Un tuono scosse la notte. Malekith guardava fuori dalla finestra, nel buio, la tempesta che si scatenava.

Non mi sembra un gran bel presagio.

Qualcuno si schiarì la voce alle sue spalle. Cale lo guardava, gli occhi azzurri seminascosti dai capelli.

«Permetti una parola?»

Il suo tono era gentile.

Mal gli fece segno di sedersi.

«Ma certo.»

Il ragazzo, però, restò in piedi. Era soltanto in camicia, nonostante gli spifferi che sibilavano nella sala dalle fessure delle pareti. Al fianco aveva le armi, una spada lunga e un’ascia. Un ciondolo ricurvo spuntava appena dalla scollatura sul petto. L’alfnar aguzzò gli occhi.

«Quello è un medaglione di Oorron?»

L’altro annuì.

«Esatto.»

«Un seguace della dea delle tempeste, eh? Devi essere contento del nubifragio che c’è fuori.»

«Infatti. Andavo a pregare la mia signora.»

Un lampo attraversò il cielo, un tuono rombò poco dopo. Cale alzò gli occhi su una finestra e fece un debole sorriso.

«Volevo dirti che mi è piaciuto il tuo discorso, ecco… volevo farti i complimenti.»

Malekith lo studiò. Non c’era sarcasmo nella sua voce.

Lo saprà che Berry ha perso la mano a causa mia?

«Come mai esci adesso a pregare? Sei così osservante?»

«Oorron mi concederà il coraggio per la prova di domani.» Cale strinse il ciondolo con una mano. «La tempesta accetta solo i guerrieri capaci di fronteggiarla.»

«Non dovremmo avere bisogno dell’aiuto di Oorron se il piano va come previsto.»

Cale abbozzò un altro sorriso.

«Se il piano va come previsto.»

Risero entrambi. Una risata breve e amara, identica. L’uomo aprì la bocca per dire qualcosa, ma scosse il capo e si diresse alla porta e l’aprì. Lo scrosciare della pioggia invase la sala grande.

«Stai attento, là fuori. A fare il Valadier e andare al cospetto di Oorron rischi una polmonite.»

Quello scrollò le spalle e annuì.

«Non preoccuparti, caposquadra.» Si morse il labbro, fermo sulla porta col capo chino. «Anche se mi piacerebbe essere un po’ come Valadier.»

«A chi non piacerebbe?»

Mal si accorse di quanto gli erano uscite amare quelle parole. Cale lo salutò con un cenno della testa.

«Già. Varrebbe la pena esserlo, ogni tanto.»

Era come se parlasse a sé stesso piuttosto che all’alfnar. La porta si richiuse dietro di lui. Mal si massaggiò le palpebre con le dita.

Gli è piaciuto il mio discorso, ma il piano è di Venice.

Scosse il capo.

«Ven, perché mi hai voluto come caposquadra? Non lo so come si guida la gente.»

Si prese la testa tra le mani. C’erano Venice e Fern a guidarli, a casa di Dreke, ed erano scappati per il rotto della cuffia. Con lui alla guida, Berry e gli altri potevano finire come Stan.

Codardo!

Si strinse le tempie ma la voce non passò.

Tu non vuoi tornare a casa! Volevi solo ucciderlo!

Malekith! Aiutaci!

Il volto di Alarie, le lacrime che rigavano le sue guance, emerse dai suoi ricordi.

«No.»

Si alzò. Berry era ancora in camera sua, non era più sceso. Era colpa sua, lo sapeva. Suo padre ammirava Valadier perché era un eroe, e più volte aveva risolto i conflitti solo con le parole. Salì le scale col cuore che si faceva più pesante a ogni gradino. Si costrinse a mettere un piede davanti all’altro.

È il momento di fare il Valadier, per Kell. 

 

*** 

 

Bussò alla porta più piano che poté. Rimase nel corridoio, sempre più sicuro che Berry non lo avesse sentito.

«Chi è?»

«Sono io» mormorò. «Malekith.»

Silenzio.

«Entra.»

