«Tutta questa musica “d’arredamento” ci sta succhiando l’anima. Si fanno cose trite e ritrite  solo per farsi approvare dal pubblico, via via più imbesuito, più ignorante».

«Papà, per te qualsiasi accenno alla musica attuale è come un invito a un combattimento mortale».

«Che ci vuoi fare, gli anni non mi hanno ammorbidito».

«E la mancanza di mamma ti ha reso ancora più polemico».

«Radicale, direi piuttosto».

Ascolto la voce roca di papà nel cellulare, divisa come sempre tra l’ammirazione per la sua vitalità infinita e la sua incapacità di immedesimarsi negli altri.

«Sai, ti avevo chiamato con la speranza che potessi capire quant’è difficile la mia vita professionale, al momento».

«E quella sentimentale?» mi chiede a bruciapelo. So che è lontano mille miglia dall’intuire qualcosa dei tradimenti di Bruno, ma non appena quest’ultimo pensiero mi investe il cuore si fa pesante, nello stomaco ho un groviglio.

«Parliamo del lavoro, papà. Tutte le mie date sono state annullate per la pandemia. E tra poco incontrerò Berio che di sicuro non mi darà buone notizie».

«Chi è già, Berio?»

«Il mio agente. Me l’hai presentato tu. Non ricordi?»

«Ah, già. Preoccuparsi per la pandemia in ogni caso è uno stereotipo. Quello a cui dobbiamo pensare è di progettare la musica di domani. Io ormai sono un dinosauro, ma quelli della tua generazione devono dare un contributo».

«Un genio in famiglia è più che sufficiente, papà».

«Voi giovani avete bisogno che certi vostri lati vengano nutriti. La solitudine stessa può essere un nutrimento. Se al fianco però avete qualcuno – come nel tuo caso – dovrebbe essere capace di stimolarvi».

Farei meglio a ignorare l’allusione a Bruno. Prendere le difese di un marito che è anche un traditore seriale dovrebbe essere al di sopra delle mie forze. Eppure non resisto.

«Bruno è una delle persone più intelligenti che io abbia mai conosciuto, papà».

«Mah. Quel tuo amico pittore, invece…»

«Tommaso».

«Lui chissà, forse’. Fa una pausa, poi riprende. “In realtà credo sia uno spiantato, ma…»

«Sempre meglio di mio marito, vero?»

Per papà una persona creativa è sempre meglio di un non artista, a prescindere. La sua personale scala di valori.

Attraverso il cellulare lo sento sfiorare i tasti del pianoforte, una cascatella di note in sordina, e vengo assalita da un ricordo struggente: papà che guida la mia mano, facendomi ripetere una semplice melodia senza spazientirsi mai. L’uomo forte che mi teneva sulle ginocchia si è trasformato in un vecchio dall’ossatura friabile, a suo modo dispotico come sanno essere solo i bambini e gli anziani.

«Tu sei stato il mio vero maestro», dico seguendo il filo della memoria.

«Quando suonavi, da bimba, tua madre fingeva sempre di aver da fare in un’altra stanza. I suoi occhi si riempivano di lacrime”. Sembra commuoversi a sua volta, e io mi rimprovero per aver dato la stura ai ricordi: mio padre è un bisbetico sentimentale. “Mi manca tanto, tua madre” piagnucola.

«Senti, papà. Mi piacerebbe che una volta suonassimo di nuovo insieme».

«L’abbiamo fatto troppo poco. È qualcosa che va al di là della competenza tecnica».

È amore, papà, penso io. Lui intanto continua:

«Devi venire tu qui, però. Tuo padre non si muove più».

«Vengo presto, te lo prometto».

“E porta con te la piccolina. O pensa che il nonno sia troppo burbero?»

«Gala adora il nonno burbero».

«Bene, bene. Adesso che fai?»

«Te l’ho detto. Devo vedere Berio».

Papà mi saluta con la sua voce arrochita dai sigari del passato, che ora gli sono vietati. Ogni volta in cui la sento, temo che possa essere l’ultima.

 

Quando sono a casa prendo Gala per mano, portandola verso il pianoforte. Solo in quel momento mi accorgo di essermi completamente dimenticata dell’appuntamento con Berio.

Mi sistemo Gala sulle ginocchia come faceva papà con me. È sorprendente che non l’abbia mai fatto prima, che non abbia mai pensato di trasmetterle un pezzo di mondo attraverso la musica. Come brano scelgo Gabriel Fauré, opera 56; mio padre me l’ha insegnato, più di trent’anni fa, su questo stesso pianoforte.

«Ecco, così. Senti come è bello, questo motivo», la incoraggio con dolcezza, ma le dita di Gala sembrano sapere da sole su quali tasti andare.

Racconto di Umberto Chiri