Il vento spazzava il dorso della collina rocciosa e la polvere della strada. Malekith alzò la mano per proteggersi il viso. Shar cavalcava accanto a lui con le grosse spalle curve. La sua folta chioma di ricci neri garriva nell’aria come uno stendardo. La bocca dell’alfnar era arida come il paesaggio che avevano intorno, la lingua appiccicata al palato. La scollò e si leccò le labbra screpolate. Fece per parlare, ma non gli venne niente di intelligente da dire. La maga doveva essere immune al vento. Si infrangeva su di lei, strattonandole la camicia, ma pareva che non lo sentisse nemmeno. Solo a guardarla, Malekith provava un piacevole tepore.

«Hai freddo?»

Lei spostò su di lui i suoi occhi giallo oro e scosse la testa. Rimasero zitti e seguirono il sentiero. L’erba secca della collina ondeggiava come un grande mare giallastro. Malekith la sbirciava di sottecchi. Attraverso la camicia poteva indovinare i muscoli della sua schiena. Era più grossa di lui e alta appena due dita di meno, e non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. La immaginò nella sala del trono, i bicipiti contratti per lo sforzo, a scagliare saette contro il Cremisi. Lui, al suo fianco, la sciabola in mano e pronto ad attaccare, si sarebbe gustato l’espressione di terrore sul volto di quel bastardo. Un brivido di piacere gli attraversò le ossa. Si schiarì la gola.

«Senti, ma… come vi siete conosciuti, tu e Venice? Se non sono indiscreto.»

Shar non lo guardò ma si ingobbì ancora, come a proteggersi dal vento.

«I-io non volevo essere… metterti in imbarazzo, ecco. Se non vuoi… era solo per fare conversazione.»

«Non faccio conversazione» rispose in fretta Shar con la sua voce ruvida.

«Scusa.»

La donna restò col capo chino, borbottando qualcosa che il vento si portò via. Mal la imitò e procedettero in silenzio. Superarono una curva che girava attorno al colle e la strada tornò a salire. Fu lei a tossire per schiarirsi la voce.

«Non ci sono abituata. Non la faccio spesso, la conversazione.»

Lui le sorrise.

«Non è un problema.»

«Perché lo vuoi sapere?»

«Cosa?»

«Come ho conosciuto Venice.»

«Beh, non succede spesso che due maghi si conoscano come voi.» Mal fece spallucce. «Non succede mai, a quello che so.»

Shar sospirò. Si soffiò una ciocca di capelli via dalla fronte e tirò su il mento.

«Mi ha salvata. Sarei pazza, a questo punto, senza di lui.»

«Salvata? Da cosa?»

Quella borbottò e chinò di nuovo la testa. Mal aspettò che parlasse, ma lei stava lì come una statua sul cavallo, lo sguardo sul terreno.

«Da me stessa» mormorò infine.

«Da te stessa?»

«Ero piccola. Stavo con mio padre, nella foresta. Avevo delle crisi.» Si sfiorò una tempia con le dita callose. «Troppo potere, dice Venice.»

«E Ven ti ha salvata?»

Shar annuì e i suoi occhi brillarono.

«Ven è un drago.»

Malekith si grattò la testa.

«In che senso?»

«Mio padre mi ha portata da lui. Le nostre teste, le menti, si sono toccate.»

La donna continuava a guardare dritto davanti a sé con quella febbrile luce nello sguardo.

«Dentro, lui è un drago. Quelli come noi hanno Sangue di Drago nelle vene. Io l’ho visto, con l’occhio della mente.»

Alzò le mani e allargò le braccia, come se volesse abbracciare un’enorme figura. La sua voce era rapita, gli occhi spalancati. Per la prima volta da quando la conosceva, Mal vide un sorriso dipingersi sulle sue labbra pallide.

«Un grande drago d’oro e fiamme.»

Incrociò lo sguardo dell’alfnar e qualcosa in lei si spense. Scosse il capo e riprese le redini.

«Anche io voglio essere un drago» mormorò.

Malekith aveva il cuore che batteva forte contro le costole, si sentiva caldo e leggero. Qualcosa gli diceva che la maga non stava parlando a vuoto. Non riuscì a trattenere un sorriso.

Ci si può innamorare di un drago? 

