Estate, 1237 A.D.

 

Strappò un’altra pagina del libro e la infilò tra le fiammelle del piccolo falò che aveva costruito con i calcinacci trovati al piano di sotto. Guardò verso il giardinetto interno. Si era alzato un vento forte, oltre la porta si vedeva uno spicchio di cielo plumbeo. Avrebbe iniziato a piovere di lì a poco. Una folata attraversò l’ingresso e spazzò il pavimento, il vento gli appiccicò i vestiti umidi sul corpo, facendolo tremare. Mal si girò di colpo solo per venire investito dalla carta bruciacchiata.

«Ah, per Kell!»

La gamba gli lanciò una fitta. Si pulì la faccia dalla cenere e si morse la lingua. Il suo piccolo falò era ridotto a due rametti e una manciata di pagine mezze carbonizzate, il fuoco era spento.

«No! Maledizione!»

Ringhiò, afferrò acciarino e pietra e li scagliò contro il muro. Il fuoco lo accendeva Stan, di solito. Si prese la testa tra le mani, i capelli erano così corti da pungergli le dita. La ferita alla gamba pulsava, gli faceva strisciare aghi dentro la carne. Rovistò nella bisaccia, il calore della piuma gli ridiede conforto. Era più intenso ora, come quello delle braci dentro un camino. La tirò fuori e se la rigirò davanti agli occhi.

Potrebbe funzionare?

Se bastava un’ampolla di vetro a contenerla, cosa poteva mai fare quella piuma? E se l’avesse aperta per un momento? Accendere un bel fuoco, magari. Un’altra ventata attraversò la stanza.

Un attimo solo.

Scrocchiò le dita e avvicinò il collo dell’ampolla ai legnetti. Fece forza sul tappo di metallo, che cedette con più facilità di quanto avesse pensato. Un sibilo gli tagliò i timpani, dall’ampolla uscì un fumo viola scuro, punteggiato di pagliuzze dorate. Mal richiuse di scatto il tappo, ma il fumo, come avesse vita propria, si avvitò nell’aria e gli si infilò nelle narici. Mal cadde indietro, tossì forte per cacciarlo fuori. Non sapeva di nulla, era solo rovente. Gli strisciò dentro al corpo e gli invase il cervello.

Un lampo, e il mondo si sfocò. Il soffitto assunse sfumature di magenta, rosso e lilla. Mal tossì ancora. I muscoli e i polmoni bruciavano, la gamba gli lanciò una scossa di dolore fin dentro le ossa. Rotolò e si mise prono. Le assi del pavimento vibravano. Il suo cuore batteva come un tamburo, il suono gli riverberava dentro ai timpani. Calò piano, e con lui il bruciore. La gamba non faceva più male.

Draghi benedetti, cosa…

C’era qualcuno, in piedi davanti a lui. Rotolò di lato, la mano corse alla sciabola. Strinse i denti, in attesa della stilettata alla coscia, ma quella non arrivò.

«Chi sei?»

Re Dimas sollevò un sopracciglio.

«Potrei farti la stessa domanda, Malekith.»

Non può essere.

Al suono di quella voce, gli occhi presero a bruciargli. Non era come sul ponte, era più concreta. Era come se suo padre fosse stato davvero lì con lui.

«Padre?»

«Alzati, figlio.»

Mal obbedì. Si tastò la ferita alla coscia, ma non c’era più. Sotto la stoffa, la pelle si era rimarginata del tutto. Il re sospirò.

«Alla fine sei fuggito di nuovo.»

Il giovane chinò il capo.

«Sì, padre. E… e me ne vergogno.»

«Bene. Almeno un briciolo di quello che ti ho insegnato lo ricordi ancora.»

«Padre… papà. Io non ci riesco. È Stan, i-io non posso ucciderlo. Ma non riesco a salvarlo. È troppo forte.»

«È troppo forte.» Il re storse la bocca in una smorfia sdegnata. «Tu devi affrontare il Cremisi, per vendicarmi, e Stan è troppo forte?»

