Squalo strizzò gli occhi, abbagliato. Il sole ardente ustionava senza pietà le sue braccia pallide, tese nello sforzo di affondare il remo nell’acqua. Il vento spirava da terra, soffiando sabbia rossa sul ponte e sui rematori. Tutti i prigionieri erano seminudi come lui, con solo uno straccio avvolto attorno ai fianchi, e ciascuno di loro era incatenato al proprio compagno. Per questo si accorse quasi subito che l’uomo che gli era accanto aveva smesso di vogare: se ne stava immobile, la testa reclinata sul petto, il fiato ridotto a un rantolo.
— Coraggio, vecchio! — gli sussurrò, cercando inutilmente di non farsi scorgere.
Il capo galeotto, un sultharis con un turbante cremisi e grossi anelli d’argento appesi ai lobi delle orecchie, si avvicinò a loro e colpì la schiena del vecchio con una tremenda frustata. Lo schiocco risuonò orribilmente, ma lui non reagì. Allora l’uomo gli abbattè sul cranio il martello che portava appeso alla cintura. Il sangue fiottò fuori dalle orecchie e dalle narici. Squalo si sforzò di ignorare gli schizzi scarlatti che lo avevano raggiunto e continuò a remare. I bicipiti possenti si contraevano al ritmo monotono dei tamburi. Bum. Bum. Bum.
Si svegliò che era esausto. L’incubo era stato insolitamente nitido, la scena precisa, proprio come nei suoi ricordi. Si stropicciò il viso sudato e si mise a sedere sul pagliericcio, sospirando di sollievo. Il suono del tamburo era in realtà prodotto da Jack, che si dondolava avanti e indietro sulle gambe posteriori della propria sedia, urtando lo schienale di legno contro la parete.
Piccola stronza.
— Ma la vuoi smettere? — grugnì.
— Beh, era ora che ti svegliassi — ribatté la maga, con un sorrisetto — Gli altri saranno qui a momenti.
L’uomo raccolse da terra la camicia e la indossò, continuando a borbottare in direzione dell’amica, per poi seguirla fuori dalla stanza e giù per le scale.
Nonostante fosse primo pomeriggio, la sala era piuttosto affollata. Il locandiere era intento a strofinare con un pezzo di stoffa alcune brocche e a chiacchierare con un avventore, un nanerottolo che a stento raggiungeva il bancone. La moglie, invece, passò velocemente accanto a loro reggendo in mano due scodelle di terracotta e si diresse verso uno dei tavoli. Squalo fu raggiunto da una forte zaffata di stufato di carne, misto al sudore della donna. Un cliente seduto in disparte richiamò l’attenzione del sicario col segnale che avevano pattuito.
Ecco Tomm.
Jack avanzò rapida verso l’uomo seduto e prese posto accanto a lui, mentre Squalo si sistemò di fronte alla ragazza, cercando inutilmente di distendere le lunghe gambe.
— Ehi, Tomm — salutò, lanciando subito uno sguardo famelico alla tavola: c’erano posate sopra una brocca d’acqua, un boccale colmo di birra scura, una grossa pagnotta e un po’ di frutta. Tomm ridacchiò.
— Visto? Ho pensato a voi!
Squalo, che era digiuno dalla sera prima, non se lo fece ripetere due volte. Afferrò il pane e iniziò a inghiottirlo con furia insieme a lunghe sorsate di birra, quasi senza masticare.
— Dove sono Slag e Moccioso? — chiese invece la maga, addentando una mela. Cercava gli altri due compagni nella confusione della stanza, assottigliando lo sguardo verdognolo. Squalo la imitò, senza successo.
Già, dove sono?
— Slag si sta occupando d’altro e Moccioso è qua fuori che ci… — iniziò a spiegare Tomm.
Jack lo interruppe all’istante, con voce alterata. Il suo timbro roco non riuscì a mascherare un certo nervosismo.
— Dobbiamo agire senza Slag?
