Il giovane mezzelfo risalì le scale in tutta fretta e sbirciò attraverso la porta socchiusa.
Il suo padrone era solo, chino sullo scrittoio. Era un uomo minuto, che poteva avere cinquanta o sessant’anni. Aveva un viso scarno e corti capelli grigi, con baffi e pizzetto ben curati.
Elias bussò per due volte e scivolò nella stanza, senza nemmeno attendere risposta.
L’uomo alzò gli occhi castani dai documenti arrivati da ogni angolo di Ystoriel: lettere confidenziali, dispacci d’ambasciata, verbali di interrogatori.
— Sì?
Il servitore fece un leggero inchino. Una ciocca di capelli color rame gli ricadde sugli occhi.
— Il mutaforma è arrivato, Vostra Eccellenza.
Cardinale annuì.
Terminò la lettura dell’ultima pergamena e vi ricamò la propria firma con grafia precisa.
— Grazie, Elias. Fallo portare qui.
Qui?
Il mezzelfo inorridì al pensiero di quel mostro che avrebbe insudiciato il pavimento e il prezioso tappeto, ma decise di non commentare.
— Come desiderate, Eccellenza.
Sparì giù per le scale e tornò dopo pochi minuti, seguito da due Cappe Blu. I miliziani trascinarono nella stanza la creatura che Cardinale stava aspettando.
L’essere non si reggeva in piedi, così lo strattonarono per la catena che portava legata intorno al collo. Le sue gambe, simili a quelle di un essere umano, strisciarono sul marmo. Il rumore fece storcere la bocca a Elias.
Il mutaforma non emise neanche un lamento. Si rannicchiò sul tappeto e rimase immobile, come paralizzato. Tuttavia, sollevò le iridi pallide su Cardinale e gli rivolse uno sguardo da animale agonizzante. Una ferita marcescente gli solcava il collo e il suo corpo nudo era ricoperto di lividi che sfumavano dal blu al giallo verdognolo.
Santi Quattro!
— Chi lo ha ridotto così? — sibilò Cardinale.
Il suo sguardo indugiò sui numerosi arti scheletrici che il mostro aveva ripiegato contro il torso.
— Chi può saperlo? L’hanno trovato tra i rifiuti — borbottò la Cappa più vecchia — Mangiava gli avanzi che gli gettava la gente, come un cane randagio.
Elias notò che il più giovane, invece, si stava mordicchiando il labbro inferiore. I suoi occhi si spostavano qua e là nella stanza, evitando con cura quelli di Sua Eccellenza.
Cardinale si rivolse alla creatura. Usò una voce severa, ma mite:
— Parli la mia lingua?
Il mutaforma non rispose. Il suo viso non cambiò espressione. Era un volto di ragazzo, spigoloso, col naso affilato e la bocca storta.
Il soldato più anziano diede un forte strattone alla catena, strappandogli uno stridio acuto.
— Parla, schifoso! Rispondi a Sua Eccellenza!
Gli occhi di Cardinale divennero freddi come cocci di vetro. La sua voce si indurì.
— Smettetela.
— Scusate, Eccellenza, ma il mostro sa parlare. È solo che non…
Cardinale alzò una mano per zittirlo.
— Liberatelo.
Le Cappe Blu si scambiarono uno sguardo confuso. Il soldato più giovane frugò per qualche istante nella scarsella, estrasse una chiave con mani tremanti e si inginocchiò accanto al mutaforma. La creatura continuava a non muoversi, lo sguardo fisso in quello del suo salvatore. Lucchetto e catena caddero a terra con un clangore metallico. Cardinale fece un leggero sospiro.
— Hai un nome, figliolo?
— Slag— gracchiò la creatura.
— Capisco. Non è un nome molto lusinghiero. Non ne vorresti un altro?
Lui scosse la testa.
— D’accordo, Slag. Ora ti sarà fatto un bagno, verrai curato e troveremo il modo di vestirti. Nessuno ti farà più del male, qui.
Poi, l’uomo si rivolse al proprio servo:
— Elias, prenditi cura di Slag. Fai in modo che un chierico di Cordis si occupi subito di quelle ferite e assicurati che venga nutrito a dovere. Ho grandi progetti per lui.

