Feonith, che le ballate ricordavano come “L’Ebbro Danzatore”, tremava.
Non aveva mai tremato in tutta la sua vita. Mai nelle notti fredde dopo i festini, mai sulle soglie dell’alba, quando aveva bevuto poco e rimaneva sveglio a cercare di ubriacarsi.
Quando lui e i suoi fratelli erano andati, ancor prima della creazione dei mortali, ad accoppiarsi e danzare sui monti appena nati e coperti dal gelo, Feonith si era scaldato le membra con vino e sfrenate danze, e non aveva mai tremato.
Ma adesso sì.
Le catene gli scorticavano i polsi. Aveva tirato e tirato, e non aveva ottenuto altro che incidersi la pelle e vedere il suo sangue scorrere giù per gli avambracci pallidi.
Il Macellaio passeggiava in tondo per la cella, attorno a Tuagheth. Suo fratello era incatenato con le braccia alzate verso il soffitto e le gambe stese verso terra, sospeso in aria.
Il corpo nudo del dio della guerra, sanguinava da più parti.
Il Macellaio gli aveva spezzato entrambe le braccia in più punti per catturarlo, ma non aveva lasciato che le ossa bucassero la pelle.
Per Feonith c’era voluto molto meno. Era bastata una delle sue strette, e il Macellaio l’aveva ridotto a un relitto terrorizzato e strisciante, incapace di fuggire.
Per le sue catene era stato semplice imprigionarlo.
Il dio del vino si guardò la gamba. Dove il Macellaio lo aveva afferrato, sul polpaccio, c’erano cinque voragini grondanti di sangue.
Lo sentiva pulsare fino in testa, un dolore lacerante.
Ma la paura lo metteva in secondo piano. Non aveva mai avuto paura, che ricordasse.
Non così tanta.
«Che razza di dio della guerra tiene i capelli così lunghi?» Il Macellaio si rivolse a Feonith con voce distratta. Il dio cercò di non guardare quello che il mostro teneva tra le dita, ma il suo aguzzino gli sventolò davanti alla faccia lo scalpo biondo di Tuagheth, i lisci capelli color oro macchiati di sangue.
Suo fratello gemeva piano, le ossa del cranio esposte dove il Macellaio aveva strappato il cuoio capelluto.
Con le mani.
Feonith serrò gli occhi e sentì le lacrime scivolare lungo le guance. «Ti prego…»
«Tu preghi me?» Il Macellaio aveva la voce carica di sprezzo. «Oh, questa si che è bella. Un dio che prega.»
Le sue dita aprirono a forza le palpebre di Feonith.
Il suo volto dai tratti aguzzi, il naso spigoloso e quei neri occhi acquosi erano a un palmo dal suo viso. La cascata di lucidi, lisci capelli corvini rendeva il pallore di quel mostro ancora più evidente. Sotto la pelle giallastra e traslucida, si intravedevano le vene guizzare.
«Scherzavo. Quasi tutti mi hanno pregato, chi prima, chi dopo.»
Feonith gemette e tentò di allontanare la testa, ma la mano affusolata del Macellaio gli afferrò i capelli.
«Tieni gli occhi aperti, o ti strappo le palpebre.» Sibilò.
Lasciò andare il suo capo e gettò a terra i capelli di Tuagheth.
«Ripetimi un po’, di cosa sei dio, tu?»
«D-del…del v-vino…»
«Del vino.» Il Macellaio passò di nuovo accanto a Tuagheth. Appoggiò sulla sua pelle due dita e le torse, come per dargli un pizzicotto. Il dio della guerra urlò a denti stretti, e un pizzico della sua carne si strappò con uno spruzzo di sangue. «Ce ne sono sempre a bizzeffe di dei del vino. A voi immortali piace festeggiare.»
