Il cielo si è tinto di sfumature calde quanto quelle dei boschi: amaranto, cremisi, arancio. Colori adatti a un dipinto. Peccato che Hessen sia di una bruttezza agghiacciante. Ci sono soltanto una trentina di casupole in sasso e un tugurio che i contadini chiamano taverna.
Davanti alla porta di una delle casette stanno seduti un vecchio e un gatto tigrato: sembra che entrambi si stiano godendo il tramonto. Appena gli passiamo davanti, l’uomo salta in piedi e ci guarda stupefatto.
— Chi siete? Da dove venite?
— Siamo viaggiatori diretti a Urwine. Vogliamo passare la notte qui.
Si sofferma sui bottoni d’argento della mia giubba. Forse li sta contando.
— Sei un mercante?
— Solo ogni tanto.
Il vecchio grugnisce e mi indica il tugurio che avevo già notato da un po’.
— La taverna è quella là, ma non vi aspettate granché. Non siamo a Urwine, qui.
Lo immaginavo, ma grazie.
— Speriamo di fare in fretta — commenta Jack, aspra — Ho già voglia di andarmene.
Lo saluto con un cenno e proseguiamo verso la taverna.
Erendhel entra dalla porta per primo e quasi si scontra con un ometto basso e calvo, con la faccia rossa.
— Eren Mezzelfo! Non ti si vedeva da un po’!
L’ometto si aggiusta il grembiule, mentre ci osserva uno a uno.
Il suo sguardo scivola appena sul mio viso, ma indugia a lungo sugli altri, soprattutto su Squalo e Slag.
— Con chi stai viaggiando stavolta?
Erendhel esita per un paio di secondi.
— Con degli amici. Vorremmo mangiare qualcosa e passare la notte qui. Domani ripartiremo per Urwine.
Il taverniere si torce le mani, sospettoso. Non sembra disposto ad accogliere così tanti estranei sotto il suo tetto.
— D’accordo, Eren. Potete restare, se vi accontentate del fienile.
Erendhel cerca lo sguardo di Slag.
— Il fienile andrà bene — gracchia lui.
L’uomo, che dice di chiamarsi Johan, ci fa accomodare a un tavolo insieme ad altri clienti. Non riesco a smettere di strofinarmi la faccia. Il fumo denso del focolare mi fa lacrimare gli occhi.
Mi accorgo di un ragazzino paffuto, dall’aria gioconda, che ci osserva con grande interesse. Avrà suppergiù l’età di Moccioso. Anche Johan non impiega molto a notarlo.
— Robb, razza di un trottapiano! Invece di stare a fissarli, porta da mangiare!
Il piccolo Robb ci porta subito pane nero, uova strapazzate e salsiccia. Ordiniamo anche un quarto di gallone di birra a ciascuno, e due scodelle di latte per Slag e Moccioso.
Vicino a Squalo, proprio di fronte a me, è seduto un uomo strabico, magro, dall’aria malaticcia. Ascolta tutto quello che diciamo, il fottuto impiccione.
— Stranieri, eh? — mi chiede, all’improvviso — È vero che venite da Illhebron?
Qualche spiegazione sarà necessaria.
Aye, è così. Come fate a saperlo?
— Alrich vi ha visti uscire a mezzogiorno dalla Foresta Mangia Suoni.
Dà una pacca sulla spalla dell’uomo accanto, un tizio con la faccia abbronzata e la barba da caprone. Lui continua a masticare e annuisce.
— Che ci facevate laggiù?
— Cercavamo un vecchio amico.
— E lo avete trovato?
— Morto.
Lo strabico e il caprone si scambiano un’occhiata divertita.
— Non ditemi che non ve lo aspettavate!
Aye, infatti. C’è un altro problema, però: il nostro amico portava un oggetto con sé, ma sul suo corpo non lo abbiamo trovato.
Slag smette di trangugiare latte e si schiarisce la gola. Strizzo appena l’occhio nella sua direzione.
Fidati.
— In compenso abbiamo trovato questo.
Prendo il soldatino di legno dalla scarsella e lo poso sul tavolo.
— Hessen è molto vicino alla foresta. Forse appartiene a uno di voi, a uno dei vostri figli.
Alrich fa una smorfia.
— E forse io potrei aiutarvi, ma non mi stanno simpatici gli imperiali.
