Sento la mia spalla venire scossa. Vuoi vedere che…
«Amore, ma ti sei già addormentato?» mi sussurra Alicia.
Apro gli occhi. Sul maxischermo davanti a me scorre l’immagine di un prato con una dolce musica di sottofondo. Mi sembra la stessa scena di prima. Mi raddrizzo sulla poltroncina e mi volto verso la mia ragazza. La luce del film è sufficiente per farmi notare la sua aria contrariata.
«Ho solo chiuso un attimo gli occhi.»
«Cosa sostiene Camus sulla nostra comunanza con gli steli d’erba nei prati?»
Ma che cazzo me ne frega di cosa pensa questo filosofo. Sto per tirare a indovinare, ma il suo sguardo accusatore mi blocca, così rimango con la bocca aperta a metà.
Mi ricordo il protagonista che si presentava come Albert Camus agli spettatori e che spiegava il tema del film, poi che usciva di casa e si dirigeva verso questo prato e… niente, l’ho perso dopo che ha iniziato a sproloquiare su quello che vedeva mentre partiva la musica. Che nel frattempo abbia fatto tutto un discorsone sulle piante?
Il mio silenzio è un grido di confessione.
Alicia scuote la testa, come di fronte a un suo studente impreparato. «Dai amore, avevi promesso che saresti stato attento. Fallo per rispetto verso quelle persone che non hanno avuto l’invito. Te non immagini quanta gente ci sta invidiando.»
Eh già, che culo essere fidanzato con una docente universitaria di filosofia, puoi essere selezionato come suo accompagnatore per andare a vedere, in prima visione assoluta, un film che si domanda se ha davvero senso vivere o se sia meglio il suicidio. Camus lo ha definito pure “l’unico problema filosofico veramente serio”, che gente allegra questi filosofi.
«Prometto che starò attento.»
Nel suo volto leggo poca convinzione, ma prima che possa replicare la voce del protagonista richiama la nostra attenzione.
«Adesso, gentili spettatori, ci sposteremo in una fattoria per confrontare la nostra esistenza con quella degli animali.»
Ho imparato ad accettare la sua passione per la filosofia, materia per me assurda, ma questo film è noiosissimo, proprio come temevo. L’invito diceva che il film aveva l’originalità di sfondare la quarta parete dialogando con il pubblico. Ecco, finora l’unica cosa che sento che abbia sfondato sono le mie palle.
Domani vado a vedere “La mummia – Il ritorno”, così, per riprendermi con del vero cinema. Come si fa a girare un film del genere? Siamo messi davvero male se la cosa che reputo più interessante di ciò che ho visto finora è la pubblicità pre-film del caffè Mayflower.
Ha detto che parlerà del suicidio, ma la sta prendendo così alla lontana.
E questa poltroncina è così comoda! Quando ho saputo in quale sala sarebbe stato proiettato, ho esultato perché avrei potuto sedermi di nuovo su una di esse. Un’esultanza che Alicia ha preso per il film, invece era proprio per la prospettiva di farmi un bel pisolino.
Davvero non credevo ci tenesse così tanto, non mi sono comportato bene. Dovrei stare attento ma sono così comodo che le mie palpebre si chiudono di nuovo. Oggi la giornata di lavoro è stata così stancante…
«Signor Frank si svegli. Tocca a lei.»
Questa mi sembra la voce di Camus. Sta chiamando me?
Apro gli occhi. «Ma che…»
Il volto di Camus è cambiato.
Testa calva, pelle esangue, labbra tagliuzzate, occhi neri che sembrano fissare proprio me.
Mi giro vero Alice. «Tesoro, ehi!»
I suoi occhi sono sbarrati, la bocca aperta, la testa chinata. La scuoto ma non dà segni di vita.
Le sue mani sono poggiate sulle gambe, i pantaloni color panna ora sono tutti rossi di sangue. Tocco la mano, la sua pelle è ancora calda, poi le giro un polso: le arterie sono tagliate!
«Oh mio dio!»
Noto che l’altra mano stringe il suo coltellino svizzero, con la lama aperta e insanguinata.
«No no no…»
«E invece sì, è proprio come sembra.»
Mi giro di scatto. «Chi ha parlato?» Un attimo dopo realizzo di aver già sentito quel timbro vocale.
