“Guarda, mamma!”
“Fermo, non toccare.”
La mano di Erica strinse più forte quella di Ettore. Perché la mamma continuava a trascinarlo in giro per i mercatini senza fermarsi a guardare le cose belle?
“Ma ci sono le casette che si illuminano.”
“Non c’è tempo, dobbiamo ancora trovare un regalo per i nonni e poi filare a casa che papà ha cucinato tante cose buone per la Vigilia.”
Ettore fu trainato fino a una bancarella dove una vecchina con un foulard colorato intorno al collo vendeva decorazioni e statuine di terracotta.
“Scusi signora” Erica indicò una ghirlanda tra le cianfrusaglie appese “quanto viene? È proprio carina.”
Quella ghirlanda faceva schifo, ma la mamma non voleva che lui dicesse quella parola. Le statuine sì che erano forti invece. Tra tutte svettava un re magio suntuoso in sella a un cammello. O forse era un dromedario, non ricordava mai quale avesse due gobbe. Si sporse sul tavolo, allungò la mano libera e riuscì ad afferrare una zampa della cavalcatura.
“Guarda mamma che bello questo re magio. Lo prendiamo?”
Gli occhi di Erica si accesero su di lui come i fari di un’auto.
“Non toccare!”
Folgorato, Ettore sobbalzò. La statuina gli scivolò dalla mano e cadde al suolo. Il busto si staccò dal corpo. Un pezzo del viso si infilò tra le fessure dei sampietrini scomposti. Il cammello, o dromedario, perse due zampe. Ettore aprì la bocca smarrito. Quel re magio non avrebbe più potuto portare i regali al bambin Gesù.
“Ecco, guarda cos’hai fatto Ettore!” Erica gesticolò con la mano libera. “Mi scusi signora, mi sono distratta un attimo e–”
“Non si preoccupi” la vecchina elargì un sorriso sdentato “è un bambino, sono fatti così.”
“Tu monello, chiedi scusa alla signora, subito.”
Ettore ondeggiò sui talloni. Perché avrebbe dovuto chiedere scusa? La mamma l’aveva spaventato, altrimenti il re magio non gli sarebbe mai scivolato. La sua bocca rimase sigillata.
Erica piegò la testa di lato. “Ettore, non credo che Babbo Natale sarà molto felice di sapere che hai rotto una cosa di questa signora senza nemmeno chiedere scusa.”
“Non si preoccupi, non fa niente, si sente in colpa e non sa cosa dire. È così… vero piccolino?”
Le pieghe della pelle avevano ridotto gli occhi della vecchina che sorrideva a due fessure, solo un leggero sbrilluccichio testimoniava la loro presenza.
Erica raccolse i pezzi del re magio che riuscì a recuperare. “Ecco tenga. Mi dica quanto veniva, gliela pago.”
“Davvero, non si preoccupi. Tu piccolino invece, la vuoi una caramella?”
Ettore fece subito sì con la testa. Erica rilassò le spalle e sciolse la bocca contratta in un sorriso. “Si merita il carbone, altroché.”
La vecchina rise gracchiando. Allungò la mano chiusa davanti a lui, la girò verso l’alto e l’aprì. Le unghie erano molto lunghe. Ettore afferrò la caramella, scartò la carta lucente e se la mise in bocca senza esitare. Sapeva di arancia, ma aveva uno strano retrogusto.
“Almeno dì grazie Ettore.”
“Grazie.”
“Ma allora sai ancora parlare” disse Erica. “Signora, scusi ancora per la statuina e… buon Natale.”
“Si figuri, buon Natale.” Ettore fu trascinato verso una nuova bancarella. La vecchina continuò a salutarlo con la mano finché le gambe dei passanti non gli permisero più di scorgerla.
Ed ecco che la mamma si fermava di nuovo. Questa volta sul banco davanti a Ettore c’erano fette di pane e barattoli con dentro qualcosa di scuro.
“Bleah, che puzza. Sembra fango.”
“Ma che fango sciocchino, è salsa di tartufo. Ai nonni piacerà tantissimo, dammi retta.”