— Tu ti preoccupi troppo: siamo pur sempre in quattro… — intervenne Squalo, nel goffo tentativo di rassicurarla.
La maga lo ignorò e fissò Tomm negli occhi.
— Non possiamo aspettare?
— No, non possiamo — tagliò corto l’uomo, impassibile come sempre — Cardinale vuole liberarsi della spia il prima possibile.
— Perché ? — lo incalzò nuovamente lei — Perché non processarlo? Perché non privarlo dei suoi titoli?
— Da quando in qua l’ultima arrivata discute gli ordini di Cardinale? Sta’ un po’ zitta, Jackie, e lascia parlare i grandi — ridacchiò Squalo, beffardo. Le scagliò addosso una crosta di pane, colpendola su una spalla. La ragazza lo guardò torva e scandì:
— Vaffanculo.
Squalo scoprì in un sorriso i denti bianchissimi e letali, sollevò il boccale e bevve un sorso di birra.
— Salute anche a te!
Al contatto con il peltro, sentì una leggera scarica elettrica pizzicargli labbra e lingua: fu fastidioso, ma anche stranamente piacevole. Tra un colpo di tosse e l’altro, lanciò un’occhiataccia alla maga.
Sempre questo stupido scherzo.
Tomm si schiarì la voce per interrompere la scaramuccia.
— Sentite, siamo perfettamente in grado di gestire la situazione anche da soli. Non ci serve Slag per uccidere un solo uomo — affermò, in tono calmo — Il piano rimane lo stesso. Io e Jack entriamo, Squalo e Moccioso ci coprono la fuga.
Squalo spostò lo sguardo da Tomm a Jack. Tutti e tre annuirono nello stesso istante.
Il Duca Arden era più basso di Tomm il Grigio e parecchio brutto. Aveva una buffa testa calva a forma di uovo, larga sulle tempie e appuntita a livello del mento.
Tomm si aggiustò il farsetto di velluto e si inchinò leggermente di fronte a lui, imitato da Jack.
Si va in scena.
— Edward Farson, per servirvi.
— Sono contento che siate qui, Mastro Farson — rispose il nobile, studiandoli entrambi attentamente coi grandi occhi chiari e sporgenti — Come vi ho scritto, il compleanno di mia figlia si avvicina e temo che non ci sia tempo da perdere. L’Alto Arcanista Kitgard, qualche tempo fa, mi ha riferito che in città siete il più abile nel tessere la seta.
Tomm annuì rispettosamente, fingendosi lusingato.
— Vi prometto che non sarete deluso, Signore.
Il Duca si concentrò su Jack. La maga teneva il viso rivolto verso terra, come Tomm le aveva consigliato di fare.
— E questo bel giovane è… ?
Tomm posò una mano sulla spalla della ragazza, percependone il nervosismo.
— È uno dei miei garzoni, si chiama Jack. È qui per darmi una mano a prendere le misure.
Tomm si accorse con un brivido che lo sguardo da vecchio gufo di Arden aveva indugiato per un lunghissimo istante sull’insolito cranio rasato del “garzone”.
Attento. Il Duca non è uno sciocco.
Fortunatamente il nobile non fece altre domande e indicò loro lo scalone con un gesto del capo. Ai due lati della gradinata di lucido porfido, là dove aveva inizio il corrimano, erano appollaiati due grandi falchi bronzei, così belli da sembrare veri.
— Seguitemi. Voglio mostrarvi l’arazzo di persona.
La stanza della Duchessina Gwenyth era un vero tripudio di opulenza. Lo sguardo esperto di Tomm ne analizzò con cura i dettagli: il pavimento era composto da lucide lastre di marmo venato e diaspro, che si alternavano in motivi geometrici; nella testiera del letto erano incastonati turchesi, ametiste e pezzi di avorio e d’avorio intarsiato erano anche le quattro eleganti colonne che reggevano il baldacchino. Un ciocco di pino si consumava nel camino, profumando l’ambiente di resina. Dalla finestra ad arco erano visibili un lembo di cielo ormai buio e l’alto muro di cinta su cui Moccioso e Squalo erano in attesa.
