«Il cancello è chiuso».

«Il Vespro è morto».

«Il Sacrificio degli Ascesi è compiuto».

«Il sangue del Giusto è stato versato».

«Come era scritto».

Come era scritto“, ripetono assieme i monaci Athariani. Siedono in cerchio, a gambe incrociate, ammantati di scuro nelle tenebre della Sala Azzurra. La luce rossa dei segni sulla schiena nuda di Arouki, riflette sui cristalli di Atherite incastonati nelle pareti. I segni sono tre, e pulsano come dei cuori. Ideoglifi, li chiamano i monaci, simboli che incarnano concetti.

«Ora verranno qui».

«Verranno a prendere la Parola».

«Per riattivare il ciclo».

«Ma tu li fermerai».

Come era scritto“, lo ripetono ancora, un mantra, una preghiera. Le parole dei monaci sono preziose, di rado pronunciate, e Arouki prima di conoscere se stesso ha imparato a conoscere il silenzio. Nel silenzio è nato e cresciuto. Al silenzio ha dedicato la sua vita.

«Arouki, il tempo è giunto. Destati e seguimi fino alla volta, lì sigillerai il tuo giuramento».

Ghen l’attendente porge la mano al discendente di Aruna, il Dio dell’Ira. Arouki si alza senza afferrarla. I suoi muscoli sono tesi, duri come il metallo. Si stringe la cinta di corda e si lega i capelli di fuoco in una crocchia spettinata. L’attendente si volta e lascia che il discendente lo segua, solo il peso dei suoi passi rimbomba nel silenzio della sala.

«Ora proferirai con il Paroliere in persona, sarà lui che ti guiderà, come era scritto. Tuttavia, il tempo è contro di noi, discendente. Spero che tu sia pronto per fronteggiare il destino che…» l’attendente si volta verso Arouki e per poco non trasalisce. Il fuoco che brucia in quegli occhi è così vivo che a Ghen brucia la fronte. Sa che Aruna in persona lo sta osservando da quegli occhi, dal mondo oltre il tempo dove gli déi non muoiono mai per davvero. Ghen pensa che semmai esistesse qualcuno in grado di distruggere la minaccia che incombe su di loro, sarebbe proprio l’uomo che cammina al suo fianco.

La volta è riempita da monaci e attendenti, supplicanti, rifugiati, disperati che in Athar hanno trovato rifugio. Arouki li osserva, osserva i loro volti appesantiti dalla paura e dai molti pianti. Un bambino cattura il suo sguardo, ha il mento sozzo di fuliggine, i capelli unti, pieni di sporcizia. Veste di stracci, come lui. Nel suo viso non c’è paura alcuna. Nel suo viso c’è solo il silenzio. Nei suoi occhi, arde l’ira del mondo.

«Discendente!»

Il Paroliere si desta dal suo trono di stracci, si muove con lentezza. A differenza di Arouki, la vecchiaia ha logorato il suo corpo e sbiadito i tatuaggi sulla pelle. Tuttavia, la sua voce resta imponente come il ruggito del lupo. Al suo richiamo, tutti si chinano, s’inginocchiano, abbassano il capo, a modo loro dimostrano rispetto verso il vecchio, vessillo della Parola.

«È giunta infine l’ora tanto attesa, discendente. La Parola ha profetizzato la fine degli uomini, così come quella degli Angeli. Il Vespro Viridiano è morto, è gioia nei cieli della terra! Ma coloro che sono stati lasciati indietro giungeranno al Monte Athar, pinnacolo dei destini di oriente e occidente, per rubare la Parola e così nutrire il ciclo. Tu, Arouki, incarni il fuoco di Aruna. Sulle tue spalle, grava il peso del nostro mondo. Gli Angeli rammentano i pugni di Aruna, e nei tuoi pugni, ora, brucia il destino degli Ystoreliani».

Arouki stringe le nocche.

«I miei pugni, non conoscono eguali».

Alcuni tra i rifugiati spezzano la cortesia e alzano lo sguardo, il Paroliere non se ne cura, sa che il discendente simboleggia per loro la speranza, il riscatto da tutte le sofferenze e i dolori che hanno patito.

«Arouki Haro, giuri di…»

La Volta si scuote, trema. Dal tetto cadono polvere e calcinacci. Le genti gridano. Qualcuno irrompe nella sala dal portone. Un uomo lordo di sangue.

«Sono qui!» strilla.

Un’eco metallico, sembra una lama sfregata su una pentola arrugginita, esplode nel cielo. Il Paroliere osserva il discendente senza fiatare. Arouki è fermo, calmo, il suo viso è una maschera di creta. I Guardiani suoi fratelli sono pronti, sanno quello che va fatto. Ognuno di loro attendeva questo momento da tempo, Arouki lo attendeva da tutta la vita. Lo aveva atteso per cinquanta lunghi anni.

«Restate Calmi!»; «Non perdete la speranza!»; «Credete nella Parola!».