 

*** 

 

Le nuvole si stavano addensando sopra il villaggio di Cronverre. Casette di legno con le basi di pietra e malta costeggiavano la strada di terra battuta. Lui e Shar si diressero verso l’edificio più grosso, grande almeno due volte gli altri, con il tetto di legno dipinto di rosso. Per quanto sbiadito, contrastava col grigio pallido del cielo. Un’insegna recitava “da Bernard”. Fern li aspettava sotto il portico della locanda. Si infilò due dita in bocca e fece un fischio al garzone, che corse loro incontro per prendere i cavalli. Mal salutò lo spadaccino con una mano e smontò di sella. Prese per le redini il suo destriero e lo accompagnò accanto a quello della maga.

«Sai, Chastaine mi ha spiegato cosa dovrai fare.»

«Ah, sì?» La donna tirò giù dalla sella il suo sacco come se fosse vuoto. 

Lui si schiarì la gola. «Hai ehm… hai parenti morag?»

Si pentì della frase un istante dopo averla detta. 

Shar lo fulminò con lo sguardo. «Cosa?»

«Cioè, io intendevo… sai, sei così…» si morse la lingua prima di dire “grossa”.

Forte. Forte è l’aggettivo giusto, deficiente.

Il tempo di mollare le briglie al garzone, e la donna era già sulla scala che portava all’ingresso della locanda. Mal resistette all’impulso di darsi un ceffone e le andò dietro. Fern li aspettava col suo sorriso sornione.

«Shar, che piacere rivederti.»

Lei grugnì qualcosa e lo superò. Senza cambiare espressione, lo spadaccino strinse la mano a Mal e gli batté l’altra sulla schiena, abbracciandolo.

«Non le piaccio molto, mio caro ragazzo.»

«Non sei l’unico, Fern.»

L’uomo rise.

«Ma sentilo, un bel tipo come te che fa il timido.»

Entrarono in una grande sala dal soffitto alto, sostenuto da colonne di legno con incisi dei motivi di linee intrecciate. Un uomo dai capelli lunghi legati in una coda faceva girare un cinghiale sullo spiedo, sopra la buca per il fuoco al centro della stanza. Oltre a lui c’era solo un gruppo di persone sedute a un tavolo in fondo alla sala. Mal riconobbe Berry e abbassò subito lo sguardo. Sfiorò con le dita una delle lisce colonne d’abete.

«Come mai non c’è nessuno?»

«Disposizioni dal re in persona. Tramite me, naturalmente.»

«Tu lavori per il re?»

Fern accennò un inchino col capo.

«Chi pensi abbia stanziato i fondi per questa impresa?»

«Ma perché re Levon vorrebbe—»

«Sangue di Drago. Il re vuole riattivare l’impianto di raffinamento.»

Mal rimase a bocca aperta.

«Ecco di cosa parlava Ven!»

«La gestione della miniera spetterà a lui, se tutto va secondo i piani.»

Si fermarono davanti agli occupanti della tavolata. Shar aveva già preso uno sgabello e si era piazzata un po’ lontana dal gruppo. Oltre a Berry, c’erano due persone che Mal non conosceva. Il primo, accanto al mezzo-morag, era un giovane umano, doveva avere l’età di Malekith. Aveva gli occhi azzurri e i lineamenti affilati, nascosti da una zazzera di lisci capelli castani. L’altra aveva la pelle simile al marmo rosso, solcata da venature bianco latte. I suoi lineamenti netti conferivano all’elvstene un’aria sagace. Aveva due occhi verde smeraldo e una massa di ricci biondo spento, in contrasto con il resto della figura.

«Malekith, ti presento Cale e Lize. Sono parte della squadra.»

Fern lo indicò con la mano aperta.

«Gente, Venice ha deciso che sarà Mal a guidare la squadra.»

Il ragazzo chiamato Cale annuì, ma non disse una parola. Lize, invece si alzò e gli porse la mano.

«Io sono la guida, signor caposquadra. Quindi si segue me.»

Malekith la strinse. Il tono acido con cui parlava non gli piaceva per niente, ma ingoiò il rospo.

«Certamente. È un piacere avere qualcuno che senta il respiro della pietra, come guida.»

Lei fece un sorriso che sembrava tutto meno che sincero e tornò a sedersi. Mal sbirciò Berry, attento a non farsi vedere. Al posto della mano destra, il mezzo-morag ne aveva una di metallo scuro.

Codardo!

Strinse i denti e si impose di non guardarlo più. Fern gli diede una pacca sulla spalla.

«Vuoi fare gli onori di casa, Mal?»

