Era seduto, spensierato, sul muretto di granito della fontana, con la schiena appoggiata al pergolato e le gambe distese. Pizzicava le corde del liuto producendo una struggente e soffusa melodia. Le lavandaie, zuppe di acqua e di sudore in quel caldo pomeriggio di inizio autunno, lo ascoltavano estasiate, venendo di quando in quando rapite dalla composizione; dimenticando per un momento il lavoro volgevano i pensieri a dolci ricordi di ardore giovanile, a parole sussurrate sotto un salice, al chiaro di luna.
Era lì, il capo leggermente chino quasi a voler ascoltare meglio le note, gli occhi socchiusi, incorniciati dai primi indelebili segni dell’incedere del tempo, colmi di una miriade di pensieri ed emozioni. Radi raggi di luce, i pochi non filtrati dal gelsomino e dal velo del pergolato, disegnavano strane figure sul suo corpo. L’odore di sapone misto a quello dell’erica in fiore gli riempiva il sottile e aggraziato naso. Adorava quella serenità fatta di spensieratezza e piccole gioie. Continuava a domandarsi con quale immondo coraggio, gli uomini, potessero mettere da parte una cosa tanto preziosa per rincorrere futili sogni di gloria e potere, fallendo. No, il potere non è mai facile tanto quanto attraente pare, spesso è solo un peso…
Le risate acute e gioviali lo riportarono al momento presente. Quelle sciocche burlone avevano di nuovo gettato Selca nella fontana. Un benevolo sorriso gli increspò le guance, coperte da una corta e brizzolata barba oramai poco castana. Le ragazze giocavano, schizzandosi l’acqua presa tra le mani. Lui le guardava, rallegrato dalla gioviale e frivola compagnia. Erano belle da guardare, era bello ascoltare le loro risate, vederle affaccendate, sentirle discutere, era bello conoscerne la voce e il passo, diamine, era bello persino sentirle redarguire i marmocchi e le ragazzette alle prime esperienze. Avrebbe potuto essere il padre di tre o quattro di quelle giovani, eppure era pronto a giurare che ben volentieri sarebbero entrate nel suo letto. L’idea foraggiava generosa il suo ego, ma non avrebbe potuto mai accettare una cosa simile, non più almeno. Visa e Gleda tirarono all’asciutto la povera Selca, fradicia da capo a piedi. Si girò a guardarlo. Rideva. Le guance paonazze dallo sforzo e dalla troppa ilarità. Una ciocca di capelli bagnati le si era attaccata al naso, dividendole il volto in due, quasi fosse stato un colpo di spada. Il sorriso dell’uomo si fece amaro.
Smise di suonare e si passò una mano sulla testa glabra. Terse le poche gocce di sudore con il palmo. Era caldo per essere praticamente autunno. Il clima temperato di Viconovo non gli era mai dispiaciuto, sebbene considerasse il caldo meno sopportabile del freddo. Fu allora che li sentì. Erano in tre, si avvicinavano dall’angolo sud del piazzale. Non si scompose. Gettò un occhio al suo bastone, si mise più comodo e riprese a suonare.
Non ci volle molto. Dopo essersi guardato un po’ attorno, uno dei tre lo indicò agli altri con un cenno del capo. Non passavano inosservati, né profondevano particolare impegno nel farlo. Erano vestiti tutti e tre allo stesso modo, degli abiti grigioverdi, coperti per metà da leggere cappe, volte più a coprir le intenzioni che le membra. Si avvicinarono con passo lento e cauto, le premure prese mal celavano la loro enorme confidenza. Si fermarono a qualche passo, sulla sua destra, distanti mezza tesa l’uno dall’altro. Il più alto, probabilmente il capo di quella combriccola, lo squadrò da cima a fondo e poi, con voce roca e fastidiosamente raschiante, parlò:
—“Tribalvo, sei un uomo difficile da trovare, lo sai?”
Non si scopose, non diede seguito a quelle parole. Continuava a suonare.
—“ Conviene ascoltare, vecchio! “
—“ Già, non fare il cafone e guardaci negli occhi quando parliamo!”