Gli attendenti strillano ordini e conducono i rifugiati in una delle grotte interne, la volta se ne affaccia su molte. Mentre i timorati fuggono e affidano le loro paure alla guida della Parola, i Guardiani muovono verso il nemico, al fianco di Arouki. Molti di loro sono giovani, dallo spirito intrepido. Alcuni brandiscono lance, altri roteano catene dalle punte affilate, altri ancora restano a mani nude, nella speranza che la presenza del discendente doni loro anche solo un granello dell’ira di Aruna. Dell’ira del mondo.

«Comunque vada, sarà un onore morire al fianco del discendente!»

Un giovane Bephigrano, rasato come tutti gli adepti, coperto da segni neri e tatuaggi vividi su tutta la pelle, osserva Arouki con gli occhi pregni di lacrime. Il discendente lo degna di un cenno, e nulla più. Deve restare concentrato. Deve ricordare.

Controllo.

Uno dei tre segni sulla sua schiena pulsa, brilla di rosso.

Le porte della Volta si spalancano, Arouki e gli altri guardiani si trovano davanti un’orda di esseri immondi. Alcuni dei loro fratelli stanno già combattendo, molti giacciono a terra morti, i loro corpi stesi in pozze di sangue sulla neve accatastata. Il cielo nero di tormenta riflette d’azzurro. Dietro le punte dei ghiacciai del Balkeir sta un essere alto, magro, il suo capo nascosto dalle nuvole. Il suo corpo è spuntoni e lame, riflette la neve dell’Athar e i raggi di un sole pallido nascosto a oriente. Le sue braccia tagliano l’aria stessa che lo circonda.

Arouki si fa torvo in viso. Muove i passi con calma marziale. Ogni impronta scioglie la neve sotto di lui. Il vapore sale dalla sua pelle nuda e sfiora i fiocchi di neve che cadono.

«Ce ne sono troppi! Fratello Lagat, conduca il suo drappello a est della piazza! Dobbiamo concentrarli tutti in un punto!»

«Ma allora non l’avete capito che dobbiamo affrontarli qui? Le mura hanno già ceduto! E di certo la cinta a est non li terrà buoni, parola mia! Dobbiamo combatterli qui, invece! Dove abbiamo spazio di manovra e la presenza del discendente a infonderci il coraggio! Chiamate Fratello Caster e ditegli…»

«L’Angelo cadrà prima di mezzodì».

Persino le sue parole ribollono come una brace. I due Guardiani si zittiscono, qualcosa in loro sta bruciando allo stesso modo.

Le creature superano il confine delle guardie armate, saltano su di loro come uno sciame. Una di queste prova ad azzannare Arouki al volto, il discendente scioglie la sua faccia con un pugno sinistro. La creatura viene scagliata a est della piazza e si sfracella contro il muro di pietra. Un’altra gli corre contro impugnando un gigantesco martello di ossa e carne che gli esce dal petto. Arouki si blocca, pianta il piede destro nel pavimento, distruggendo il ghiaccio e la pietra. In posa marziale attende l’attacco del nemico, che con uno schianto esplode contro il suo capo. Il martello si sbriciola, e nel volto quasi umano del suo portatore s’intravede qualcosa che sa di paura. Arouki smonta la guardia, afferra il Nephilim per il collo, e nella stretta del discendente carne e ossa del nemico si sciolgono come cera bollente. L’essere non riesce nemmeno a urlare, prima di cadere inerme a terra come un sacco di carne arrostita.

La creatura colossale in lontananza, sfocata dalle correnti della tormenta di neve, china il capo verso il discendente. Una corona oblunga, ricoperta di spire riflettenti. Non ha viso, non ha occhi,  ma Arouki comprende che l’Angelo è curioso, che ha attirato la sua attenzione.

Scopo.

Il secondo marchio sulla schiena del discendente brilla assieme al primo, i suoi capelli a fatica si mantengono nella crocchia, la sua pelle muta verso un cremisi carne che odora di bruciato. Il vapore aumenta, il rosso nei suoi occhi risplende come un faro nella notte.

I suoi fratelli Guardiani a stento riescono a tenere le fila, i nemici che li assalgono sono troppi e li stanno sopraffacendo, ma lui deve assolvere al suo compito. Deve risolvere il suo scopo. Fratello Lagat estrae la punta della lancia dal petto di un Nephilim, lordo di sangue osserva Arouki ribollire come un braciere e muoversi verso l’Angelo.

«Gloria al discendente! Fratelli! Combattete tutti e morite qui! Morite, per nutrire l’Ira del Mondo!»

I Guardiani gridano per l’estasi della battaglia. Mentre i suoi fratelli combattono e muoiono, Arouki corre. Corre attraverso le orde, salta sulla neve, sui corpi dei suoi amici, sulle carcasse degli immondi. Arouki scaglia nemici oltre le montagne, polverizza le bestie sferrando colpi coi suoi gomiti, con le sue ginocchia, stritola i loro crani tra le dita, spezza le loro armi con il capo, ma non demorde mai. Non arretra mai. Il suo scopo è ancora lì. Il suo nemico ancora si erge.

