Il rombo di un tuono coprì lo scrosciare della pioggia. Un fulmine squarciò il cielo fuori dalla porta. Malekith rimase seduto, sotto la luce delle candele che ondeggiava a ogni soffio di vento. Il temporale era forte, ma non riusciva a nascondere il suono di passi corazzati che si avvicinavano nel fango, fuori.

L’alfnar scrocchiò il collo a destra e a sinistra, si alzò e roteò il polso della destra. La sciabola fendette l’aria.

Stan emerse dalla notte, fradicio e con la spada in mano. «Malekith.»

«Ti aspettavo, Stan.»

L’uomo scoprì i denti in un ringhio. Erano rotti, macchiati di sangue scuro. Sotto la pelle cerea si intravedevano vene nere.

Mal si mise in guardia, la spada davanti a sé. «So che sei ancora lì dentro. Per favore…»

Stan gli si lanciò addosso e menò un fendente. La lama rimbalzò contro il soffitto, come aveva previsto Malekith. Scattò di lato e tagliò dietro al ginocchio, dove non c’era armatura. Stan gemette e incespicò avanti. Un fiotto di sangue nero, denso come melassa, macchiò il pavimento. Senza l’elmo, la testa dell’uomo era un bersaglio facile. Sarebbe bastato un colpo, e la sua gola…

Codardo! Lo vuoi uccidere.

Mal indietreggiò.

Stan si rimise in piedi e attaccò dal basso, falciò alle gambe dell’alfnar.

Malekith schivò, avvicinandosi a lui. Gli girò attorno e colpì dietro all’altro ginocchio, un taglio meno preciso di quello di prima.

Stan sibilò e mollò una spazzata di pura potenza per mozzargli la testa, Mal si abbassò appena in tempo.

Continui a scappare, codardo. Vuoi far vergognare tuo padre? Disarmalo!

L’uomo caricò il colpo dalla spalla, un movimento esagerato che non avrebbe mai fatto se fosse stato in sé.

Mal gli si lanciò addosso prima che facesse partire l’attacco. Gli bloccò le braccia con la sinistra e lo colpì al volto con il pomo della sciabola. Fece leva sulla spada con tutto il corpo per scardinarla dalle dita di Stan, ma quella non si mosse, come incollata.

Sei inutile.

L’uomo ringhiò e gli tirò un pugno, il guanto d’arme si abbatté sull’occhio di Malekith. Il mondo gli esplose attorno in una nube nera venata di dolore.

Sei una delusione.

Barcollò indietro e batté la schiena contro il muro. Stan ruggì. Mal intravide la sua sagoma caricarlo e si gettò di lato. L’acciaio cozzò contro l’intonaco.

Non sarai mai un eroe. Hai pensato a ucciderlo da subito. Non sei degno di tuo padre.

«Smettila!»

Malekith si lanciò alla cieca contro Stan, lo attaccò con quanta forza aveva in corpo.

Non tornerai a casa. Tanto vale che tu lo uccida.

«Zitto!»

Sei solo un codardo. Hai sempre avuto paura.

Stan bloccò il suo taglio e gli piantò una pedata nel ventre. Mal indietreggiò, i muscoli in fiamme. L’avversario affondò, goffo.

Non sei degno.

Mal lo deviò, il collo di Stan era lì, scoperto. La sciabola fendette la carne, uno schizzo di sangue melmoso gli macchiò il viso. Il suo amico spalancò gli occhi. Lasciò la spada e si portò la mano alla gola, crollò di lato.

«S-Stan…»

Malekith gli si inginocchiò accanto.

«Stan, non volevo…»

Ma l’uomo aveva già chiuso gli occhi. Passi alle sue spalle, nel fragore della tempesta. Mal si girò, un’ombra bloccava la porta. Occhi rossi, tizzoni ardenti nel buio lo fissarono divertiti.

«Avevi tutta questa paura di me, ragazzo?»

Mal indietreggiò a carponi, il manico della sciabola che batteva sul pavimento.

No! Non può essere lui!

Il Cremisi entrò. Il suo volto era quello di suo zio Varran, ma il sorriso da iena non gli apparteneva. L’abito di seta rosso sangue ondeggiava al vento. Lo stregone si piegò, il suo volto all’altezza di quello di Mal.