L’aguzzino leccò il pezzo di carne che teneva tra le dita e subito sputò, con faccia disgustata. «Che sapore orribile.» I suoi occhi vacui tornarono a fissare Feonith. «Voi siete gli dei di quelli con le orecchie a punta, vero? Gli elfi.»
Il dio delle danze annuì piano. Le sue labbra si aprivano e si chiudevano, come se dovesse dire qualcosa e se lo dimenticasse sempre.
Il Macellaio gli rivolse una risatina. «Sai, non è facile qui. Siete tanti. Non ho mai visto una concentrazione di vermi tanto alta in nessun altro posto, davvero.»
«Ti prego…ti prego…» Feonith abbandonò il capo sul petto e lo fece dondolare lentamente, ripetendo quelle due parole come un mantra.
Il Macellaio afferrò con due dita la coscia di Tuagheth. «Guardami.» Strappò ancora un pezzetto di carne e se lo gettò alle spalle. Infilò le dita dentro la ferita e iniziò a scavarci dentro. Le urla del dio della guerra si alzarono, acute come quelle di una femmina.
Le braccia contorte, stese verso l’alto, tremavano impotenti.
«Basta, ti prego!» Feonith piangeva a dirotto. Le lacrime iniziavano a sciogliere il sangue che gli incrostava il bel viso dai tratti dolci.
Il Macellaio sorrise e tirò indietro di scatto del dita, portandosi dietro una manciata del quadricipite di Tuagheth.
«Pensi che mi fermerò solo perché mi stai pregando? Pensi che basti?» L’essere da capelli neri gli si avvicinò, la mano grondante di sangue ancora stretta al pezzo di carne strappato da suo fratello. Si inginocchiò di fronte a lui. «Voi rispondete a tutti coloro che vi pregano? Ne dubito.»
Con la sinistra il mostro gli afferrò la mascella e gli aprì la bocca, con l’altra mano cacciò dentro la carne del dio.
Feonith si divincolò con tutte le sue forze, ma la presa del Macellaio era solida, più solida anche di quella di suo padre, Vester, creatore degli elfi. Sentì il sangue del fratello scivolargli in gola, e fu scosso dai conati.
Rigettò per terra sangue e bile.
Il Macellaio rise di gusto.
«C-c-cosa vuoi da me?» Piagnucolò Feonith, schiacciandosi contro il muro il più possibile.
«Voglio mostrarti una cosa, piccolo dio del vino. Un gioco. Vedi, quando altri dei, su mondi lontani, si sono accorti di quello che faccio, hanno provato a fermarmi.» Il Macellaio riprese il suo giro per la stanza, attorno a suo fratello. La schiena di Tuagheth era solcata da lunghe strisce di sangue, che gli gocciolavano giù lungo le natiche e le gambe, e avevano ormai formato una pozza per terra. «Mi hanno preso a martellate, legato, torturato, bruciato. Uno ha perfino tentato di farmi ubriacare, violentare e strappare a metà. Era un dio del vino, proprio come te.» Gli sorrise.
«Ma in questo modo, ho imparato due cose. La prima è che io non sono come voi. Perché io non muoio mai.» Tornò accanto a lui e gli infilò le dita tra i ricci sporchi di sangue secco. «E la seconda è che gli dei del vino sono i più buoni da mangiare.»
Negli occhi di Feonith c’era un terrore animalesco. Non riusciva a muoversi, poteva solo tremare e scuotere i ceppi che gli scavavano nella carne dei polsi.
«Quello che voglio, piccolo dio, siete voi. Tutti voi. Siete tanti, su questo mondo, ma non troppi. Mai troppi.» Il macellaio si avvicinò alla schiena di Tuagheth e vi appoggiò il palmo della mano. «Guarda bene, Feonith, dio del vino e dei balletti. Guarda come si uccide un dio.»
Da dentro la cella in cui si trovavano, nelle profondità delle Montagne Spinate, provenne un grido di puro terrore.

Racconto di Luca Vitali.