Gli voltò le spalle e uscì sul giardino. Gli abiti da camera che portava lo facevano sembrare più magro di quanto Malekith ricordasse. Stonava, in quel giardino così incolto. Sulle pietre del piccolo pozzo era cresciuta l’edera, sulle mura gonfie di umidità spuntava il muschio. Re Dimas si sedette su una panchina di marmo, le mani in grembo.

«Voglio farti una domanda, Malekith. Come pensi, di preciso, di tornare a casa e vendicarmi? Sono curioso di sentire il tuo piano.»

«I-io mi farò degli amici. Avventurieri che mi aiuteranno. Come Agaveth e…»

Gli occhi di re Dimas divennero due fessure.

«La rivolta delle Pesche, sì. Ma all’atto pratico?»

«C’è un mago, Venice Chastaine. Lui può aiutarmi con Stan, se glielo porto. E poi gli spiegherò la situazione, e lui mi aiuterà…»

Lo sguardo del padre si fece sarcastico.

«Vuoi spiegarmi com’è possibile che un mio figlio, un principe della casa di Kitessar, il Mal della casa di Kitessar, faccia fare tutto ai suoi compagni? Per cosa ti ho addestrato in questi ultimi quindici anni?»

Malekith serrò i denti e si impose di non balbettare.

«Io non posso fare tutto da solo.»

«Tu non stai facendo niente da solo. Da bravo codardo.»

Fu come prendere un pugno alla bocca dello stomaco. Gli mancò il fiato e fece un passo indietro. Re Dimas scosse la testa.

«Tu non saresti vivo se non fosse stato per Staniel. Gli hai fatto una promessa, ricordi? E ne hai fatte tante anche a me.»

«Voglio solo renderti fiero, padre. Ma ho paura.»

Non è cambiato nulla. Non sei un principe, sei solo un bambino.

Re Dimas si alzò in piedi.

«La paura non è una cosa degna di un principe. Tu sei mio figlio! Malekith Callidras Kitessar, secondo del tuo nome. Guardami in faccia quando ti parlo!»

Mal si sentì avvampare, il volto gli andò a fuoco. Serrò i pugni e si avvicinò al padre.

«Credi che non mi penta di quello che ho fatto? Che non vorrei tornare indietro? Ma sono io quello che rischia di morire, qui!»

Il re fece un sorriso amaro.

«Io, invece, sono già morto.»

È colpa mia.

Le parole gli morirono in bocca.

«Io ti ho amato, Malekith. Ti ho amato come amavo mio fratello. È così che mi ripaghi?»

«No!» Mal gli prese le mani e le strinse forte. «Ho sempre voluto che tu fossi fiero di me.»

«E come posso?» Suo padre liberò le dita dalla presa con un gesto stizzito. «Devi essere degno del tuo trono. Come speri di reclamarlo? Con una schiera di vagabondi al tuo seguito e l’infamia al posto dell’onore? Io non posso amare un codardo.»

«Non sono un codardo.»

«Ma non sei degno di essere un eroe.»

Io devo essere un eroe. Devo, più di ogni altra cosa.

Malekith si inginocchiò di fronte a suo padre.

«Ve lo giuro, padre. Io vi vendicherò, fosse l’ultima cosa che faccio.»

Una linea rossa si disegnò sulla gola di re Dimas.

«Salva Stan dalla maledizione che tu hai causato. Altrimenti, non osare tornare a reclamare il mio trono.»

L’aria gli si congelò nei polmoni.

Codardo. Hai paura, hai sempre avuto paura. Non sarai mai degno.

«Padre…»

Il collo di re Dimas fu squarciato da una lama invisibile. Una cascata di sangue gli investì il volto e il petto.

«Papà!» Malekith abbracciò il corpo del re e lo strinse tra le braccia. «Te lo prometto, te lo prometto. Te lo prometto.»

Non riuscì a fermare le lacrime.

«Resta con me, resta qui. Non posso farcela da solo. Da solo sono—»

La carne di suo padre svanì tra le sue dita, come se non fosse mai esistita. Si accasciò ai piedi della panca, singhiozzando, con le mani serrate attorno al capo. La pioggia iniziò a pungergli la testa. Mal si alzò e sfoderò la spada. Strinse la lama con la mano, lasciando che il filo gli incidesse un poco il palmo. Non sarebbe fuggito. Mai più.