* * *
Ettore aspettava in sala l’ora di cena. La tavola era apparecchiata con una tovaglia ricamata. Le luci dell’albero si riflettevano nei bicchieri di cristallo e nelle posate d’argento. Tutto quel luccichio non poteva però competere con il presepe. La grotta sembrava vera con quelle pietre, anzi no, con quelle “rocce vulcaniche”, come diceva la mamma. Il pastorello era la sua statuina preferita. O forse era meglio la signora con le papere… difficile scegliere.
“Tutti a tavola!” Erica sbucò dalla cucina insieme al marito. “Ah sei già qui tu, bravo. Tua sorella dov’è?”
“Non lo so…”
“Non risponde, non mi avrà sentito. Va’ di sopra a chiamarla per favore.” Erica accese le candele del candelabro in mezzo al tavolo. “Piero mancano i– ”
“Sì sì, vado a prenderli.”
Ettore tornò con Arianna, il papà con i sottopentola. Verdure in pastella, insalata russa, cetriolini, salmone affumicato. Ettore si ingozzò di antipasti, ma quando arrivò la zuppiera con la crema di scampi la puzza lo soffocò.
“Non fare quella faccia.” La mamma lo stava guardando con un sopracciglio alzato. “Il papà ci ha messo tutto il pomeriggio per farla.”
“È buonissima la zuppa di scampi” disse Arianna. Quanto era fastidiosa sua sorella quando faceva così.
“Ben detto” Erica le fece l’occhiolino “e poi tanto tu non la devi mangiare Ettore, per te c’è il tuo piatto preferito, quindi è inutile che fai le smorfie.”
Ettore spazzolò gli spaghetti con burro e parmigiano. Il secondo di pesce se lo potevano anche tenere, per lui la cena finiva lì. Desiderava solo il panettone.
“Ma io lo volevo senza i canditi!”
“Ettore” il papà sbuffò “il panettone è fatto così.”
“Ma mi fanno schifo i canditi.”
“Non si dice che schifo!” disse Arianna come un arbitro che fischia un fallo.
Erica ammiccò con la testa. “Tua sorella ha ragione, non si dice quella parola, lo sai benissimo anche tu.”
Ettore toccacciò la fetta nel piatto. “A scuola me l’hanno dato con le gocce di cioccolato.”
“Ma per favore” lo sguardo di Erica incontrò gli occhi complici di Piero come se le avesse appena raccontato una barzelletta “se proprio non li vuoi, mettili da parte.”
Ettore estrasse ognuno di quegli schifosi cubetti colorati e li dispose sul bordo del piatto. Erica e Piero erano ormai al caffè quando addentò la fetta di panettone.
Arianna e Ettore prepararono un bicchiere di latte e tre biscotti sulla mensola sotto la finestra in sala. Non essendoci un camino Babbo Natale sarebbe entrato da lì. Sarebbe stato forte vedere come l’avrebbe aperta senza far rumore con la sua magia, ma lui arrivava solo se i bambini erano addormentati.
Ettore guardò fuori dal vetro. Voleva che nevicasse. Quando tutto era bianco era come vivere in un mondo ricoperto della crema che la mamma metteva sulle torte.
Un lieve prurito dietro la nuca lo fece voltare. Qualcuno lo stava spiando. Arianna era al suo fianco e dalla cucina si sentivano mamma e papà che sistemavano i piatti sporchi. Qualsiasi cosa fosse, veniva dal presepe. Ettore squadrò le statuine. La signora con le papere era diversa. Il suo volto era più rugoso e intorno al collo portava un foulard che non c’era mai stato. Era la faccia della vecchina vista alle bancarelle nel pomeriggio. Come poteva essere?
La testa della statuina si piegò di scatto e sorrise. Ettore sussultò, fece un passo indietro e finì contro qualcosa di morbido.
“Attento sciocchino, a momenti mi fai cadere.”
Aveva urtato le gambe della mamma; era stato così preso dal capire cosa stesse succedendo da non rendersi conto che era tornata in sala. Guardò in alto e lo accolsero i suoi occhi rassicuranti.