Il discendente salta. Il suo balzo lo eleva sopra la battaglia, sopra la piazza e sopra il monastero. Tra le correnti di neve della tempesta, il suo incedere è una sfera di fuoco che viaggia nel cielo. L’Angelo muove una delle sue braccia contro Arouki, le dita affilate tagliano l’aria e fischiano come il vento. Haro devia e si aggancia a una delle falangi, usa la stretta come leva e poggia i piedi sul suo braccio. Il suo palmo schizza sangue rovente, che cade sulla creatura con getti di fumo. Arouki corre lungo il braccio dell’Angelo, punta verso il suo cranio, gli basterà un colpo, un solo colpo. Arouki salta, raggiunge il viso del nemico e chiude il palmo. Dal viso dell’angelo spunta una ragnatela di lame, una griglia che punta dritta sul discendente. Haro la intercetta per tempo, si copre con braccia e ginocchia, chiudendosi su se stesso. Il dolore lo sfiora, anche se per poco. Le sue braccia sono coperte di tagli fumanti. Il suo sangue è misto a fumo e tizzoni ardenti come lava. Chiunque altro, ora, sarebbe ridotto a brandelli.

Il discendente atterra sulla spalla dell’Angelo e smonta la guardia, prende respiro, un respiro di fumo. Solo per un momento.

Non sono solo.

Questa sarà la mia ultima battaglia…

Mamma… Mamma.

Harouki si china, affonda le dita nel metallo indistruttibile dell’Angelo. Si aggancia alla spalla del mostro.

Non ti perdonerò mai! Non ti perdonerò mai per questo!

Hanno ucciso mia figlia. Hanno straziato le sue carni e bevuto il suo sangue!

La malattia gli ha consumato i polmoni, è morto da solo, soffocato nel suo letto.

Il vapore della sua pelle schizza, la sua stessa carne brucia, i suoi muscoli tremano come magma incandescente.

A cosa è servito tutto questo? Lei è morta! È morta perché voleva salvare suo figlio, ma non è servito a niente! A niente! E ora la sua morte è stata del tutto inutile!

Non ricorda, non ricorderà nulla di tutto questo. Non ricorderà nulla di sé stesso.

Arouki alza lo sguardo e accoglie le voci dei suoi fratelli. Delle sue sorelle.

Voi siete i figli dell’Ira… voi vendicate il mondo. 

Accoglie quella di suo padre.

Sacrificio.

Il terzo sigillo sulla schiena del discendente si accende. Assieme, tutti e tre brillano come la corona del sole. Le vesti di Arouki si polverizzano, la crocchia si scompone, i suoi lunghi capelli diventano una corona di fiamme, la sua pelle muta in fiamma pura. Nel volto dell’Angelo, Haro vede la fiamma della rabbia di Ystoriel riflettersi. Vede la paura in quello specchio vuoto. Vede il terrore di tutti gli Angeli che furono distrutti da Aruna stesso, all’alba dei tempi. 

Arouki grida, dalla spalla del nemico salta fin sopra il suo cranio. La rete di lame schizza di nuovo, ma stavolta attraversa il suo corpo come fosse vapore, sciogliendosi poco dietro di lui. Il discendente piomba sul cranio del nemico e affonda i piedi. Sferra un destro, poi un sinistro, poi ancora un destro e un altro sinistro. Scava nella testa dell’angelo con mille pugni di fuoco. L’essere si lamenta, grida di terrore, si dimena e si scrolla senza che il suo fato cambi. Pugno dopo pugno, il discendente si fa strada dal capo verso il cuore, polverizzando tutto ciò che incontra.

«I miei pugni… non conoscono… eguali!»

Arouki arriva al cuore del nemico, ci si artiglia e lo strappa via con le mani. Cranio, spalle, petto e braccia dell’Angelo esplodono all’unisono come vetro troppo scaldato, i frammenti si scagliano tra le nuvole oltre i ghiacciai.

Devo portarlo lontano da qui!

Il discendente è poggiato sull’addome mezzo esploso del nemico. Solleva il cuore mastodontico sopra la sua testa e osserva verso nord, verso le desolate terre dell’impero perduto. Haro contrae braccia e gambe, grida furente e scaglia il cuore nel cielo, lontano, dove il suo lascito non avrebbe potuto nuocere a nessuno.

Come era scritto.

Arouki salta via e la creatura precipita lungo il fianco del Balkeir, la sua carcassa annerita si infrange contro le rocce. Dal monastero i Guardiani gridano di rabbia, di gioia, di rivalsa. La fiamma del discendente levita nell’aria, scalda il loro spirito, li infonde di coraggio e speranza, prima di estinguersi per sempre.

«Come era scritto»

Racconto di Tiziano Ottaviani.