Squalo alza lo sguardo dal piatto e gli lancia un’occhiata fosca. Alrich si passa una mano tra i capelli ispidi.
—Che c’è, bestione? Vi ho ascoltati parlare e siete dei fottuti cani dell’Imperatrice, di sicuro!
Indica prima me e poi Jack con un dito sudicio.
— Questo damerino qui non fa che dire “Aye”… e lei ha un gran bell’accento asgaillano. Parla come se avesse un cazzo in bocca.
Squalo scatta in piedi, lo afferra per il collo e lo solleva da terra.
La solita diplomazia.
Alrich inizia a mugolare e a dimenare le gambe, cercando di liberarsi. Tira un calcio a uno stinco di Squalo senza risultato, come se avesse preso a calci il muro. Ci sono almeno quindici paia di occhi puntati su di noi, ma nessuno interviene: sono tutti contadini disarmati. Sicuramente hanno fiutato il pericolo.
All’improvviso Squalo scoppia a ridere. Rimette Alrich a terra, si siede e ricomincia a mangiare le uova. Alrich balbetta qualche parola e scivola fuori dalla porta, rapido come uno scoiattolo.
Il taverniere è sbiancato. Gli altri clienti riprendono a bere e a chiacchierare, limitandosi a sbirciare verso di noi di tanto in tanto.
Poso sul tavolo dieci corone imperiali, proprio accanto al soldatino di legno.
— Vi stiamo più simpatici, ora?
Lo strabico fa sparire le monete in un battito di ciglia, poi raccoglie il soldatino e se lo rigira tra le mani.
— Molti di noi hanno figli, ma questo affare è troppo grazioso. È stato dipinto da un giocattolaio di città, magari a Urwine…
— È quello che pensavo anch’io. Non c’è nessuno di voi che provenga da lì, o che ci vada spesso ?
— Beh, c’erano i gemelli, i nipoti della vecchia Ella…
Jack e Squalo si scambiano un sorriso trionfante, ma lo strabico conclude:
— Ora però sono tutti morti. La loro casa ha preso fuoco qualche settimana fa, durante la notte. Non è rimasto nulla.

***

La taverna è quasi buia. Le lampade emanano una luce fioca, velata dal fumo.
Gli uomini nella sala si sono messi a intonare una serie di canzonacce allegre, battendo a ritmo i piedi sul pavimento. Hanno addirittura convinto Squalo a unirsi al coro. Sembra che l’incidente con Alrich sia stato dimenticato. Oltre a cantare, Squalo continua a bere senza ritegno.
Incredibile.
Di solito è tutto disciplina e dovere. Si diverte soltanto tra un incarico e l’altro.
Tutti quelli che non stanno cantando si sono radunati attorno a noi, troppo curiosi per essere diffidenti. Tomm racconta di quella volta in cui ha sorpreso l’Arcanista Kitgard a uscire dalla stanza della Contessa di Wesser.
— Aveva addosso soltanto il farsetto — ghigna.
Il pubblico si sganascia dalle risate. Moccioso ha gli occhi che brillano di gioia. Slag gli sta sempre accanto e fa attenzione che nessuno lo tocchi.
Vorrei ridere e cantare insieme a loro, ma un nodo mi stringe la gola. Deglutisco.
La loro casa ha preso fuoco qualche settimana fa, durante la notte.
Anche se non ho mai creduto alla stronzata dei presentimenti, sento un brivido lungo la schiena, proprio come alla Barba Dorata.
Abbandono il mio boccale di birra, raccolgo il mantello ed esco fuori. La notte è più serena di quanto pensassi. La luna è quasi piena. Mi riempio i polmoni più che posso e prendo il sentiero che porta all’esterno del villaggio. Cammino veloce per vincere il freddo. I sassolini scrosciano sotto i miei stivali.
Cazzo. Si gela.
Mi fermo sulla collina che sovrasta la taverna. Le voci allegre e le canzoni stonate giungono fino a qui. Riesco a immaginare Moccioso che si diverte, spensierato come un bambino qualsiasi. Il nodo alla gola si scioglie un po’. Mi copro meglio col mantello e aspiro il profumo di terra umida e muschio.
La porta della locanda si spalanca. La sagoma imponente di Squalo si staglia contro l’ingresso illuminato. Per poter uscire è costretto a chinare la testa. Metto due dita in bocca e fischio forte.