«Sempre io» dice Camus dal maxischermo. «La sua partner si è suicidata, anche lei ha convenuto che questa esistenza non vale la pena di essere vissuta.»
Sto sognando, mi sono addormentato e sto ancora sognando.
«Vedo che è sconcertato, posso comprenderla. Si tiri un pizzicotto, come si usa dire in queste situazioni, e vedrà che è ben sveglio. Ed era ora, è rimasto solo lei che deve ancora rispondere. Rimanga. Seduto.»
Con quelle due ultime parole sento che un torpore inizia ad afferrarmi il corpo, ma la mia mente ordina di ribellarsi, scioccata da quello che ha detto prima. In che senso solo io? Dove sono gli altri?
Mi alzo.
E Camus scompare.
Le luci della sala si accendono.
Guardo Alicia. Lei è rimasta uguale, morta e insanguinata.
Mentre mi porto una mano alla bocca cerco con lo sguardo le altre persone che erano presenti in sala.
«Cazzo no…»
Quattro poltrone più in là sulla nostra fila un uomo ha infilato nella sua bocca il cartone accartocciato dei pop corn, gli occhi aperti e la testa immobile. Accanto a lui un’altra persona ha proprio i pop corn che straripano dalla bocca.
Cosa cazzo sta succedendo.
Più in là, sulla parete della sala, c’è una chiazza scura, con delle linee che vanno verso il basso.
Verso un corpo disteso. Si tratta di sangue.
I miei occhi seguono le gradinate. Ci sono altri cadaveri, chi supino, chi prono, chi accasciato.
Mi porto le mani alla testa mentre li conto. «No no no, dio santissimo.»
L’orrore mi fa tremare le gambe. Appoggio le dita sullo schienale della mia poltroncina.
«Si sieda!»
La voce di Camus. Mi accascio sul sedile e fisso il maxischermo. È ricomparso.
Scuote le spalle. «Sbattere la testa fino a rompersela è stato il metodo più scelto, non avendo con sé molti strumenti per uccidersi.»
«Chi cazzo sei?» grido sporgendomi in avanti, le mani strette sui braccioli. «Cosa cazzo sta succedendo? Mi avete drogato e mi state facendo vivere un incubo!»
Le labbra si piegano in un ghigno. «Nessun incubo. Allora vede che ha bisogno di un pizzicotto? È. Tutto. Vero.»
Mi giro verso le poltrone della fila sopra la mia. Una signora ha le orbite vuote, rivoli rossi scorrono lungo le guance.
Grido. Grido come non mai in vita mia.
«Lo spettacolo non può finire se non partecipa. Dopotutto è lei che ha scelto di venire. Le era stato detto che sarebbe stato un film coinvolgente. Le riassumo quanto si è perso, così può rispondere alle mie do—»
«Vaffanculo!»
Con una fatica improvvisa, riesco ad alzarmi e corro verso una delle uscite di sicurezza. Mentre guardo dove metto i piedi Camus tace, ma non mi interessa vedere se c’è ancora o è scomparso.
Non riesco ad aprire la porta. Vado verso l’altra ed è bloccata pure lei. Mi giro verso la scala, scavalco i cadaveri sui gradini e raggiungo la porta di ingresso della sala.
Si apre!
Esco e mi trovo davanti la strana signorina del controllo biglietti.
«Signorina! Mi aiuti, mi dica che è un incubo, là dentro—»
«Zitto!»
La mia voce si spegne. Sento una forza invisibile mozzarmi il fiato e paralizzare i miei muscoli. Posso solo osservare questa donna, che mi aveva incuriosito col suo abbigliamento così fuori luogo per il suo lavoro: cappello con la veletta, biondi boccoli cascanti su un vestito rosso che lascia scoperte le spalle, tacchi alti.
«Frank, caro Frank» Avvicina il suo volto al mio, i suoi occhi sono azzurri e freddi. «Stai rovinando il mio diletto. È così divertente vedere come le obiezioni di questi esperti cadono a una a una e in che modo alla fine si suicidano.»
La sua voce ha qualcosa di innaturale. La mia mente urla al mio corpo di ribellarsi, ma sono ammaliato dal suono delle sue parole. Mi poggia un dito sul petto e un tiepido torpore mi pervade.
«Non sei mai stato una persona studiosa, vero? Peccato, apprezzeresti molto di più tutto questo. Ora va’ dentro e stupiscimi, mi aspetto che il tuo suicidio sia il migliore.»