Chissà come se la cavano quei due.
Tomm li immaginò nascosti a faccia in giù, nella nicchia oscura sotto il cornicione a timpano della proprietà.
— Avvicinatevi pure — disse il Duca Arden, richiamando la sua attenzione. Il nobile raggiunse il ricco arazzo che pendeva dalla parete più lunga, quella senza finestre, e Tomm lo seguì a pochi passi di distanza.
— Che ne pensate, Mastro Farson?
Per alcuni istanti gli occhi nocciola di Tomm sostarono rapiti su quell’irresistibile mondo di seta dove uomini e animali affollavano campi rigogliosi e grandi navi solcavano l’azzurro pallido del mare. Allungò una mano sulla stoffa, palpandone la consistenza.
Tessuto di Breujelais, roba di qualità.
— Un lavoro fatto bene: il filato è ottimo e il paesaggio molto curato.
— Voglio che mia figlia sia ritratta qui, al centro, e voglio il nostro stemma proprio lì, al di sopra del castello — elencò il Duca, indicando alcuni punti sull’arazzo.
Tomm annuì più volte, voltandosi poi verso Jack. Estrasse dalla borsa che portava con sé un metro di stoffa e un sasso dalla consistenza gessosa.
È ora.
— Vieni, ragazzo, prendi le misure.
Jack fece due passi avanti ma, invece di avvicinarsi a Tomm, si fermò davanti al Duca. Prima che il nobile potesse allontanarla, la maga aveva già appoggiato le piccole mani sul suo torace: una al di sopra della clavicola destra, l’altra sulle costole a sinistra, quasi come per cingerlo in un abbraccio. L’uomo emise un gemito soffocato e fu scosso da un tremito, poi si portò una mano al petto, barcollò verso la parete e si afflosciò contro l’arazzo.
Tomm si chinò sul Duca e vide le pupille dilatarsi negli occhi celesti, ancora spalancati per la sorpresa. Premette due dita contro la sua gola: il cuore si era fermato, attraversato dalla scarica elettrica di Jack.
Morto.
— Brava, piccola. E ora andiamocene.
Jack annuì senza una parola ed estrasse una corda dalla propria sacca di cuoio, ne assicurò un capo al letto della Duchessina e la calò dalla finestra.
— Prima tu, Tomm.
L’uomo lanciò un’occhiata verso il nascondiglio dei compagni e, vedendo piovere giù un’altra corda, scavalcò il danzale.
Tomm aveva raggiunto Squalo e Moccioso già da lunghi minuti e attendeva al sicuro insieme al ragazzo all’esterno della proprietà, ma di Jack ancora non c’era traccia.
Squalo strinse forte la balestra da caccia e mormorò tra i denti una preghiera ai suoi Dei del Bephigast, indomiti e feroci.
Ma che sta facendo?
All’improvviso vide una figura snella balzare fuori da una delle finestre al pianterreno e irrompere nel cortile, correndo rapidissima verso l’arco di accesso. Era una donna con un lungo abito verde e un velo arrotolato attorno alla testa.
Jack?!
Nello stesso istante, si udirono delle urla provenire dall’interno della casa.
— Non colpite la Duchessina!
— Non è lei! Prendetela!
Tre uomini del Duca si erano già gettati all’inseguimento della ragazza. Fortunatamente erano armati solo di spade e Jack aveva ormai guadagnato un buon vantaggio. Squalo prese di mira l’uomo più vicino a lei e scagliò il quadrello. Il malcapitato venne trafitto al volto, poco al di sopra della bocca, e si accasciò all’istante. Squalo abbandonò in fretta balestra e nascondiglio e, sempre dall’alto del muro di cinta, si diresse a sua volta verso l’amica. L’uscita era sorvegliata da altre due guardie armate. Avevano mantenuto la posizione, certe che i compagni avrebbero spinto la maga dritta contro di loro, in trappola.
