
Fagos era a terra, giù dalle scale.
Il Paladino era riuscito a trovare la ragazza ma non si era accorto della fanghiglia che lordava il terreno, dovuta forse a una delle ultime piogge della stagione.
Un piede mal messo, un’armatura troppo pesante e i gradini ripidi.
Rapido.
Indolore.
L’uomo era arrivato al gradino più in basso, sdraiato, e non accennava a muoversi.
Sira si alzò dal suo angolino, incredula.
Che la Dea fosse impazzita?
Era morto un… Paladino?
Sira si avvicinò al corpo dell’uomo, quasi incapace di credere a quello che era successo.
Non portava l’elmo… forse per correre e respirare meglio se l’era tolto, soprattutto per le temperature molto alte di quella giornata.
Sira tremava.
Deglutì rumorosamente.
Stava… fingendo?
Forse era una trappola…
Il collo innaturalmente piegato dell’uomo però parlava chiaro. Sira capì, capì molto velocemente.Il poveretto si era spezzato l’osso del collo volando giù dalle scale nel rincorrerla.
Ed era morto.
Gli spostò due ciuffi che erano ricaduti sudaticci sul volto e l’uomo, che a un primo momento le sembrava di mezza età, si rivelò essere un giovane ragazzo, piuttosto massiccio per la sua età ma giovane… forse era solo una nuova recluta dei Paladini, messo a controllare il Mercato per fare della gavetta…
Sira trattenne un singhiozzo.
Era morto.
Un Paladino giovane era morto inseguendola…
Guardò le Arpe che stringeva in mano.
Arpe sporche di sangue. Sangue di un essere caro alla Dea Aretha.
Orrore si dipinse sul volto della piccolina. Ma non vi fu tempo per rendersi conto di quello che era appena successo.
Altri passi si facevano strada lungo i vicoli. Altri passi pesanti, in armatura.
“Fagos! Fagos!” urlavano altri uomini.
Sira strinse al piccolo petto le Arpe che aveva così faticosamente rubato.
Il piccolo cuoricino scoppiava nel petto dalla paura.
Guardò il cielo, facendo scivolare le lunghe lacrime lungo gli zigomi.
“Scusami Alphios, ci ho provato… scusami fratellino.”
Thetis camminava velocemente lungo i corridoi silenziosi.
Non aveva bisogno di guide, non aveva bisogno di istruzioni per sapere dove andare e con chi parlare. Le mani dietro alla schiena, portamento regale, testa dritta e sguardo fiero, avanzava senza indugi.
Camminava a passo lesto, con il lungo peplo bianco che nascondeva i piedi delicatamente avvolti da dei sandali in cuoio. I lunghi capelli neri non erano più nascosti in segno di lutto, e ricadevano morbidi sulle spalle e lungo la schiena, senza particolari preziosi o gioielli. Non erano gli ornamenti o i vestiti pregiati a mostrare il valore di quella donna. Era ben altro…
Giuse alla Sala di Aretha.
Scostò con un gesto netto la tenda pensante color porpora e si fece avanti.
“Argeus.” Esordì, con voce ferma.
Un uomo di mezza età, dai capelli neri appena imbiancati come da una leggera nevicata dall’età, si voltò verso la donna. La barba era incolta, ispida, ma comunque abbastanza corta da far intravedere il viso sottostante. Gli occhi erano di un marrone caldo, simile al cacao.
Portava una pesante armatura di acciaio lucido e una tabarda dorata, mostrando solo le mani usurate e il volto corrucciato. La tabarda portava un simbolo molto ben conosciuto all’interno di Kerkinta e del resto di Ystoriel.
I simboli di Aretha, due ali bianche e una spada dorata. Ali per la libertà dal male, la spada per la difesa dalle ingiustizie. La stanza era ricolma di quei disegni, insieme ai colori predominanti del porpora, bianco e oro.
“Signora Thetis…” disse lui, più calmo, piegando il capo in segno di rispetto.
“È giunto il momento di mettere fine alla Cabala, Argeus.” Arrivò dritta al punto, senza mezzi termini.
Ancora davanti alla tenda, appena sull’uscio della sala circolare, la donna sembrava avere le idee chiare.
L’uomo chinò ancora di più il capo, nascondendo un’espressione contorta.
“Ho scoperto che Glauca faceva da informatrice per la Cabala… Non so cosa gli abbia potuto rivelare o cosa abbia fatto, ma sono sicura che presto lo saprò.” Era chiaro che la donna sapeva come far parlare la gente e non avrebbe tardato molto prima di mettere sotto torchio la traditrice.
“Non possiamo permetterci che la Cabala abbia determinate informazioni. Dobbiamo fermarla.” Prese un profondo respiro.
“Tu ben sai quanto questo ordine dei Paladini di Aretha abbia goduto di benessere e prosperità fino a quando c’è stato qualcuno della mia famiglia a governare Kerkinta. Tutti i finanziamenti, le spedizioni e i salari sono stati generosamente elargiti molto spesso per volere nostro, se ben ricordi.