Quella mattina Thomas Howell era intento a saggiare un nuovo, costosissimo blu di lapislazzuli. Il sole entrava nella stanza da sinistra, illuminando la tela da un solo lato. Il giovane sospirò. Quella luce non era adatta a dipingere, ma era stato costretto a scegliere. Comprare i colori o cambiare bottega.
L’apprendistato è finito. Le cose miglioreranno.
Di colpo l’uscio si aprì, riscuotendo il pittore dai suoi pensieri.
Sua moglie sembrava portata dal vento. Ciocche di capelli biondi le sfuggivano dalla crocchia, ricadendole sul viso ovale. Il suo abito, teso sul ventre gravido, era stropicciato. Thomas smise subito di dipingere.
— Claire! Che succede?
La donna ricacciò indietro i capelli più volte, con gesti nervosi. I suoi occhi grigi guizzarono qua e là nella stanza.
— Sua Eccellenza ha mandato Elias a cercarti — disse, affannata — Ti aspetta a corte per affidarti un lavoro.
Grazie ai Quattro!
Tomm l’attirò a sé e la baciò sulle labbra. Entrambi risero di gioia. Un’altra commissione da Cardinale significava avere cibo in tavola per mesi.
Non facciamolo aspettare.
L’uomo si trattenne un solo istante per pulire i pennelli, raccolse il mantello e si lanciò fuori dalla bottega.
Quella mattina una foschia leggera copriva Inverstorm come un lenzuolo. Il sole di ottobre non era abbastanza caldo per dissolverla del tutto. Le strade erano gremite di gente; cavalli e carretti procedevano verso il centro della città, con un uno scalpitio ritmico di zoccoli.
Quando Tomm giunse a corte, l’attendente non lo condusse nella solita stanza ingombra di carte, ma in un lungo salone con al centro un tavolo di quercia. Il soffitto era a cassettoni, finemente intagliato. Dal lato opposto all’ingresso si trovava un camino sovrastato dal falco della famiglia imperiale e le pareti erano coperte da grandi arazzi.
— Aspettate qui.
Il pittore abbassò lo sguardo sulle proprie mani e si accorse, con vergogna, di avere le dita ancora macchiate di blu. La porta dietro di lui si aprì con un clack. Si girò di colpo, trovandosi davanti Cardinale.
Thomas si inchinò profondamente.
Un bell’inchino non fa mai male.
— Buongiorno, Eccellenza. Desideravate vedermi?
Cardinale si rimboccò le maniche della veste ornata di ermellino e tinta di rosso cupo.
— Sì. Intendo discutere un lavoro con voi, Messer Howell.
— Ma certo, Eccellenza. Di che cosa si tratta? Un altro ritratto?
Tomm era davvero bravo a dipingere visi, anche se, in cuor suo, preferiva di gran lunga i paesaggi.
Cardinale scosse la testa e gli strizzò l’occhio.
— Personalmente preferisco i paesaggi, ai ritratti. Avete dipinto una veduta di Inverstorm per l’Alto Arcanista, non è così?
— Sì, signore.
— Ho capito subito che era opera vostra: c’era della sabbia mescolata ai colori, per rendere il ruvido dei tetti. Ne dipingerete uno uguale per me.
Il pittore fece un grande sorriso.
A-aye, Eccellenza. Grazie.
— Il Conte di Wesser, però, ha bisogno di buon ritrattista, uno che sappia cogliere i dettagli. — riprese Cardinale, accarezzandosi il pizzetto ben curato — Per questo gli ho parlato di voi.
Il suo sguardo si fece penetrante come la lama di un coltello.
— Voglio che riferiate quei dettagli a me, con ricchezza di particolari. E, naturalmente, sarete ricompensato.
Mi sta chiedendo di…
— Signore, non potrei mai…
Io non sono una spia!
— Ah no? Avrei giurato il contrario.
Tomm rimase a bocca aperta.
— Dunque, oggi vi fornirò tutte le informazioni del caso, firmeremo il contratto e avrete il vostro anticipo.
— Perdonatemi, Signore. — pigolò Tomm — Ancora non ho accettato.
— Oh, e invece lo avete fatto, Messer Howell. Soltanto l’Imperatore mi dice di no, e voi di certo non lo siete.