«Sì. Meglio non perdere tempo.»

Frugò nella bisaccia ed estrasse il disegno che gli aveva dato Venice, un abbozzo del percorso da fare all’interno della montagna. Cale, Berry e Shar si sporsero avanti, Lize invece lo degnò appena di un’alzata di sopracciglio. Mal puntò il dito sull’ingresso alle miniere.

«Il piano è molto semplice. Attaccheremo dal basso, mentre Venice farà saltare i sigilli della fortezza in alto ed entrerà da lì.»

Cale si leccò le labbra sottili.

«Perché attacchiamo da giù? C’è un nido di askilaghe, per quello che so.»

«Esatto. L’ultima spedizione, quindici anni fa, ci provò senza fare i conti con loro, e sono tutti morti. La chiave del piano è sigillare il nido e non permettere alle askilaghe di uscire. A questo penserà Shar.»

Guardò la maga e le sorrise. Ricevette solo un mugugno di assenso. Lize schioccò le dita.

«E come lo vorresti chiudere, questo nido?»

«L’unico accesso libero dopo il terremoto del ventidue è una grande caverna, appena entrati nell’impianto minerario. Facendo crollare quella…»

«Vuoi far crollare la caverna. Geniale.»

Mal si bloccò, inspirò a fondo.

«Il piano non l’ho steso io, ma Venice. Credo che—»

«Credi che conosca le montagne meglio di me?»

Lize batté due volte le sue lunghe ciglia, come fosse un segno di sfida. L’alfnar si guardò attorno. Solo Berry lo guardava, ma non riuscì a sostenere il suo sguardo. I suoi occhi erano dorati come quelli di Shar, ma c’era qualcosa, lì dentro, che Malekith aveva paura di vedere.

È colpa tua, codardo!

Fern gli sfiorò la schiena e gli fece l’occhiolino, assieme a un movimento minimo del capo, come a dire “avanti, continua”. Suo padre faceva la stessa cosa quando lui perdeva il primo assalto di una giostra. Si appoggiò con entrambe le mani sul tavolo.

«Il piano di Ven non si discute. La montagna è abbastanza solida e la caverna non è così grande. Basta coprire l’ingresso, e potremo pensare dopo alle askilaghe.»

Lize fece una smorfia sdegnosa e piantò i gomiti ossuti sul tavolo.

«Se la tua amichetta esagera, la montagna ci crollerà sulla testa. Io propongo—»

«Shar è perfettamente capace di controllarsi.» Mal abbassò il tono della voce. «C’è bisogno di dimostrarlo?»

Lize si guardò le mani. Mescolati alle striature bianche della sua pelle c’erano dei solchi, anch’essi bianchi, che le percorrevano le braccia fino alla punta delle dita.

Una Predisposta.

Poteva darsi tutte le arie che voleva, ma una Predisposta non era nemmeno paragonabile a una maga. Shar l’avrebbe spazzata via con un soffio. Lize scrollò le spalle e batté in ritirata. Arricciò il labbro e si appoggiò al muro con la schiena.

«Va bene. Seguiamo il piano.»

«Bene. Eliminiamo le askilaghe e usiamo gli elevatori della miniera per salire fino ai livelli inferiori della fortezza.»

Indicò col capo l’elvstene.

«Ci guiderà Lize, verso l’alto, finché non ci ricongiungeremo col gruppo di Venice. Anche loro hanno una guida elvsten, non dovrebbe essere complicato. Non ci sarà bisogno di fare i Valadier, solo di stare attenti. Una volta raggruppati, Ven ci darà nuovi ordini. Tutto chiaro?»

Cale e Shar annuirono in silenzio. Lize fece di nuovo spallucce.

«Trasparente, signor caposquadra.»

Berry, accanto a lui, teneva gli occhi bassi. Mal non poté fare a meno di guardare la sua mano.

È colpa mia.

Avrebbe voluto dirglielo, ma doveva mantenere il muso duro davanti a Lize.

«Bene. Andate a riposarvi. Si parte domattina all’alba.»

Rimasto solo, ordinò all’oste un bicchiere di liquore e stette al tavolo a sorseggiarlo. Scendeva in gola come piombo fuso, ma non lo scaldava. Continuava a pensare allo scintillio d’acciaio della mano di Berry. Cos’avrebbero dovuto perdere per colpa sua, questa volta? Vuotò il bicchiere, ma la domanda restava, assieme alla solita voce.

Sei un codardo.