Stavolta erano state le due spalle a parlare. Avevano una gran boria e tanta sicurezza nella voce. Smise di suonare e piano piano si voltò verso il trio, l’espressione volutamente vacua. Corrugò la fronte con aria dubbiosa, lo sguardo che saltava da un volto all’altro di quegl’individui. Erano giovani, molto più giovani di lui.
—“ Parlavate con me, miei signori?”
—“ Si, parlavamo con te Tribalvo, vecchio rimbambito! Sai perché siamo qui, vero? Ce l’hai ancora tu, non è così?!”
—“ Perdonate, ma temo di non comprendere, vi appellate a me con un nome che non è il mio, esigendo cose di cui non conosco la natura. Sareste così gentili da illuminarmi?”
—“ Smettila di fare il sostenuto e di usare paroloni, ascoltaci, lo sappiamo che ce l’hai, e ci serve. Quindi tu ora vieni con noi senza far storie, chiaro?”
—“ Non so davvero cosa vogliate voi da me, non so chi siate e cosa vi serva, soprattutto non sono l’uomo che cercate, non posso aiutarvi. Ma posso suonarvi qualcosa, se vi va!”
—“ Tribalvo, faresti meglio ad ascoltarci. Sai bene chi ci manda e cosa vuole da te. Sai anche bene che non ci faremo problemi a prendercelo con la forza, ce ne fottiamo della tua fama e della considerazione che il Maestro ha di te, se dobbiamo tagliarti la gola per riportargli ciò che gli spetta lo faremo. Te lo ricordi, vero? Ricordi com’è deluderlo? Stai bene attento a ciò che fai dunque!”
Il viso dell’uomo cambiò espressione. Lo sguardo vacuo e il bonario sorriso fecero posto a una granitica maschera di impassibilità e risolutezza. Un’ ombra oscurò i suoi occhi, quasi fosse che quel tranquillo menestrello un po’ avanti con l’età fosse stato gettato via da una belva, ora in pieno controllo di quel corpo.
—“ Tornate indietro”- il tono duro e perentorio lasciava intendere che quello non era un consiglio, ma un ordine –“ Dite a chi vi manda che Tribalvo è morto, la sua tomba è al nord, l’avrete sicuramente trovata se siete sulle sue tracce. Ciò che cercate è oramai andato perso. Qui a Viconovo c’è solo Aulo il Bardo, un pacifico uomo dedito alla musica, e nulla più”
Il volto dei tre era diventato paonazzo. L’irrequietezza disegnava strane smorfie sul loro viso. Finito di parlare, Aulo si mise a tracolla il liuto, raccolse il bastone e fece per andarsene, voltando le spalle ai tre sgherri.
—“Dove credi di andare, bastardo!”
Il giovane sulla sinistra lo afferrò per una spalla, trattenendolo. Non percepì che un movimento, un unico, fluido movimento, il gomito teso e dolorante contro il petto dell’anziano, la mano bloccata sotto il suo braccio. Come aveva fatto quel vecchio a ruotare così rapidamente? Un lampo di dolore proiettò nei suoi occhi una miriade di stelle, quando la punta del bastone del vecchio impattò contro la sua mandibola. Senza starci a pensare un momento il secondo ragazzo gli si gettò contro, stringendo nella mano un pugnale dalla lama nera, mirava al suo ventre. Aulo caricò il bastone dalla sua spalla sinistra, fece partire un fendente mentre indietreggiava con un saltello. Lo schianto produsse un suono macabro, la lama finì in terra, la mano dell’aggressore assunse una forma innaturale e quasi raccapricciante. Il dolore lo fece urlare, tanto. Gli astanti osservavano attoniti la scena; le madri raccoglievano i bimbi, mettendoli al riparo dietro le proprie gonne, sconcertate e impaurite. Aulo decise che non era ancora finita. Scartò di lato, falciando il ginocchio del secondo sgherro. Un nuovo dolore, un nuovo urlo che l’uomo spense con una terza bastonata alla testa del ragazzo. Vide con la coda dell’occhio il capo della combriccola, anche lui pugnale alla mano, vibrare un colpo dall’alto. Era tardi per spostarsi. Si coprì impugnando a due mani il suo legno. L’avambraccio v’impattò sopra. Era forte. E alto, ma soprattutto forte. L’acuminata punta del pugnale gli ferì la spalla. Ringhiò a denti stretti. Si mantenne lucido. Deviò il braccio e spedì a terra il baldanzoso virgulto con un pugno diretto alla sua gola.