Markov si tamponò il labbro spaccato con la camicia. Storse il viso, quando la stoffa ruvida si attaccò alla ferita.
Fanculo. Resterà la cicatrice.
Almeno gliel’aveva fatta pagare, a quel figlio di puttana. Gliel’aveva fatta pagare cara. Sorrise tra sé e fece scrocchiare il collo. Qualche goccia di sudore gli piovve dalla nuca e rotolò lungo la schiena possente.
— Ehi! Ehi, Markov!
Il giovane fece guizzare gli occhi da una parte all’altra della stanza. Individuò lo sconosciuto, che aveva preso a sventolare in aria una mano, e gli si avvicinò.
— Chi siete?
L’uomo fece un sorrisetto, scostandosi dalla fronte un ricciolo castano.
— Sono Tomm, grosso idiota. Chi altri sennò?
È successo ancora!
— Scusami, Tomm. Io… non ti avevo riconosciuto.
Di nuovo.
Aye, lo so.
Nella sua voce, Markov sentì come una punta di amarezza.
Tomm si portò alle labbra la pipa, aspirò una lunga boccata, e soffiò fuori il fumo.
— Ho portato qui i miei amici, come ti avevo promesso.
— E…?
— E penso proprio che avrai il lavoro, ma prima devi venire a conoscerli.
Il ragazzo si lasciò condurre sul retro della locanda. Trovò ad attenderlo due uomini ammantati e incappucciati di scuro: uno dei due era piccolo e minuto, l’altro piuttosto alto.
Markov smise di tamponarsi la bocca. Un brivido lo percorse da capo a piedi.
Coglione.
Perché ti sei fidato?
Tomm si inchinò di fronte al primo.
— Vostra Eccellenza.
Si avvicinò all’uomo alto e gli assestò una pacca sulla schiena.
— Vecchio mio, da quanto tempo! — disse, ironico.
L’altro gracchiò una risata. Il pesante manto nero lo copriva fino alle ginocchia. Markov riuscì a intravedere soltanto qualche ciocca di capelli stopposi e una bocca sottile, un po’ storta.
Non sapendo come comportarsi, decise di imitare l’amico. Fece un passo avanti e si piegò in un goffo inchino.
Cosa cazzo ha in mente Tomm? Chi è questa “Eccellenza”?
Come se avesse udito i suoi pensieri, il mingherlino si abbassò il cappuccio. Era un uomo non più giovane, con il viso scavato e il naso leggermente adunco.
— I miei complimenti, ragazzo. Era un bel pezzo che non assistevo a un incontro di lotta. È stato molto divertente.
Si girò verso l’uomo ammantato di nero.
— Non sei d’accordo, Slag?
Lui si pizzicò la barba malfatta e grugnì.
Markov decise di interpretarlo come un assenso.
— Grazie… signori.
Il mingherlino continuò, con gentilezza.
— Naturalmente Thomas mi aveva parlato di te, ma ero troppo curioso di vedere questo “spirito guerriero” con i miei occhi. Sei forte e hai anche una mente sveglia, a quanto pare.
— Grazie. — ripetè il ragazzo.
Il labbro ferito gli pulsava contro i denti. Aveva la bocca asciutta, impastata dal sapore del sangue.
— Sei ferito, figliolo?
Markov scosse la testa.
— Perché ti sei lasciato colpire?
— Le mie ossa sono dure, quel misevj si è rovinato le mani. E poi stavo cercando i suoi punti deboli.
— Li hai trovati?
— Teneva la testa un po’ piegata a sinistra: vuol dire che il suo orecchio destro non sente bene. E zoppicava, sempre a sinistra. Aveva due dita rotte, credo. Comunque, il piede non era a posto.
Tomm si girò verso l’uomo vestito di nero con un’espressione trionfante.
— Non molti usano una tattica così buona, soprattutto se sono giovani come te. — riprese quello basso, lisciandosi il pizzetto —Ma perdonami: non abbiamo ancora fatto le presentazioni. Forse non mi conosci, anche se il mio nome gira parecchio per le strade. A corte mi chiamano Cardinale. Sono un uomo di fiducia della nostra Augusta Sovrana.
Markov ebbe un leggero sussulto e ammutolì.
Cardinale. Quel Cardinale.