Squalo si guarda intorno. So che mi ha riconosciuta. Lo osservo mentre risale il sentiero, alla luce della luna: nonostante la stazza, si muove con la grazia dei predatori.
Mi raggiunge e si ferma a un solo passo da me. Il suo sorriso feroce luccica nella semioscurità.
— Che ci fai qui?
Mi stringo nelle spalle.
— Siamo usciti da Illhebron, anche tu dovresti festeggiare.
— Festeggiare cosa?
— Che siamo vivi.
Avvicina il viso al mio e mi solleva il mento con le dita. È accaldato e scarmigliato. Il suo fiato sa di acquavite.
— Smettila, Markov. Sei ubriaco.
Spingo con entrambe le mani contro il suo petto per allontanarlo. Sotto i palmi sento pulsargli il cuore.
— Potrei ucciderti in un attimo — sibilo.
Mi dà un bacio così duro da aprirmi le labbra di forza.
Selvaggio prepotente.
Gli circondo il collo con le braccia e lo attiro a me. Mentre mi bacia tiene gli occhi aperti, fissi nei miei.
— Ti voglio, Jackie — sussurra sulla mia guancia.
Mi stringe forte, premendo il suo corpo contro il mio. Sento l’urgenza del suo desiderio. Ho appena il tempo di annuire. Mi sdraia a terra, inchiodandomi sotto di sé. Il suo peso mi schiaccia, mi toglie il fiato.
— Non respiro così!
Ride e aggrava la situazione con un bacio più dolce e più lungo. La sua pelle odora di sudore, sole e polvere del viaggio. Insinuo le mani sotto alla camicia e gli accarezzo la schiena. Lui slaccia prima la propria cintura e poi la mia. A strattoni, mi abbassa i calzoni lungo i fianchi. Mi penetra con un’unica spinta, strappandomi un lamento. Lo sento rabbrividire. Anche a lui sfugge un gemito basso, gorgogliante. La sua voce vibra del mio stesso piacere.

***

La fattoria dei gemelli è molto vicina a Illhebron. Anzi, era. Ora rimangono solo i muri di pietra annerita e la nicchia del focolare.
— Quando quelli del villaggio sono arrivati non c’era più niente da fare. Il tetto aveva già preso fuoco ed era crollato giù — racconta Eren — Il giorno dopo hanno raccolto i resti di Ella e li hanno seppelliti vicino alla casa.
Controlliamo il poco che c’è: le due stanzette e il pollaio. Tomm calcia via i rimasugli bruciacchiati con la punta degli stivali.
— I bambini non li hanno trovati.
Slag grugnisce. È di cattivo umore.
— Forse perché sono cenere.
— O perché hanno usato questa.
Squalo raccoglie la lanterna da terra e gliela passa. Il calore dell’incendio non l’ha rovinata nemmeno un po’. Sullo sportellino ci sono i soliti simboli: la mano e il sole.
Tomm sussurra qualcosa all’orecchio di Slag. Slag fa sì con la testa, lega la lanterna alla cintura e la copre bene con il mantello.
— Meglio tornare a Hessen. Voglio parlare di nuovo con Johan.
Il sentiero che porta al villaggio attraversa campi incolti e boschetti. Ci troviamo in mezzo ai faggi, quando Slag si mette a fischiettare “La moglie dell’uomo di Tyne”. Significa che dobbiamo prepararci a combattere, ma senza farlo capire: i nemici devono credere di prenderci di sorpresa. Jack, solo un po’ più rigida, continua a camminare. Tomm guarda Squalo negli occhi e gli fa un piccolo cenno con la testa. Entrambi estraggono i coltelli. Slag ci avverte:
— Sono in dieci…
Poi ci attaccano da tutte le direzioni. Sembrano soldati. Indossano gli stessi abiti grigioverdi e hanno delle strane sciabole di metallo nero.
Jack contrae le dita come artigli. Il fulmine attraversa l’aria e centra in pieno uno di loro. Lo getta all’indietro contro un albero. Il corpo del soldato fuma.
Nove.
Eren ne abbatte un altro con un colpo di spada al petto. Slag ne ha già fatti a pezzi tre.
Cinque.
Jack scaglia un nuovo fulmine. Il dolore mi si attorciglia alle braccia come un rampicante. Grido. Due uomini crollano a terra sussultando.
