Estate, 1237 A.D.

 

Malekith si appoggiò al muro all’inizio del ponte e tese l’orecchio. C’era solo lo scrosciare del Felanse sotto di lui, nessun altro rumore. I lumi sul ponte di pietra lo coloravano di luce arancione, le ombre tra le arcate che lo coprivano parevano d’inchiostro. Zoppicò fuori, la mano nella bisaccia a stringere la sfera con la piuma. Il suo tepore alleviava il dolore della ferita, Mal ne era sicuro. La voce di suo padre risuonò tra le arcate.

«Continui a fuggire. Non ti ho cresciuto come un codardo, né come un criminale, Malekith.»

Re Dimas emerse dal buio. Malekith si fermò.

«Papà…»

«Prima abbandoni Stan, adesso i tuoi nuovi compagni.» Il re scosse la testa. «Dove ho sbagliato con te?»

Chinò il capo, rassegnato.

«Papà, io non volevo, m-me l’ha detto Venice. Ero ferito, se mi avessero catturato tutto sarebbe andato in fumo.»

«Tu hai avuto paura. È questa la verità.»

«I-io…»

Un rumore di ferro che ticchetta sul ferro lo interruppe. Suo padre allungò la mano verso l’altro capo del ponte.

«Non puoi sfuggire alla paura. Lei ti troverà sempre. Come lui.»

Una figura apparve dove il re indicava. La luce delle lanterne si riflesse sul pettorale dell’armatura sporca di fango e sulla lunga lama che l’uomo brandiva.

«Malekith.»

La voce di Stan era roca come quella di un vecchio. L’alfnar restò paralizzato. Il suo vecchio compagno venne avanti. Era pallido come un cadavere, il suo viso una maschera di capillari rotti. Una zaffata di marcio raggiunse le narici di Malekith, un conato gli bruciò la gola. Cercò suo padre, ma il fantasma era sparito. Afferrò la sciabola, Stan si lanciò avanti.

«Malekith!»

L’uomo sferrò un taglio orizzontale, all’altezza del busto. Mal parò, l’impatto fu tanto forte da spingerlo contro la balaustra del ponte. Deviò un fendente alla testa e si spostò di lato per guadagnare spazio, l’altro continuò a incalzarlo. Le uniche parti prive di protezioni erano il cranio e le ascelle, queste coperte solo dal gambesone.

Non posso ucciderlo! Lui è la chiave…

Stan alzò la spada a due mani sopra la testa, un movimento esagerato. Mal aveva una sola possibilità: disarmarlo. Simulò una parata alta e, all’ultimo, scartò di lato, schivando il fendente. Abbatté la sciabola con forza sulle dita della destra di Stan. Il colpo si piantò tra le placche dei guanti, ci fu un crack cupo. Indice e medio erano storti in una posizione innaturale. Stan richiuse la mano senza lasciarsi sfuggire un grido, sangue scuro bagnò l’impugnatura della spada.

È impossibile!

Ci aveva già provato e aveva fallito; perché avrebbe dovuto funzionare ora?

Stan è il primo gradino per tornare a casa.

Un’ondata di gelo gli invase il cervello. Indietreggiò, la lama che tremava. Non c’era via d’uscita.

A parte…

Stan falciò basso, Mal spostò le gambe appena in tempo. La coscia ferita lanciò una fiammata di dolore. Riuscì a rimanere in piedi per un miracolo di Kell. Strinse i denti e corse alla balaustra. Stan non l’avrebbe seguito in acqua, non l’aveva fatto nemmeno al traghetto.

Codardo.

Rinfoderò la sciabola e si lanciò nel fiume, per la seconda volta quella notte, stringendo la bisaccia. Le acque nere del Felanse lo accolsero. Mal risalì a prendere aria, la corrente lo trascinò avanti. Sul ponte, Stan era fermo a fissarlo. Anche da dov’era, poteva vedere il suo volto. Non sarebbe bastato fuggire.