Ansimava. Il tutto era durato non più di una manciata di secondi, abbastanza da affannarlo. Non ricordava di essere così pesante e rigido. Si maledì a denti stretti. Il primo aggressore, nuovamente in piedi, stava cercando di rialzare il secondo, ancora privo di sensi. Il terzo non la smetteva di tossire sangue, chino sul terreno.
—“ Andatevene, riferite il messaggio.”
—“ Non finisce qui, torneremo e avremo ciò che cerchiamo. Hai commesso l’ultimo errore, sei un uomo morto oramai, hai capito? Morto!”
Detto questo, i tre scomparvero in un vicolo, arrancando a fatica per la folla e le ferite. Decise di far lo stesso, dileguarsi e tornare a un posto più tranquillo. Selca, Visa, Gleda e le altre lo guardavano attonite, sconcertate. La ferita sulla spalla sanguinava ancora un po’, la calda e umida sensazione del sangue lungo il braccio lo infastidiva. Estrasse un fazzoletto e lo incastrò tra la manica e la spalla. Trasse un profondo respiro e si avviò verso casa, sempre appoggiato al bastone per via della zoppia che lo affliggeva da diverso tempo.
***
—“Dannazione! Kazim è ancora fuori combattimento. Guarda come l’ha ridotto!”
—“ Risparmia il fiato e continua a camminare, Raddhil!
—“ Deve averla per forza lui, altrimenti non sarebbe stato capace di fare una cosa del genere, un vecchio che manda al tappeto tre giovani Lame, assurdo dico io, ce l’ha lui per forza, Gilar!”
—“ Sì ce l’ha lui, ma non l’ha usata” Gilar tossì sonoramente e sputò l’ennesimo grumo di sangue “ Non l’ha usata, non è così stupido da usarla in mezzo alla gente comune…”
—“ E come cazzo ha fatto a mandarci tutti giù, eh, Gilar! Come?”
—“ Stupido idiota, sai di chi stai parlando? Sai chi hai provato a fermare così come fermeresti una puttanella da quattro soldi, lo sai Raddhil?”
—“ Un vecchio…” Non fece in tempo a finire che Gilar tornò a urlargli contro
—“ Quel vecchio, come lo chiami, era una Lama esattamente come noi, e se non avesse disertato è probabile che sarebbe diventato il Vicario del Maestro, capisci ora? Stupido… La prossima volta ascolta meglio le direttive!”
Kazim continuava a farsi trascinare a peso morto, emettendo gemiti lamentosi.
—“Non possiamo tardare oltre, stanotte ci riproveremo, tornare a Jaaset a mani vuote non è contemplato. Porteremo con noi tutti gli altri…”
—“ Tutti?”
—“ Tutti! E dovremo piombargli addosso senza permettergli di usare la Reliquia, altrimenti siamo spacciati”
—“ Non vedo come può fare a contrastare tutto il gruppo quel vecchio, persino con la Reliquia…”
—“ Perché sei un cretino, Raddhil! Ecco perché! Ora, per l’ultima volta, stai zitto e cammina, altrimenti ti sfiato con le mie stesse mani!”
***
Quel nome gli rimbombava in testa come un tuono. Tribalvo. Non lo sentiva da anni. Ne aveva scordato il suono, dimenticato il peso, seppellito il significato. Era quasi riuscito a stralciare da ogni ricordo il fardello legato al nome Tribalvo. Il tempo era riuscito, alla lunga, là dove il vino aveva miseramente fallito per anni, distogliere la mente da quella malsana esistenza. Il suo umore era nero, nero e inquieto come il fondo del calice che agitava tra le mani. Lo svuotò con un ultimo, lungo sorso. Lo ripose sul tavolo con cura. Lo riempì nuovamente e bevve. L’astringente e corposo sapore del Barricato di Viconovo gli pervase la bocca, l’alcool gli bruciò la gola, scese, scaldandogli il petto. La fioca luce nello scantinato si spandeva da un candelabro posto vicino all’instabile e scricchiolante scalinata. Unico arredamento un polveroso tavolo pieno di carte e una sedia; sopra di essi una mappa. Pochi altri oggetti erano presenti, casse di mediocre fattura e un paio di bauli. C’erano ragnatele e puzza di stantio.