Tre.
Uno degli spadaccini corre contro Squalo. Prova a colpirlo roteando la spada, ma lui para in diagonale. La lama nera scivola lungo quella del coltello. Il soldato si sbilancia in avanti. Squalo gira veloce su sé stesso e lo pugnala sotto l’orecchio.
Due.
L’energia crepita tra le dita di Jack. Ho il collo bagnato di lacrime. Fa così male. Cado in ginocchio nell’erba alta.
L’uomo che combatte contro Slag urla in un modo terribile quando le budella gli cascano fuori dalla pancia. Fa qualche passo e crolla a faccia in giù.
— Fermi!
Un soldato, l’ultimo rimasto, tiene stretto Tomm per i capelli e gli forza la testa all’indietro. Preme una daga contro la sua gola scoperta. Tomm ringhia. Qualche goccia di sangue gli cola sulla giubba.
— La collana e la lanterna, o lui muore!
Parla nella nostra lingua con uno strano accento. Gli altri si paralizzano. Jack non può usare la magia senza colpire anche Tomm.
Per la prima volta, ringrazio i Quattro di avermi restituito i miei poteri. So che cosa devo fare. Rimango accucciato nel sottobosco e striscio verso il soldato. Prego Cordis che non si accorga di me.
— Collana e lanterna, adesso.
Madre misericordiosa, non farmi scoprire!
Quando sono a pochi passi da lui, mi butto in avanti e mi aggrappo alla sua schiena.
L’uomo ulula come un lupo e lascia andare Tomm. Rotola a terra insieme a me. Jack urla il mio nome. Sento una fitta gelida alla coscia, sotto l’inguine. Il soldato inizia a tossire. Sbarra gli occhi e si strappa il pugnale di Tomm dalla gola. Il suo sangue mi piove addosso. La testa mi gira e non ci vedo bene.
Non voglio morire.
Tomm mi parla, o forse piange, ma non riesco più a sentirlo. Ha le mani tutte rosse.
Non voglio morire.

***

Moccioso non si muove, non si lamenta, a malapena respira. Il Grigio è chino su di lui.
— David! David, guardami!
Moccioso socchiude le palpebre e alza appena la testa. Tomm prova a sollevarlo, ma non ci riesce. Ringhia per la rabbia e il dolore. È la prima volta che lo vedo perdere la calma.
Mi inginocchio accanto a loro.
— Faccio io.
Appena sfioro Moccioso, tutti i miei nervi urlano. È come se migliaia di aghi mi bucassero la pelle, come quella volta in cui Balzej mi fece cadere nel lago ghiacciato.
Cazzo!
Me lo carico in spalla come un fagotto. Per fortuna è molto leggero.
Puoi farcela. Puoi farcela.
Slag annusa l’aria. Volta di scatto la testa da una parte e dall’altra.
— Ne arrivano altri cinque.
Tomm mi lancia uno sguardo disperato.
— Dobbiamo portarlo via. Ti prego.
Vorrei fargli coraggio, ma la voce mi esce roca, spezzata.
— Io lo porto via, tu vedi di non farmi ammazzare. Anche tu, Erendhel, vieni con noi. Qui ci penseranno Slag e Jack.
Gli altri girano la testa verso Slag, aspettando il suo ordine. Slag annuisce.
— Fate come ha detto.
La ferita di Moccioso è davvero brutta. Il sangue sprizza fuori a intermittenza, inizia a inzupparmi la camicia.
Non vivrà a lungo, se non lo fermiamo.
— Andate! — ruggisce Jack.
Il primo bastardo spunta come dal nulla, ma una scarica elettrica lo abbatte all’istante. Il sangue gli cola fuori dal naso e dalle orecchie.
Figlio di puttana.
Jackie si piega in due e cerca di riprendere fiato. Senza l’aiuto di Moccioso è squassata dal dolore. Con uno sforzo immenso, le volto le spalle e seguo il Grigio.
Correre con Moccioso sulla schiena è una tortura: sembra di avere le ossa rotte. Mi sforzo di stare dietro a Tomm, un passo dopo l’altro. Non mi guardo intorno. Vado avanti e basta. Il cuore mi martella contro lo sterno e nelle tempie.
