Inverno, 1238 A.D.

 

Il dolore sotto alle cicatrici della Predisposizione gli pulsava nella carne. Malekith sollevò le braccia. Le incisioni si arrampicavano sulla sua pelle come rovi bianchi. Si mise a sedere sul letto. Erano identiche a quelle di Dibe. Forse era quella la cosa peggiore. Si era detto che chiedere a Ven di fargli la Predisposizione era anche per lei. In suo onore. Ma sentiva ancora la sua mano affondarle il pugnale nella coscia, la sua testata romperle il naso.

Colpa tua.

Dibe lo osservava in un angolo, il collo spezzato e la testa a penzoloni sul petto. Nei suoi occhi non c’erano lacrime né rabbia, come in quel vicolo a Forge. Erano di vetro, accusavano senza odio.

È colpa tua.

Stan stava accanto a lei, il suo sangue scendeva dalla gola e macchiava il tappeto. Lize aveva metà corpo scarnificato, fumante per l’esplosione.

Sempre, solo colpa tua.

Suo padre era seduto sul letto, di fianco a lui. Serrò gli occhi per non guardarlo, ma sapeva che c’era, che c’erano tutti quanti. Le mani gli tremavano. Che idea stupida, farsi fare la Predisposizione in memoria di Dibe.

Forse Ven poteva fare qualcosa per le cicatrici. Strinse i pugni. Mal ricordava benissimo ogni sua colpa, anche senza bisogno di loro.

 

***

 

Attraversò la sala da pranzo privata di Venice. Lì tutto era silenzioso, non come nel resto della miniera, dove il continuo viavai di persone e il rumore dei macchinari gli facevano tremare anche il cervello. La sala da pranzo faceva da anticamera alla biblioteca, che faceva da anticamera allo studio che una volta era stato di Calat. Venice l’aveva cambiato poco. Nuovi tappeti, nuove tende, nuovi mobili, ma tutto allo stesso posto delle loro controparti vecchie. Mal gettò un’occhiata alla spada con i serpenti che aveva portato a Venice, qualche anno prima. L’aveva appesa accanto all’ingresso, forse per fare scena. All’alfnar corse un brivido lungo la schiena. Il mago gli dava le spalle. Stava davanti a una teca su un piedistallo di marmo, le spalle un poco incurvate. Mal intravide un cuore dietro al vetro. Pulsante, sospeso nell’aria. Ven coprì la teca con un panno di broccato.

«Malekith, che sorpresa. Come stai?»

«Cos’è quell’affare?»

L’altro fece un sorriso truce.

«Complicato da spiegare. Magari un’altra volta, eh?»

Gli indicò la sedia imbottita davanti alla scrivania e andò a sedersi dall’altra parte, sulla poltrona. Dietro di lui, in cima al camino, troneggiava il ritratto di suo padre. Il mago si passò le dita sulle occhiaie.

«Ti stai riprendendo?»

«Fa ancora male.»

«Ci vuole del tempo, ma passerà. Ti fanno male le cicatrici o più sotto?»

«Più sotto.» Mal si passò la lingua sulle labbra, tenendo gli occhi bassi. «Ma mi chiedevo se le potessi togliere.»

Ven intrecciò le dita e le fece scrocchiare.

«Nessun problema. Non per vantarmi, ma se avessi voluto avrei potuto diventare un’autorità, nel campo delle Predisposizioni.»

L’alfnar si guardò le mani.

Codardo.

La stava tradendo ancora, come se farla ammazzare non fosse stato abbastanza.

«Grazie, Ven.»

«Figurati. Sono contento che tu sia venuto qui. Farti la Predisposizione è stata una buona scusa per vedere se ero ancora allenato.»

Il mago prese una caraffa e riempì la sua coppa di vino. Solo il suo profumo fece contorcere lo stomaco a Malekith. Gli veniva la nausea. Ven bevve un lungo sorso.

«È bello avere una scusa per fermarsi un momento.»

«La miniera come sta andando? C’è sempre attività qui.»