“Nulla accade senza che lui lo sappia”
L’uomo gli rivolse un sorriso sornione.
— E tu sei… ?
— Markov, figlio di Sasha, Signore.
— Bene, Markov, figlio di Sasha. Ti piacerebbe diventare uno dei miei agenti, come il nostro Tomm?
Il ragazzo fece un cenno di assenso. Cardinale continuò a sorridere, ma assottigliò lo sguardo, studiandolo con più attenzione.
— Hai già visto morire degli uomini?
— Sì, signore.
— E ne hai anche uccisi?
Il giovane esitò per un istante. Cercò lo sguardo di Tomm e lo vide annuire in maniera quasi impercettibile.
— Sì.
— Già, lo immaginavo. Se fossi venuto qui da solo, forse mi avresti tagliato la gola.
Tomm e l’uomo chiamato Slag ridacchiarono.
Markov scosse la testa, si avvicinò a Cardinale e gli sfiorò il petto con un dito, appena sotto allo sterno.
— No, signore. Vi avrei colpito qui, dritto in su. È preciso e veloce, anche se ci vuole forza. Tagliare la gola è più facile, ma si sparge tanto sangue.
Cardinale sembrò divertito da quel piccolo atto di impudenza.
— Hai mai colpito qualcuno alla schiena? Cosa hai sentito?
— Sì, è come… come snijeg. Scusate, signore, non so dirlo nella vostra lingua. Come neve sotto gli stivali.

Questa volta fu Tomm a sorridere.

— Oh, aye! Sentito che poeta?
Slag fece un sospiro impaziente, come se avesse fretta di andarsene. Il ragazzo lo osservò di nuovo, di sottecchi.
Chissà se parla anche.
Cardinale si allontanò di qualche passo, mettendosi accanto a Tomm.
— C’è un’ultima cosa che ho bisogno di vedere, figliolo. Voglio che tu ora resti immobile. Mi hai capito? È davvero importante che tu non ti muova.
— Ho capito.
Slag avanzò di colpo. Markov si irrigidì.
Resta fermo.
Qualcosa gli saettò verso il viso. Si fermò a pochi millimetri dal suo occhio destro. Il ragazzo non batté nemmeno le palpebre.
Cardinale sollevò il cappuccio a coprirsi i capelli grigi.
— Bene, molto bene. Da stanotte fai parte della Sezione, Markov figlio di Sasha. Certo, dovrai essere addestrato, ma a questo penserà Slag.
Markov smise di trattenere il fiato. Il mutaforma allontanò la falce d’osso dal suo volto e la nascose sotto il lungo manto.
— Come desiderate, Eccellenza — ringhiò.
Aveva una voce greve e aspra, come acciaio strisciato sulla pietra. L’angolo della sua bocca si incurvò in un ghigno storto.

Jack serrò i pugni e si sforzò di controllare il tremito delle proprie mani.
Cardinale le rivolse un sorriso rassicurante, da sotto i baffi ben curati.
— Si è trattato di un tragico incidente, Jack. Io lo capisco e ti sto dando la possibilità di rimediare, di renderti utile. Non posso permettere che i tuoi talenti vadano sprecati così…
La maga strinse le labbra in una linea dura e annuì.
— A-accetto.
— Perciò siamo d’accordo? Io ti eviterò un viaggio di sola andata al Palazzo di Iustus e tu diventerai il nuovo mago della squadra di Slag.
Ho altra scelta?
— Sì, Eccellenza. Grazie.
Cardinale si girò verso il bambino dai capelli biondi, che se ne stava seduto a leggere di fronte alla finestra.
— David, figliolo, devi farmi una cortesia.
Il bimbo chiuse il libro e lo appoggiò sul davanzale.
— Sì?
— Accompagna la nostra amica a conoscere gli altri, poi ritorna qui.
David balzò giù dalla sedia e uscì dalla stanza. Cardinale si aggiustò il colletto della veste rosso scuro.
— Allora a presto, Jack.
— Vostra Eccellenza.
La ragazza si inchinò in fretta e seguì il bambino fuori dalla porta. Lo sorprese ad asciugarsi le lacrime sulle maniche della tunica.