Sento la mia mente annebbiarsi. Sento che voglio soddisfare il suo desiderio. No, che diamine mi succede, perché mi sto voltando verso la porta di ingresso?
No, no…
«Fermi» grida una voce estranea.
In un istante, la donna mi afferra e mi sposta davanti a lei come se non pesassi nulla. Al fondo del corridoio c’è un uomo vestito di nero che punta una grossa pistola verso di noi, le mani congiunte.
Mi sta usando come scudo!
«Lascialo.» La voce dell’uomo emana determinazione, ma le sue braccia tremano. I suoi occhi sono protetti da occhiali da sole, la testa coperta da un cappello nero. Le gambe sono divaricate, con una valigetta stesa per terra.
La donna non reagisce.
«D’accordo, come vuoi tu. Amico, mi dispiace.» Le sue braccia smettono di tremare.
No che cazzo vuol fare? Dio ti prego no!
Un sibilo per nulla umano, i miei piedi staccati da terra, un giro a trecentosessanta gradi e volo verso l’uomo. La donna mi ha lanciato contro di lui!
L’uomo scarta di lato e dalla pistola parte un raggio verde. La mia faccia si schianta contro il pavimento.
«Signore si svegli.»
Oggi quante volte ho già sentito la richiesta “svegliati”? Le mie palpebre si spalancano accompagnate da una fitta lancinante alla tempia. Anche il resto del corpo è dolorante. Sono seduto appoggiato al muro, ancora nel corridoio del cinema. Davanti a me torreggia l’uomo in nero di prima. O almeno credo sia lo stesso, perché ne vedo altri camminare verso la sala del cinema. Hanno in mano delle taniche… di benzina?
«Cosa è successo?»
«Qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Ciò che conta è che almeno lei è vivo. Ho una domanda da farle.»
Provo ad alzarmi ma il dolore mi blocca. «Alicia, dove è Alicia?»
L’uomo resta in silenzio, con le mani nelle tasche del cappotto. Abbassa il capo.
Sento il mio cuore stringersi. «Là, dentro la sala, è accaduto tutto per davvero?»
«D’accordo, prima le devo qualche spiegazione. Lei è stata vittima della malvagità di una entità sovrannaturale. Di due a voler esser precisi, ma è la Signora Rossa quella che comanda. Le diamo la caccia da tempo. Avrei dovuto sparare appena l’ho vista, ma la sua presenza mi ha fatto esitare, dovevo capire chi o cosa fosse.» Si piega sulle gambe per avvicinarsi alla mia faccia, abbassa la voce: «e, a dirla tutta, ero intimorito dal fatto di trovarmi già di fronte a quella creatura così potente, è da poco che sono entrato nella fondazione.»
«Fondazione? Entità? Non ci sto capendo niente.»
«Abbia pazienza, mi dica piuttosto una cosa. Come ha fatto a trovare la forza di alzarsi? Non erano normali poltroncine, chi si siede entra in contatto con il finto Camus e cade lentamente sotto il controllo della sua voce. È un miracolo che lei sia vivo, ero convinto di essere arrivato troppo tardi. Posso raccontare di aver salvato almeno una persona, visto che le creature mi sono sfuggite.»
Il mio volto si fa ancora più incredulo, se possibile. «La sua voce doveva controllarmi? Non ho ascoltato quasi nulla perché mi sono addormentato per la stanchezza e la noia, non ci capisco niente di filosofia.»
L’uomo sorride. «Beata ignoranza. Potrebbe essere interessante per il reparto ricerche.»
Un principio di lacrime mi punge gli occhi. «Basta, fate finire questo scherzo, non ne posso più, fatemi tornare da Alicia.»
«D’accordo. Mi ha detto quello che volevo sapere, perciò adesso…»
Sento una puntura sul lato del collo. L’uomo si rialza. Ha in mano una siringa.
«Lei dimenticherà tutto questo, Alicia è andata da sola al cinema ed è morta con gli altri nell’incendio che è scoppiato. Un evento terribile, ma almeno lei è vivo. Nonostante le ingiustizie, la vita va avanti.»
Gli occhi mi si chiudono. Scommetto che qualcuno mi dirà di svegliarmi.
Di nuovo.
–
Racconto di Fabio Scarnato
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