Muoviti, Jack. Avanti.
La ragazza raggiunse il passaggio in pochi attimi. Squalo vide uno scoppiettante fulmine azzurro erompere dalle sue dita e schiantarsi in mezzo alle due sentinelle, sbalzandole a terra. Jack oltrepassò di corsa i loro corpi immobili e fumanti e attraversò l’arco, con i due inseguitori alle calcagna. In quel preciso momento Squalo prese fiato e balzò giù dal muro, atterrando alle loro spalle. Ammortizzò la caduta piegando le ginocchia robuste, ma una scarica di dolore gli attraversò comunque le gambe fino alle anche.
Chi è in trappola, ora?
Calò il coltellaccio nella schiena della guardia più vicina e sentì il polmone crepitare sotto la lama, mentre gli affondava i denti nel collo. Scosse bruscamente il capo a destra e a sinistra squarciando la ferita, proprio come avrebbe fatto un animale: il sangue caldo sprizzò fuori dai vasi e gli riempì la bocca. Un brivido di piacere lo percorse da capo a piedi, quando la vittima crollò gorgogliando sul selciato. L’altro lo raggiunse di striscio al fianco sinistro con un colpo di spada; poi Jack lo abbatté con una stilettata alla gola. Squalo afferrò il polso della ragazza e la trascinò via con sé pochi secondi prima che una pioggia di dardi cadesse su di loro. Durante la fuga continuò a stringere il braccio di Jack con troppa forza, consapevole di procurarle dolore, ma incapace di placare la propria rabbia. La ferita lo costringeva a zoppicare, ma non a rallentare la corsa. Improvvisamente una voce richiamò la sua attenzione.
— Per di quà!
Tomm.
Nello stesso istante il dolore al fianco svanì.
Moccioso.
Grazie agli Dei.
— La stanza del Duca era proprio lì accanto! Ho pensato che fosse stupido non andare a controllare — esclamò Jack, sventolando una pergamena di fronte al viso di Squalo — E questa mi ha dato ragione!
Squalo si avvicinò a lei, sovrastandola. La sua voce vibrò di rabbia.
— Tu sei pazza! “Perchè non aspettiamo Slag? Perché non aspettiamo Slag?” hai detto, e poi…
L’uomo le strappò di mano la pergamena e la porse a Tomm, che era rimasto in piedi appena dietro di lui, in silenzio. Jack lanciò a entrambi un’occhiata infuocata, ma non osò protestare.
— Perché non lo hai detto a Tomm? — domandò Moccioso, con dolcezza. Il ragazzo era l’unico di quel piccolo, strambo tribunale a non sembrare arrabbiato.
— Perché non sarebbe stato d’accordo — sbuffò fuori la maga.
— Porca puttana, Jack! Tu devi imparare a fare quel cazzo che ti viene detto — le gridò in faccia Squalo — Potevi farti uccidere, potevi farti catturare, potevi…
— Basta così, Squalo — intervenne Tomm — Questa roba sembra interessante! Non è andata così male, in fondo.
Squalo si accorse che lo sguardo dell’amica era fermo da qualche istante sul suo fianco sinistro, dove l’uomo del Duca lo aveva colpito: una macchia di sangue scuro si era allargata sulla camicia e sulla parte superiore dei calzoni.
— Mi dispiace tanto, Markov. Sei ferito.
Markov.
Squalo ebbe un leggero sussulto. Nessun altro lo chiamava mai così, soltanto Jack.
— Già — sospirò, sentendo la rabbia abbandonarlo all’improvviso — Ma è solo un graffio. Basterà medicarlo e starò bene.
Jack sospirò a sua volta, di sollievo. Il lungo abito femminile che aveva indossato sopra ai propri vestiti le conferiva un aspetto goffo, ma stranamente delicato. Squalo le tolse il velo dal capo rasato, con una risatina.
— Cos’è questa roba?