Appena siamo abbastanza lontani, sdraio il piccoletto a terra e vomito tra i cespugli. Mi asciugo la bocca con la manica della camicia. Ho i vestiti appiccicati alla pelle.
Sfilo la cintura e la annodo stretta intorno alla coscia di Moccioso, appena sopra la ferita. Finalmente il sangue si ferma un po’.
Un po’ più a fondo e sarebbe già morto.
Erendhel mi si avvicina.
— Dobbiamo tornare a Hessen. Greta, la levatrice, conosce molti rimedi. Forse può aiutarlo…
Mi giro verso Tomm.
Aye. Ha ragione.
Sembra di nuovo calmo, ma è bianco come la neve.
Rimango in silenzio. Slag e Jack dovrebbero già averci raggiunti. Se i guerrieri erano soltanto cinque, se ne saranno liberati in fretta.
Perché non ci sono?
Tendo le orecchie per qualche istante. Spero di sentirli arrivare, ma non succede. Stringo i denti. Non abbiamo tempo di aspettarli.
E se…
Scaccio via il pensiero prima di concluderlo.
—D’accordo. Torniamo a Hessen.

La casa del guaritore è facile da trovare. Ha odore di sangue umano ed erbe. Iperico, aglio selvatico, verbena. Squalo è in piedi davanti alla porta. Tra le mani ha la camicia che si è tolto, tutta macchiata di rosso. Ci vede. La camicia cade a terra. In tre passi raggiunge Jack e la stringe a sé. Jack si irrigidisce per un istante, poi appoggia la testa contro il suo petto e sospira forte. Squalo la lascia andare. Fa un passo indietro.
— Siete feriti?
Scuoto la testa.
— Stiamo bene. Il bambino?
— La guaritrice ha fatto un buon lavoro. Anche se ricucirlo non è stato facile, per lei.
— Quindi vivrà?
— Dice che non ne è sicura, ma David è forte.
Jack serra le labbra in una linea dura.
Porgo a Squalo il pugnale che ho raccolto. Lui lo soppesa tra le mani. Esamina il metallo scuro e la pietra di luna sull’impugnatura.
— Lame Nere di Jaaset. Chi può averli arruolati? Non sono in tanti a poterseli permettere…
— Non lo so. Qualche vescovo di Adelweiss: Aldemund, o forse Rosylynn. O magari Eltaor di Yeglea.
Squalo aggrotta la fronte.
— Fanculo gli elfi.
Mi rende il pugnale ed entra in casa insieme a Jack.
Mi affaccio dalla porta. L’odore di sangue è fortissimo, nauseante. Moccioso è sdraiato sul pagliericcio, ben coperto dal mantello di Tomm. Non ha certo un bell’aspetto, ma si è svegliato. Tomm è seduto accanto a lui e gli parla in tono sommesso. Non vedo Erendhel, ma sento gli artigli di Dood che raspano sul tetto. Vicino al focolare c’è una donna coi capelli grigi. Sta controllando qualcosa che bolle in un paiolo. Corteccia di salice e chiodi di garofano, per il dolore.
La guaritrice si avvicina a Squalo e gli parla nell’orecchio. Ha un’espressione triste.
— Cosa c’è? —chiede Moccioso.
È un ragazzo intelligente.
Squalo sforza un sorriso e si sfiora il petto nudo.
— Greta ha detto che ti resterà una cicatrice, brutta come questa qua.
Moccioso sembra soddisfatto della risposta. Per lui Squalo è forte e indomito come gli eroi delle leggende. Non gli dispiacerebbe assomigliargli. A dire il vero, il bambino è affezionato a tutta la squadra.
Persino a me.
Squalo e Jack si siedono a terra, ai piedi del pagliericcio. Tomm si mette a raccontare di quando ancora disegnava le facce dei ricchi.
Squalo appoggia la schiena al muro e fa scrocchiare le nocche.
Karav, Grigio! Hai davvero dipinto l’Imperatore?
Tomm annuisce.
— Con la corona, il cavallo e tutto il resto.
Mi decido a entrare nella stanza e vado a mettermi seduto vicino a Squalo. Oltre al sudore e al sangue, ha addosso un odore più dolce e speziato, l’odore di Jack.
Moccioso ci osserva con i suoi occhi blu.
— Sono contento — dice, con un filo di voce —perché siete qui con me.

Racconto di Melissa Negri.