—“ Fidenzo! Portami un’altra bottiglia!” Urlò in direzione delle scale “…Questa è già finita…” mormorò poi contemplando il tavolo.
—“ Ma signore, mi ha detto di non scendere mai nello scantinato…” una fulva testa fece capolino dall’uscio. I verdi occhi spalancati e curiosi, un naso a patata e una costellazione di lentiggini sulle guance.
—“ Ora puoi. Portane un’altra!”
Non ci volle molto. Il ragazzino scese di gran carriera i gradini, recando con sé la bottiglia. Aulo la prese e gli strofinò la testa.
—“ Molto bravo, ma è tardi. Tra poco devi essere a casa o tua madre farà storie…”
—“ Ma…”
—“Maaa… Prima che tu vada devi aiutarmi a fare una cosa, vieni”
Arrancò fino all’altro lato della stanza, in un angolo, appoggiato alla spalla del ragazzino.
—“Aiutami a spostare queste casse…”
—“ Subito!”
Spostata qualche cassa, portò alla luce un vecchio baule di cedro, con serrature e finimenti in ferro battuto.
—“ Cos’è, signore?” Chiese curioso il ragazzino.
—“ Nulla di interessante, vecchi ricordi… Ora va a casa, ci vediamo domani alla solita ora per la lezione di musica.”
—“ Va bene…” disse il piccolo in tono sommesso e rassegnato “Buona notte, signore!”
Così com’era arrivato se ne andò, di corsa e con un gran baccano.
L’uomo estrasse una pesante chiave e aprì la cassa. Venne invaso dai ricordi. Bei ricordi, brutti ricordi, orribili. Tirò fuori carte, una vecchia fiala, una cappa logora e infine la rivide. Dopo tanti anni la stringeva ancora in mano. Saggiò il cuoio del fodero. Era logoro e screpolato. Nonostante il grasso il tempo era stato inclemente, con entrambi, pensò. Serrò il pugno. La lama vibrò ed emise un suono tintinnante. La magnifica spada da lato a striscia si dilungava elegantemente dal suo braccio. La complessa guardia recava ancora i segni del vecchio utilizzo. La lama, la lama era perfetta; alla luce della candela emanava sfumature verdastre. Il nero acciaio di Jaaset non mostrava nessun difetto. Saggiò i tre piedi di acciaio. La fece ruotare un paio di volte ed eseguì una stoccata. Il suo corpo fu attraversato da una folgore invisibile. Vibrò di gioia ed emozione. Vibrò di memoria e di libertà. Vibrò di rimorsi e sensi di colpa. Chiuse gli occhi. Una lacrima, una singola lacrima, gli rigò il volto. Il piede incominciò a formicolare. Lentamente il formicolio si fece dolenzia. In fine dolore. “Urlava” di dolore.
Sentì la porta sbattere. Passi. Tanti. Una finestra si ruppe. Altri passi e tonfi. Vide un individuo con la testa incappucciata e abiti grigio-verdastri far capolino dalla sommità della scalinata. Brandiva una shamshir nera.
—“ E’ qui! L’ho trovato, presto, nello scantinato!”
In una manciata di secondi si ritrovò circondato da 9 uomini incappucciati. Tutti in abiti grigio-verdastri. Tutti impugnavano lame nere come la notte. Due erano rimasti sui gradini. Uno di essi tratteneva per le braccia un riottoso Fidenzo, intento a dimenarsi e al calciare l’aria.
Aulo rabbrividì. Nonostante tutto non si scompose.
—“ Bene Tribalvo. Ora ascoltami bene: dacci la reliquia e nessuno si farà male, chiaro?!” L’uomo puntava un lungo stiletto al collo del ragazzino. “ Kazim non ce l’ha fatta, sai? Povero ragazzo, ucciso a bastonate. Com’è tornare a uccidere dopo così tanto tempo, eh, vecchio?”
—“ Lasciate il ragazzino, lui non ha parte in questa faccenda” il tono era duro ma un lieve tremolio ingannava la sua emozione.
—“ Non sei in grado di dettare condizioni Tribalvo! Dacci la reliquia!”
