Calat se ne stava sdraiato nel letto, a sentire il rumore leggero di Malekith che faceva scorrere la parete finta e sgattaiolava in quella che, fino a poche ore prima, era la sua camera da letto. Si era messo le coperte addosso apposta perché rendessero chiaro dove si trovava il suo corpo. Bisognava solo vedere se il piano avrebbe funzionato. L’alfnar, il pugnale nero stretto tra le dita, scivolò sui tappeti producendo appena un fruscio. Le lame di luce che filtravano dai fori nel paravento di legno che dava sulla sala del trono accarezzavano la sua figura. Si spostò accanto al letto. Sollevò la lama.
Oh, finalmente…
E se ne rimase fermo. Tremavano le sue labbra, le sue mani, con ogni probabilità anche i suoi occhi. Calat dovette sforzarsi di trattenere uno sbuffo scocciato e mandare in frantumi la sua pantomima.
Oh, la paura.
In ogni fremito dell’alfnar leggeva un pensiero.
Non posso farcela, sono un codardo. Oh, Kell benedetto, cosa accadrebbe se si svegliasse?
Nella sua testa la voce di Malekith aveva un tono petulante. Squittiva come un topolino. Niente, stava lì col pugnale alzato come un idiota e non si decideva.
Per tutti i Draghi, ero anche io così, prima?
Mosse appena il piede per farlo scivolare fuori dalle coperte. L’alfnar spostò lo sguardo, ma in ritardo. Calat gli sferrò una pedata nell’inguine, piegandolo in due. Quello barcollò indietro, gemendo. Lui si drizzò a sedere sul letto.
«Maledizione a te, si può sapere cosa cazzo aspetti?»
Malekith estese il manico del pugnale e gli puntò contro la lancia, gli occhi sbarrati.
«Lo sai, ragazzo, che anche se mi avessi ammazzato così, come il più vile dei sicari, il mondo intero ti avrebbe considerato un eroe? Lo sai, maledetto codardo del cazzo?»
L’alfnar ringhiò, più esasperato che arrabbiato, e caricò in avanti, affondò secco. Calat balzò giù dal letto e lo lasciò a sforacchiare le lenzuola.
Prevedibile, piccolo Malekith.
«Vedi? Te lo devo dire io di tirare fuori le palle?»
Mal spazzò alla cieca, seguendo il suono della sua voce, ma il colpo era troppo alto. Calat si abbassò appena.
«E perché proprio con questa faccenda dell’eroe ti adiri?» Passeggiò tranquillo, di lato. «Cos’è, non mi dirai che non hai mai pensato di vendere la mia testa e farti costruire statue in tutti i regni, no?»
Mal afferrò una coperta e la tirò nella sua direzione. Un’idea intelligente, per un bambino di cinque anni. Calat ci passò sotto ed entrò nella sua guardia, afferrò l’asta della lancia e gli sferrò un pugno al basso ventre. Gli fece lo sgambetto e fece leva col corpo, scaraventandolo di peso contro il paravento.
Rimase lì, con la lancia in mano.
L’alfnar sfondò la parete di legno e piombò nella sala del trono sottostante.
L’uomo invisibile balzò giù e gli atterrò di fianco. Afferrò i suoi capelli e lo tirò in piedi, facendolo urlare.
Gli piantò una testata sulla radice del naso e lo colpì col manico del pugnale, una stilla di sangue sprizzò dallo zigomo.
Lo tirò avanti fino al trono e ce lo buttò seduto sopra. Gli balzò sulle ginocchia e gli piantò le sue contro il petto, inchiodandolo allo schienale, il volto invisibile a meno di un palmo dal suo.
«Non vuoi essere un fottuto eroe?» Gli serrò le guance con la mano. «Essere quello che ha ucciso Calat il Folle? Calat il Redivivo? Calat il Cattivone?»
Gli occhi scuri dell’alfnar non sapevano dove cercare per trovare il suo volto, terrorizzati e pieni di lacrime.
Calat sbuffò, seccato. Gli sbatté la testa contro il trono, con un ringhio di frustrazione.
«Fottuti i Draghi, cosa devo fare per farti—»
Il pugnale. Glielo cacciò in mano, strinse le sue dita attorno all’elsa e se lo puntò al petto nudo.
«Avanti, cazzo! Non vuoi fare l’eroe? Per una dannata volta nella tua vita?»
Malekith sbarrò gli occhi e si mise a piangere.
La sua presa sull’arma era così molle che, se non avesse avuto le dita di Calat chiuse sulle sue, il pugnale gli sarebbe caduto. Prese a singhiozzare come un bambino, tanto forte da lasciare spiazzato l’uomo invisibile.
«Non sono degno! N-non ce la faccio, non me lo merito… n-non posso essere come v-vuole lui…»
Calat sospirò e lasciò la sua mano. Il coltello cadde e rimbalzò sul pavimento.
Mi sbagliavo, io e lui non siamo uguali. A me non hanno fatto quello che hanno fatto a lui, qualunque cosa sia. Povero bambino spezzato…
«Va bene.» Scese dalle sue ginocchia. «Smetti di piangere e vattene, forza.»
Si sforzò un po’ per impedire alla voce di addolcirsi, appena un poco. Ma lo fece. Mal continuò a singhiozzare e alzò gli occhi arrossati su di lui.
«T-tu non m-mi…»
«No, non ti uccido.»
E io che speravo di… bah, vedi cosa succede, a fare il filantropo?
«Mi scorderò di te, Malekith, e di tutti i tuoi segreti. Ora vattene.»
Lo osservò uscire dalle porte da cui era entrato lui quella mattina per distruggere tutto quello che Malekith si era costruito. L’alfnar portò via solo il pugnale, stretto tra le mani come fosse una reliquia. I battenti si chiusero, troncando i suoi singhiozzi e lasciando Calat solo nel silenzio di quella ridicola sala del trono. Il mago accarezzò le stoffe che lo ornavano, così esuberanti da essere pacchiane, assieme al legno laccato d’oro.
Un trono di stracci per un principe fallito.
Voleva un regno tutto suo? Improbabile. Anche quando l’aveva creato, l’alfnar non si era mai fatto chiamare Re. Solo Principe. Calat sospirò. Niente da fare, il piano era fallito. Strano a dirsi, era la prima volta da un sacco di tempo.
Forse sono io quello fortunato, ad avere soffocato la parte di me che lui si tiene tanto stretta.
Ma finché ci fossero stati il Principe e il Codardo, era sicuro che non ci sarebbe mai stato un Malekith felice.
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