— Leggevi una storia triste? — gli chiese, allungando istintivamente una mano verso la sua. David sbarrò gli occhi celesti e scosse la testolina, ritraendosi di colpo.
— Non lo devi fare. — sussurrò, secco.
Non fece il minimo caso all’espressione smarrita di Jack. Si limitò a guidarla lungo scale e corridoi, in silenzio, fino alla piazza d’arme. Si fermarono sotto l’arco di accesso. Un clangore metallico echeggiava nel cortile, dilatandosi nell’aria fredda del mattino.
— Sono là, quello con il mantello e quello alto. Li vedi?
Jack seguì con lo sguardo il piccolo dito di David e annuì. In un angolo del piazzale notò un uomo avvolto in un mantello scuro e uno alto e muscoloso, con corti capelli neri. Entrambi erano armati di pugnali. L’uomo con mantello tentò di colpire dall’alto in basso, ma il secondo riuscì a parare. Lo raggiunse con un calcio al torace, facendolo crollare all’indietro nella neve. Quello si rialzò con una rapidità sovrumana e deviò un attacco. Da sotto il manto nero scattarono fuori due falci d’osso. Una si arrestò contro la gola dell’uomo più alto, l’altra gli fece schizzare via il coltello di mano.
È un mutaforma!
Jack si girò di nuovo verso David, ma lui era già sparito.
Maledizione.
Fece un respiro profondo, e attraversò il cortile.
I due combattenti stavano riprendendo fiato, scuotendosi di dosso la neve.
Jack si piantò davanti a loro senza dire una parola e rimase a fissarli per qualche istante. L’uomo coi capelli neri ricambiò il suo sguardo con la stessa insistenza.
Il suo viso era rovinato, col dorso del naso schiacciato e piegato verso sinistra e una brutta cicatrice sul labbro superiore.
— Levati dalle palle, ragazzino. — grugnì, raccogliendo il pugnale da terra. Parlava l’asgaillano con un forte accento del Bephigrast.
Jack incrociò le braccia sotto il seno.
— Sono il vostro nuovo mago. E sono una ragazza. — replicò, gelida — Mi chiamo Jack.
Entrambi gli uomini scoppiarono a ridere. Il mutaforma la scrutò con le strane iridi perlacee.
— Beh, devi scusarci, maga, ma che aspettavi a dircelo?
Il bephigran le afferrò una mano e gliela strinse con vigore. Portava le maniche della camicia rimboccate fino al gomito, sulle braccia forti. Scoprì i denti bianchi in un grande sorriso, simile al ringhio di una belva feroce.
— Benvenuta! Io sono Squalo e lui è Slag, il Caposquadra.
Squalo. Azzeccato.
— Credevo che “Jack” fosse un nome da uomo — aggiunse, beffardo.
— E io che “Squalo” fosse un nome da bestia.
Il giovane, per nulla offeso, sbruffò un’altra risata.
— Il Grigio deve essere qui in giro, più tardi conoscerai anche lui. E poi c’è David.
— David? Il bambino?
Slag annuì.
— Lo hai già incontrato?
Jack non ebbe il tempo di rispondere, perché fu interrotta dalla comparsa di un Arn grassottello, seguito da due Sultharis.
— Oh, Santi Quattro! Cardinale vi ha mandato una ragazza! —ridacchiò l’Arn — È un po’ secca, certo, ma è sempre meglio del povero Algard, che Cordis abbia cura di lui.
Squalo e Slag si scambiarono un’occhiata cupa. Il nanerottolo strizzò l’occhio a Jack.
— Ma che peccato! A quanto pare sono arrivato tardi per lo spettacolo! Nessuno combatte come Slag in tutta la Sezione, parola mia.
Slag fece una smorfia che trasudava antipatia. Le rughe che gli solcavano il viso si fecero più profonde.
— Non ci sono altri… come me, qui.
L’Arn riprese a ridacchiare. Il freddo gli aveva tinto il naso di un buffo rosso ciliegia.
— Questo è vero, vecchio ragno, ma non credo che tu sia il più speciale. Sua Eccellenza sa scegliere molto bene. Prendi Kaya e Sefu — disse, indicando i Sultharis.
I due ragazzi rimasero in silenzio: i loro volti, quasi identici, sembravano scolpiti nell’ebano.