—“ Vi ho detto che Tribalvo e morto e la reliquia perduta! Tornate da Al’Mavhir e riferiteglielo, se ne farà una ragione. Non ha idea di cosa cerchi, non sa cosa può scatenare!”
—“ Non nominare il Maestro, lurido porco! Non ne sei degno!” Ringhiò uno degli sgherri
—“ Dacci la reliquia!” Scandì molto chiaramente il capo del drappello.
—“ Lasciate il ragazzo e ne riparleremo”
—“ Non ha sentito? Non detti condizioni tu. Io le detto! Ora dicci dov’è!”
—“ Prima libera il ragazzo…”
—“ Dov’è!” La punta dello stiletto oscillava pericolosamente davanti il viso di Fidenzo
—“ Liberalo… O non avrai nulla!” sibilò l’uomo a denti stretti. Un montante odio si faceva strada nei suoi occhi. Un’ombra sinistra ne distorceva i lineamenti.
Gilar si ricompose. Fece un profondo respiro. Si schiarì la voce.
—“ Molto bene, se proprio insisti, libererò il ragazzino…”
L’uomo parve calmarsi, così come il ragazzino.
—“… In nome della Santa Madre Morte…”
—“ Nooo!” provò a scattare. Crollò in ginocchio. Il dolore al piede era insopportabile.
—“… Lo libero dal peso dell’esistenza! Possa egli trovar conforto tra le braccia della Nera Benefattrice!”
La punta dello stiletto entrò e uscì con facilità disarmante. Un fiotto vermiglio fuoriuscì dal collo del ragazzino. Gli occhi terrorizzati, via via sempre più spenti, fissi su quelli del suo maestro di musica in cerca di aiuto, in cerca di un disperato appiglio per aggrapparsi alla vita che scivolava via, senza possibilità di remissione. Si avventarono su di lui, prono e in lacrime, pronti ad afferrarlo.
Se quella notte qualcuno avesse sbirciato nello scantinato, avrebbe visto le proprie notti di lì a venire segnate da terribili incubi. Se qualcuno avesse assistito, avrebbe giurato di aver visto undici ladroni, undici ladroni terrorizzati e un demone. Una nera figura dagl’occhi rossi. Un’ombra evanescente, capace di svanire in una nube di fumo nero e riapparire subito dopo. Se qualcuno avesse avuto il coraggio di rimanere, avrebbe visto uno Spettro Danzante brandire una lama, urlare di straziante dolore e compiacersi della furia della battaglia. Se qualcuno fosse stato tanto pazzo da rimanere o così atterrito da non riuscire più a muoversi, avrebbe visto un immane massacro. Aulo morì quella notte, assieme alle Lame Nere. Nessuno vide Tribalvo uscire claudicante, malconcio e febbricitane dalla casa in fiamme. Nessuno lo vide, coperto da un grosso mantello, passare inosservato da una delle postierle. Ciò che non doveva più essere era ancora, purtroppo per lui. Nuovamente braccato, solo con il suo fardello. Ancora con le mani sporche di sangue. Di nuovo con quella voce in testa. Rise e pianse in modo malsano, appoggiato a quell’ulivo. Pianse per le vite oramai destinate all’oblio. Rise perché, dopotutto, aveva ragione il vecchio detto. Che stupido era stato, doveva ricordarlo “Lama una volta, Lama per sempre!”.
–
Racconto di Antonio Maria Catena.
Much bellissimo, specialmente l’atmosfera da Italia 500esca. Avanti così!
Il racconto inizia in maniera un po’ lenta e vagamente descrittiva, ma quando finalmente parte, parte davvero bene! Ottimo ritmo, flusso narrativo scorrevole e descrizioni giuste e ponderate! Voglio vedere in che modo Aulo/Tribalvo/Lama andrà a inserirsi tra tutti i personaggi.
E FINALMENTE ABBIAMO L’ITALIA YSTORELIANA!!!!
Ottimo racconto, ottima gestione delle descrizioni e un personaggio molto interessante. Non vedo l’ora di leggerne altri.
Molto bravo, specialmente nella scena di combattimento, che ha un ottimo ritmo.
Forse avresti potuto snellire leggermente la prima parte, ma immagino che la lentezza fosse in parte voluta per creare contrasto.
Adesso voglio saperne di più su questo Tribalvo! 😊