Chastaine fece spallucce, ma c’era pesantezza in quel gesto. Non l’aveva mai visto con occhiaie così profonde, così pallido, o così magro. Venice aveva la barba più rada, i capelli pettinati quel tanto che bastava a renderli presentabili. Bevve ancora, come se fosse ansioso di vedere il fondo della coppa.

«Il re continua a essere indeciso sul nostro accordo.»

La sua voce era venata di fastidio. Mal si raddrizzò sulla sedia.

«È la quarta volta che torna sui suoi passi. Continua a chiedere e chiedere.»

«È il re.»

Ven si alzò e si stiracchiò per far scrocchiare la schiena. Si appoggiò alla scrivania e alzò lo sguardo sul ritratto di suo padre.

«Ma forse ho… ho trovato un modo per rimpinguare le mie entrate» borbottò, e Mal colse una punta di amarezza. «Ne parlerò con Berry e il signor Larue tra due settimane.»

«Il circo passa di qui?»

«Pensavi che ti avessero abbandonato? Immagino andrai con loro.»

«C’è anche Cale, o almeno dovrebbe esserci.» L’alfnar si massaggiò il braccio destro, per scacciare quel dolore che gli pulsava nei muscoli.

«Fern aveva detto che, dopo l’operazione sarebbe stato un buon modo per ritrovarci, ecco.»

«Berry ne sarà contento.»

Ven non staccava gli occhi dal ritratto. La sua voce era distante, come se stesse pensando ad altro. Mal tamburellò le dita sulla scrivania.

«È tutto a posto?»

Il mago accennò al quadro.

«Sai… più passano gli anni e più mi sembra di diventare come lui.»

«Ed è un male?»

«Il peggior giocatore d’azzardo del Gardaire, l’uomo che ha dilapidato la fortuna del suo casato.» Fece un profondo sospiro. «Ho paura. Ho paura di finire come lui, che non sia il mio destino, capisci? Risollevare il nome dei Chastaine.»

Mal, assieme al dolore, sentiva qualcos’altro che gli strisciava sottopelle.

Non è la giornata giusta per parlare di padri e destino.

«Ha fatto un figlio come te, no? Da nobile decaduto a padrone della più grande miniera di Sangue di Drago del Gardaire. Qualcosa di buono gli è riuscito.»

Ven si girò. Il suo sorriso non era mai stato così stirato, era come se tenerlo su gli costasse uno sforzo enorme.

«Io sono appeso a un filo, Mal.» Si passò una mano tra i capelli e ridacchiò. «Questo non toglie che tu sappia essere un gran leccaculo.»

Mal fece un sorrisetto, che nella sua testa era uguale a quelli sarcastici che faceva Fern.

«Faccio del mio meglio.»

Il mago si risedette sulla poltrona.

«Spero che la tua lingua lunga ti abbia aiutato più con Shar che con me.» Gli strizzò l’occhio. «È da tanto che non mi dai sue notizie.»

L’alfnar deglutì. Si appoggiò allo schienale della sedia, ma rimase rigido.

«Viaggia molto. Non ci vediamo più così spesso.»

«Ti manca?»

«La verità? Meno di quanto mi aspettassi.»

Fu come togliersi un peso. Abbassò di nuovo gli occhi a guardarsi le mani.

«Non pensavo che lei fosse…»

«Così fragile?»

Ven aveva appoggiato i gomiti sulla scrivania e lo guardava con gli occhi velati di tristezza. Mal annuì.

«Sì. Mi dispiace.»

Il mago girò attorno al tavolo e si sedette davanti a lui, gli sfiorò la spalla con una mano.

«Non si è mai aperta con nessuno come ha fatto con te.»

«Lo so, lo so…»

Forse era quella la cosa più pesante, il fatto che lei gli avesse addossato quella responsabilità senza nemmeno chiedere.

«Tieni duro, ragazzo mio. Le farai un gran bene. So che non sembra, ma Shar è una donna che ha bisogno di una persona speciale.»

Gli sorrise.

Mal, però, non rispose.