Se ora però giunge questo vago presentimento di relazioni tra noi e la Cabala, puoi ben comprendere senza troppe spiegazioni che mio figlio non verrà mai eletto Arconte…”
Detto ciò la donna si avvicinò ancora di più al centro della stanza, tenendo lo sguardo fisso sull’uomo e senza dargli possibilità di replicare.
Gli occhi neri della donna sembravano pozzi neri in cui affogavano le anime sciagurate che per malasorte ne incrociavano lo sguardo.
Era una donna, vero, ma con un tale potere in mano che anche l’aspetto sembrava trasudare autorità.
Si era fatta il suo Impero, e non temeva in nessun modo i giochetti di potere.
Per quanto suo marito fosse bravo, alla fine l’unico a rimetterci fu lui, mentre lei poteva ancora giocare diverse carte.
Primo fra tutti suo figlio…
Una tenera anima, lo amava, questo è vero. Ma la ragione di Stato veniva prima di ogni cosa.
“Argeus, comprendi che se mio figlio non diventa il nuovo Arconte questo ordine potrebbe subire violenti tagli? Non avrete più la protezione di prima… Se poi sale al governo qualcuno di affiliato alla Cabala, possiamo definirci morti. Comprendi ciò?”
Lasciò passare qualche secondo, per far assimilare le informazioni all’uomo, che doveva in effetti ancora aprir bocca.
“Quindi, te lo chiedo un’altra volta.
I miei…” si soffermò molto su quel vocabolo usato.
“I miei Paladini sono pronti?”
Argeus si mosse per la prima volta da quando la donna aveva fatto il suo ingresso.
Alzò lo sguardo verso di lei, reggendo lo scontro non verbale con gli occhi.
“No.”
Thetis strinse un pugno, ricolma di ira.
Come osava…
Le labbra si piegarono verso il basso e il corpo della donna si fece una corda tesa, pronta alla violenza.
Ma prima che potesse reagire, Argeus continuò il suo discorso.
“No Thetis. Non sono pronti…
Qualche giorno fa ho avuto comunicazione che uno dei miei, una recluta, è morta…e sai anche tu cosa vuol dire.”
“Avete forse perso il ben volere della Dea, stolto sciagurato?!” alzò la voce lei. Era la prima volta nella sua intera vita che si era lasciata andare a un simile sfogo. Mai nessuno l’aveva sentita alzare la voce, ne mai nessuno l’aveva vista così irata. La sua rabbia era sempre stata quella di un felino, silenziosa e letale.
Argeus, il Capo dei Paladini, si lasciò cadere sulla sedia accanto al tavolo pieno di scartoffie.
Si massaggiò una tempia, cercando di capire cosa dire alla Signora prima che si scatenasse un putiferio.
Ma nella realtà, nemmeno lui sapeva cosa dirle.
“No Thetis, la Dea non risponde più alle nostre preghiere, ai nostri sussurri… ben sai quanto fosse il nostro potere anche solo in presenza di un amuleto dedicato a lei… il solo stare nel terreno a lei consacrato quasi ci rendeva immortali.”
Sospirò pesantemente.
“Ma ormai nulla funziona, non siamo altro che semplici guardie e soldati.”
Thetis si avvicinò all’uomo, seria e cupa in volto. Del colpo d’ira avuto prima sembrava non essere rimasta traccia, ma era palese che in quella testa calcolatrice girassero pensieri neri…
“Se ciò che mi dici è vero, prima di poter trovare altri alleati avremo il fianco scoperto, e la Cabala avrà la strada libera per assestare il primo colpo…”
Non sembrava più la vita vera. Tutto si era trasformato in una partita a scacchi.
Le pedine bianche di Thetis si battevano contro quelle oscure della Signora della Cabala.
Due donne che combattevano sapendo ben poco l’una dell’altra. E il tutto con il Dibattito di Atalos a poca distanza.
Quali altri alleati poteva mai richiamare Thetis per combattere la Cabala?
Argeus afferrò con dolcezza la mano di Thetis tra le sue e la portò alla bocca. Le baciò delicatamente il dorso della mano e in un respiro a mezza voce sussurrò “Perdonami…”
Se solo avessero saputo che la loro beneamata Dea era caduta nelle mani sbagliate, nelle mani di un Macellaio…
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Racconto di Chiara R.
Finalmente sono ritornati i complotti di Kerkinta! 😂
Il racconto è scorrevole e “va dritto al punto”.
Per quanto riguarda lo stile ho notato che c’è qualche ripetizione e che usi parecchio gli avverbi in – mente (errore che faccio sempre anch’io).
Bello il ritmo dell’inseguimento: si crea contrasto con la seconda parte, che invece è molto discorsiva.
Sono interessanti le note di flavour che hai aggiunto a Kerkinta (la monete, i simboli di Aretha etc)
Forse avresti potuto dilungarti un po’ di più nella parte di dialogo, ma immagino che tu abbia voluto rendere il modo di fare “diretto” di Thetis.
Thetis è un personaggio che mi piace molto e penso che ne vedremo delle belle 🙂