“Ragazzi venite, mentre il papà finisce in cucina noi ci laviamo i denti.”
Ettore si voltò di nuovo verso il presepe. La signora con le papere era quella di sempre, niente sorriso, niente rughe. Forse aveva visto male.
All’improvviso uno strano sapore cominciò a farsi sempre più definito nella sua bocca. Tastava con la lingua il palato, le guance, i denti. Sembrava essere dappertutto e non andare via. Era come la caramella che gli aveva regalato la vecchina alla bancarella, ma l’aroma d’arancia era scomparso, rimaneva solo il retrogusto. Ora lo sentiva meglio. Terroso, ma anche metallico.
“Mamma, sento uno strano sapore in bocca.”
“E infatti ora andiamo a lavarci i denti, non mi hai sentito? Il presepe lo guardi domani, quando mettiamo il bambin Gesù.”
* * *
Arianna si svegliò per prima. Strano che Ettore non avesse già bussato alla porta della sua stanza. Dovevano andare insieme all’assalto del lettone dei genitori, era la tradizione. Andò in camera del fratellino, il letto era vuoto. Forse stava già sbirciando i regali. Accanto all’albero di Natale non vide nulla a parte la montagna di pacchetti colorati. Che voglia di aprirli! Basta. Se Ettore si stava nascondendo, tanto valeva andare da sola a svegliare mamma e papà. Corse alla loro stanza e aprì piano la porta. I raggi di un pallido sole filtravano dalla finestra illuminando parte del lettone. Prese la rincorsa e si tuffò.
“Sveglia è Natale!”
Il papà fece finta di sbadigliare, come tutti i Natali. “Ma no, dormiamo ancora un po’.”
“Ma cosa dici? Ci sono i regali.”
“Va bene, ci alziamo” Erica ridacchiò “Ettore dov’è? Non li starà mica aprendo senza di noi.”
“Non lo so, non lo trovo.”
“Ah sì è nascosto? Andiamo a cercare quel furbetto.”
Perlustrarono le stanze, non c’era. Aprirono gli armadi, inutile. Provarono anche sul balcone, niente.
“Guarda sotto l’albero Piero, dietro i pacchetti.”
“Ma come fa a starci?”
Le palpebre di Erica sbatterono all’impazzata. “Cosa ti costa dare un’occhiata?” urlò.
“Non ha senso! È inutile che ti agiti.”
“Mi vuoi spiegare dov’è allora?”
Mamma e papà stavano impazzendo, Arianna si tappò le orecchie e si voltò verso il presepe. Ed eccolo.
“Ehi! l’ho trovato.”
Arianna indicò davanti a sé. I genitori interruppero la discussione e i loro sguardi seguirono il dito puntato verso la grotta del presepe. Piero gonfiò il petto come per sbuffare, ma si fermò e trattenne il fiato. Tra Giuseppe e Maria c’era qualcosa. Non era la culla del bambin Gesù. In piedi, nel muschio, era posata una piccola miniatura simile in tutto e per tutto a Ettore. Aveva persino il pigiama blu con le stelle rosse che indossava quando era andato a dormire.
Erica vacillò. “È… di terracotta…” mormorò.
Piero le poggiò una mano sulla schiena. “Di terracotta? Tesoro, cosa significa?”
Arianna prese in mano la statuina. La girò e la rigirò passando con il pollice su ogni dettaglio. Era davvero lui? Osservò il viso con attenzione. Di colpo la bocca della statuina si inarcò in un sorriso. Arianna urlò, perse la presa e l’Ettore in miniatura cadde sul parquet cerato, rompendosi. Il busto non finì lontano, mentre le gambe schizzarono sotto il tavolo. Frammenti più piccoli si sparsero in tutte le direzioni.
Arianna era in trance, incapace di parlare, non riusciva a staccare gli occhi dal pavimento.
Al frammento del busto erano rimasti attaccati il collo e il viso fino al naso. La bocca di Ettore non sorrideva più.
–
Racconto di Giacomo Vitali Lané
Bel racconto! Mi dispiace per Ettore; la mamma avrebbe dovuto insegnargli a diffidare dagli sconosciuti.