Il piccoletto tornò a rivolgersi alla maga.
— Anche il nostro Squalo non è da meno. Ne hai sentito parlare, bambina? Beh, lui è un vero sopravvissuto…
Squalo impallidì di colpo.
— Per via di una tempesta, si è trovato in mezzo al mare su una zattera. Erano in dodici. — proseguì l’Arn, con noncuranza. — Non c’era quasi niente da mangiare e da bere sulla cazzo di zattera, è ovvio, così gli uomini hanno incominciato a morire come le mosche.
Squalo strinse i pugni. Jack si accorse della vena che gli pulsava sulla tempia.
— Vaffanculo, Dunk — ringhiò, allontanandosi a grandi passi.
Slag lo seguì con lo sguardo per qualche istante. Dunk non smise di ciarlare.
— Lo hanno trovato dopo circa mezza luna. Ancora vivo.
Jack spalancò gli occhi verdi.
Ma è impossibile…
— Come ha fatto a salvarsi?
— Ha mangiato — rispose Slag, atono.
La ragazza scosse la testa, senza capire.
— Mangiato? Cosa?
Nel momento in cui fece la domanda, la risposta le attraversò la mente.

Il vecchio Elias arrancava a fatica su per scale, a causa del solito ginocchio dolorante. David sospirò spazientito e lo superò a metà della rampa, risalendo gli ultimi gradini a due a due. Al suo passaggio, il mezzelfo si ritrasse contro il corrimano.
— Sua Eccellenza mi aspetta! — cinguettò il bambino, per scusarsi.
Si precipitò nella stanza con troppo impeto, senza chiedere il permesso. Cardinale alzò di colpo gli occhi su di lui.
— Buongiorno, David. Vedo che vai di fretta…
David annuì a testa china, sentendosi ardere le guance.
Stupido. Non avresti dovuto.
Cardinale sfoderò un sorriso sottile.
— Non preoccuparti, figliolo. Ho una buona notizia da darti.
La sua voce era bassa e carezzevole.
— Siediti vicino a me.
Il bambino prese un sontuoso sedile da accanto alla finestra e lo trascinò dietro lo scrittoio. Ci si sistemò con un sospiro, stropicciandosi gli occhi lucidi.
Cardinale sorrise ancora e si sfiorò il pizzetto ben curato. Aveva un viso scavato, piuttosto insignificante, che dimostrava cinquanta, sessant’anni.
— Ieri ho parlato con Slag. Mi ha riferito che il tuo addestramento procede meglio del previsto. Non sono sorpreso. Ho sempre saputo che saresti stato una grande risorsa per l’Impero… e per me.
David raddrizzò il capo, fiero. Compiacere Sua Eccellenza era ciò che più lo rendeva felice.
L’uomo allungò una mano sulla sua testa e prese ad accarezzargli i capelli. Come ogni volta, il bambino smise di sentire male. Lo guardò in volto, alla ricerca della sofferenza che storceva i lineamenti di tutti gli altri, ma vi trovò la solita espressione serena. Si abbandonò alla sensazione di sollievo.
Se solo non smettesse mai…
La frase successiva lo colpì come uno schiaffo.
— Per questo motivo inizierai a seguire la squadra di Slag in ogni spostamento: domani partirete per Landen. Congratulazioni.
Vuole che vada via!
— I-io non voglio stare lontano da voi. — balbettò, con un filo di voce.
Cardinale inarcò le sopracciglia, come se fosse sorpreso.
— Davvero? Credevo ti fossi stancato di libri e mappe… e della compagnia di un vecchio. — rispose, benevolo — Hai compiuto undici anni: è ora che tu esca da questo palazzo, che impari a conoscere il mondo. Slag e gli altri si prenderanno cura di te.
David scattò all’indietro, sottraendosi alle carezze. La sferzata di dolore gli spezzò la voce.
— N-non voglio…
— Caro ragazzo, devi capire che tutto questo è solo per il tuo bene. Non c’è… clemenza, nei confronti di quelli come te, lo sai. Voglio che impari a difenderti, a essere forte…
Lo fa per il mio bene. Vuole che io sia forte.
Il bambino ricacciò indietro le lacrime e annuì. Strinse i piccoli pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
— Ne siete sicuro? E se invece non sono pronto? — pigolò.