La maga incrociò le braccia magre, fingendosi risentita.
— Si chiama travestimento! — borbottò, dissimulando un sorriso.
Moccioso scosse la testolina con aria perplessa.
— Non sembri per niente una Duchessa…
Squalo strizzò l’occhio in direzione del ragazzino.
—E invece, sì! Ma guardala! È tale e quale a quelle ricche stronze della capitale!
Tutti e quattro risero fragorosamente, finalmente più rilassati, e si diressero insieme verso la locanda.
Squalo si rigirò sul pagliericcio troppo piccolo e il suo sguardo vagò qua e là nella stanza squallida e poco pulita. Era abbastanza sicuro di trovarsi nella locanda più triste della città.
Notò con disgusto che un grosso scarafaggio stava zampettando lungo la parete ammuffita ma, prima che potesse schiacciarlo, questo raggiunse il soffitto e sparì in una fessura tra le assi di legno.
Che posto del cazzo.
I suoi occhi scuri si soffermarono sul bel mantello che Tomm aveva abbandonato nella fretta di sgattaiolarsene fuori.
Quel bastardo del Grigio se n’è andato a festeggiare senza dirci nulla.
Squalo decise prontamente di imitarlo: si alzò dal proprio giaciglio, allacciò gli scarponi e raccolse il fedele coltellaccio. Dopo ogni incarico gli piaceva concedersi un po’ di baldoria in taverna: uccidere gli faceva venire fame e voglia di scopare.
Per un attimo pensò di portare Jack con sé, ma la ragazza sembrava essere troppo esausta per accompagnarlo in giro per Iolanth. Quella sera gli aveva medicato il fianco ferito con un po’ di vino e miele, poi si era gettata accanto a lui senza neanche sfilarsi gli stivali dai piedi ed era subito piombata in un sonno profondo. Dormiva con le ginocchia rannicchiate contro il petto e i pugni chiusi, come una bambina.
Il pagliericcio di Moccioso, invece, si trovava contro la parete opposta. Il ragazzo era immobile, ma perfettamente sveglio: i suoi occhi aperti luccicavano appena nella semioscurità. Il respiro era quello di sempre: irregolare e rapido, sofferente.
Poveraccio.
Spinto da un impulso improvviso, Squalo si avvicinò al ragazzino, si sedette accanto a lui con un lungo sospiro e gli afferrò saldamente un polso. La prima fitta di dolore gli fece quasi perdere i sensi. Impiegò tutta la disciplina e la capacità di sopportazione acquisite nei lunghi anni da lottatore per non lasciare la presa e per non mettersi a gridare.
Porca merda.
Moccioso protestò a bassa voce e cercò di sottrarsi alla sua stretta per qualche minuto, ma finì per rilassarsi e addormentarsi quasi subito. Sul viso infantile era apparso un sorriso pacifico che Squalo non gli aveva visto mai.
L’uomo sentì il proprio corpo ricoprirsi di sudore freddo. Il dolore che gli attraversava le membra saliva e scendeva come la marea, senza dargli tregua. Cercò di concentrarsi sul proprio respiro, imponendosi di resistere a quella agonia.
Finirà presto. Presto.
Prima che trascorressero due ore, fu costretto ad arrendersi. Sfinito, scosse il ragazzino con la poca delicatezza di cui era capace. Non voleva che fosse il dolore a svegliarlo.
— Ehi, io adesso ti lascio andare. Per stanotte ho finito di farti da balia — sussurrò, aspro.
Moccioso annuì, in silenzio.
Squalo lasciò andare il piccolo polso e la sofferenza si spense all’istante. Il suo corpo fu attraversato da un’ondata di sollievo e euforia. Il visetto di Moccioso, invece, tornò a contorcersi nella solita smorfia. Squalo si alzò bruscamente dal pagliericcio e uscì dalla porta, senza più guardarlo.
— Grazie, Squalo — sussurrò il ragazzino, dietro di lui.
–
Racconto di Melissa Negri.
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