«Sei contento? Ora non devi più avere a che fare con me. Non devi più essere un eroe.»

Mal rivide la scena dentro la sua testa. Il Cremisi, col volto di suo zio, agitava la mano. La gola di suo padre si squarciava, esplodeva in una fontana di sangue. Strinse l’impugnatura della sciabola.

«Io ti ucciderò.»

«Come hai fatto col tuo amico? Sai, tuo padre è morto nella stessa maniera.» Lo stregone rise. «Per colpa tua.»

Mal ruggì e gli calò la sciabola sul cranio, ma l’acciaio tagliò l’aria. Non c’era nessun Cremisi nella stanza. Era solo.

Salva Stan. Altrimenti non osare tornare a reclamare il mio trono.

Colpì per terra con la spada, ancora e ancora, fino a che la mano non gli fece così male da non riuscire a chiuderla, e il pavimento fu coperto dalle schegge. Ansimava, il braccio gli era diventato di piombo.

Perché sei così codardo? Perché non ci sei tu, al posto di Stan, a terra?

Guardò la spada con i serpenti, a terra. La lama lucida rifletteva la luce tremolante delle candele.

«Io a casa ci torno, papà. Non la lascio in mano a quel verme.»

Guardò Stan. Eccola lì, la sua chiave, il suo primo gradino, il suo amico. A casa, Alarie poteva aver fatto la stessa fine.

«Ti renderò fiero, papà. Anche se non alla tua maniera. Anche con un esercito di straccioni, non m’importa.»

Si chinò a slacciare il fodero dalla cintura di Stan. Le lacrime gli rigavano le guance. Fece attenzione a non toccare la spada con le mani e la infilò nel fodero. La avvolse nelle coperte trovate di sopra fino a farne un fagotto e la prese. Non gli successe nulla.

Visto? Era così facile. Sei tu che sei inutile.

Mal uscì sotto la pioggia. L’acqua gelida gli fece venire i brividi. Strinse l’ampolla nella bisaccia. L’alba non doveva essere lontana, e lui aveva un regalo per Chastaine.

 

***

 

La casetta era ben nascosta tra i salici e le piante, ma Berry gli aveva spiegato come arrivarci. Si inoltrò nei fitti cespugli all’altezza del sasso con la macchia di vernice rossa. I rami gli graffiarono il volto e le braccia, ma lui continuò. Sbucò in uno spiazzo minuscolo. La porta dell’abitazione era coperta di foglie, come se fosse abbandonata. Un gradino di legno la rialzava dal terreno. Bussò. L’uscio si aprì un poco, un occhio arancione scrutò fuori.

«Malekith.»

Venice aprì, le labbra dischiuse per lo stupore. Sbirciò alle sue spalle.

«Sei riuscito a—»

«Sì.»

Mal tremava, stringeva con entrambe le mani il suo fagotto. Il mago lo guardò.

«Cosa c’è lì dentro?»

«L-la spada che… il mio amico. Ricordi?»

Venice sbatté un paio di volte le palpebre.

«Mi dispiace.»

«È stata colpa mia. M-ma ho questa.»

L’alfnar rovistò nella bisaccia e tirò fuori l’ampolla. La porse a Chastaine, che la prese e se la rigirò tra le dita.

«L’ho aperta solo un momento, solo un momento. Mi dispiace, non ci ho fatto niente.»

«Stai bene?»

Venice gli appoggiò una mano sulla spalla. Mal annuì piano.

«Sei stato bravo, Malekith, davvero. Non mi aspettavo che tornassi, a essere sincero.»

«Non avevo un posto dove andare.»

«Immagino che tu abbia un posto dove tornare, però.»

L’alfnar scosse il capo, confuso.

«Io… cosa significa?»

Chastaine sorrise.

«Quella spada e il tuo amico dovevano venire da qualche parte. Tu ci vuoi tornare?»

«Io ci devo tornare.»

Il mago si strinse nelle spalle.

«Beh, questo può essere un buon inizio. Magari le nostre destinazioni sono sulla stessa strada.» Indietreggiò e gli fece cenno di entrare. «Prego.»

Mal salì il gradino e varcò la soglia