— Io ne sono sicuro, Slag ne è sicuro. Non c’è altro da discutere.
Cardinale aprì il primo cassetto dello scrittoio e ne estrasse un pugnale con il manico di osso decorato.
— Ecco, prendi. L’ho fatto forgiare per te. Sono certo che non mi deluderai.
David ripose il coltello nel fodero e se lo agganciò alla cintura con mani tremanti.
No, non lo farò.
— Grazie, Eccellenza.
— Adesso va’— lo esortò Cardinale — Neith e Cordelia ti aiuteranno con i bagagli. Più tardi leggeremo insieme.
Il ragazzo, si piegò in un leggero inchino.
— A più tardi, Eccellenza.
Uscì dalla stanza e richiuse la porta dietro di sé, scese le scale e si diresse verso la propria camera. Trovò la porta socchiusa: le serve dovevano essere già all’interno. Quasi per gioco, si avvicinò allo spiraglio sforzandosi di essere silenzioso, come gli aveva insegnato a fare Tomm. La voce roca di Neith e quella più squillante di Cordelia si udivano distintamente.
— Santi Quattro, Neith! Sei proprio ingenua! Sua Eccellenza non gli è mica affezionato: quel bambino è la sua bestiolina ammaestrata, ecco cosa! Se davvero ci tenesse, lo avrebbe mandato a stare tra i Vesterith appena nato. Ho ragione o no?
L’altra emise un suono che avrebbe potuto essere sia di assenso che di dissenso.
Il bambino trattenne il fiato. Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo.
Bugiarda!
— Povera creatura! Forse l’Alto Mago potrebbe aiutarlo, si diceva che suo fratello… — ipotizzò Neith.
— Ah, puoi scommetterci! Ma che se ne farebbe, poi, Sua Eccellenza, di un marmocchio qualunque?
David sentì chiudersi il coperchio di un baule.
— Credimi, non lo sto biasimando — riprese la voce di Cordelia — Fa quel che fa per il bene dell’Impero. A me non importa di quanti mostri come quello manda a morire!
David strinse forte il manico del pugnale. Lacrime cocenti gli colarono lungo le guance e giù per il collo. Si lasciò sfuggire un singhiozzo di rabbia.
Bugiarda!
Dietro la porta, le due donne smisero di parlare.
— Zitta, Delia… — sussurrò Neith.
Il bambino entrò nella stanza, strofinandosi gli occhi sulla manica della camicia. Neith, con le guance paonazze, gli scivolò accanto e sparì su per le scale. Cordelia fece una faccia imbarazzata, ma anche un po’ sprezzante. Aveva gli occhi di un ostile azzurro piatto. Occhi che sembravano pezzi di vetro.
Bugiarda!
David le si buttò addosso ringhiando come un gatto selvatico. La ragazza non ebbe quasi il tempo di gridare. Il bambino le piantò nella gola il suo pugnale nuovo di zecca, l’ululato si spense subito in una serie di gorgoglianti colpi di tosse.
Bugiarda!
David sorrise. Il contatto con Cordelia gli impediva di sentire male. Seppe che era morta quando smise di rantolare e il dolore ricominciò. Le strappò via il coltello dal collo e iniziò a ripulirlo con cura sulla sottana.
— Dannazione, David!
L’imprecazione di Slag lo distolse dal suo lavoro.
— Alzati! Guarda che cazzo hai combinato…
Il viso del mutaforma, tutto piani e spigoli, era contratto dalla rabbia. Il bambino slittò all’indietro sul pavimento, spaventato.
Slag avanzò di un passo, evitando la marea rossa che si era ormai allargata accanto ai suoi piedi.
— Alzati, ho detto. Che ti è saltato in mente? — sibilò, aspro.
David si rimise in piedi. Puntò un dito tremante contro Cordelia.
— P-parlava di Sua Eccellenza. Diceva… cose brutte, diceva che…
— Non mi interessa cosa diceva. Ti sei comportato da idiota.
Il bambino abbassò gli occhi.
— Cosa mi succederà?
— Niente, per questa volta. — replicò il mutaforma, a denti stretti — Ma la prossima sarà diverso. Nella mia squadra non ammetto errori.

Racconto di Melissa Negri.