Il mezzo-morag si era preso una camera al primo piano della locanda, piccola, ma con un letto di piume. Era seduto lì. Accanto a lui, sulle coperte, una sorta di imbracatura di cuoio e fasce d’acciaio, con attaccati il polso e la mano di metallo. Il cuore di Mal accelerò i battiti quando vide la protesi. La bocca gli era diventata un deserto.

«Malekith…»

«È colpa mia.»

Tremava, aveva la pelle fredda e non riusciva a smettere di stringere i pugni.

«È colpa mia se hai perso il braccio, è solo colpa mia.»

Berry gli sorrise.

«No. Non è vero.»

«S-sì, io…»

«No.» Il mezzo-morag si alzò e gli venne incontro, i suoi occhi fissi su quelli dell’alfnar. «Non è colpa tua.»

«Ma il tuo braccio…»

«Avrei perso molto di più se tu non fossi stato lì con me.» Gli prese la spalla con la sinistra e gliela strinse. «Non sarei qui se tu non avessi fatto l’eroe.»

Le ginocchia di Mal tremarono. Si appoggiò al muro.

«Io non sono un eroe.»

«Ven ha deciso di metterti a capo della squadra, però. E se Fern non ha fatto storie, puoi star certo che sei pronto.»

«Come sai che non ha fatto storie?»

«È stato lui a proporre la cosa a Ven.»

Mal guadò Berry con tanto d’occhi.

«Fern mi ha proposto come caposquadra?»

«Già. Non sembra, ma è una brava persona anche lui.» Fece un sorriso. «E pensare che ad Alavir…»

«Pensare cosa?»

Berry scosse la testa.

«Nulla, storia vecchia.» Tornò a sedersi sul letto. «È in camera tua che ti aspetta, voleva parlarti.»

Mal annuì più volte e afferrò la maniglia, ma si fermò.

«Grazie, Berry.»

«Per cosa?»

«Per aver creduto in me. Io… mi spiace per quello che è successo.»

«Anche a me dispiace. Ho sentito quello che è successo al tuo amico, quello della spada. Ven mi ha detto che non è finita bene.»

«È morto.»

Berry fece una smorfia contrita.

«So che hai fatto del tuo meglio.»

«È vero.» Il labbro di Mal tremò. «Ho fatto del mio meglio, e non è servito a niente. Ma stavolta sarà diverso.»

Il modo in cui Berry lo guardava gli faceva tremare qualcosa dentro.

Quanto avrei dato perché papà mi guardasse così.

Avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che avrebbe rimediato a tutto, come faceva nei sogni in cui suo padre era ancora vivo.

Avrebbe voluto, ma non ci riuscì.

Si chiuse la porta alle spalle e andò in camera, da Fern. 

 

*** 

 

Fern guardava fuori dalla finestra. La chiuse e si voltò verso Mal.

«Ti fai un goccio, caposquadra?»

Gli porse un bicchiere di terracotta.

L’alfnar lo prese e non riuscì a nascondere un sorriso.

«Guarda che lo so che sei stato tu a propormi a Ven.»

Lo spadaccino si lisciò i baffi con l’aria di chi la sapeva lunga

«Berry si è già affezionato a te, ragazzo. Anche se gli ho insegnato la discrezione, quel tipo ha il cuore troppo tenero per fare il mio lavoro.»

Fecero toccare i due bicchieri e bevvero. Il liquore alla ciliegia gli inondò il palato prima di aspro e poi di dolce.

«Te la sei cavata bene, Mal.»

«Perché ho fatto la voce grossa con Lize?»

Fern gli diede una pacca sulla spalla e andò ad appoggiarsi al davanzale della finestra.

«Precisamente. Un capo deve farsi seguire.» Si grattò il pizzetto. «Sei maturato, in questi sei mesi. Ed era giusto che lo facessi notare anche a Ven.»

A Mal venne da ridere.

«Ah sì?»

Bevve ancora e si mise di fianco all’uomo, coi gomiti sul legno. Fern vuotò il bicchiere.

«Ma non pensare che sia tutto rose e fiori, ragazzo. Mi aspetto molto da te.»

Sembrava suo padre quando diceva così; il suo profilo affilato, nella penombra della camera illuminata solo da una lanterna, era scuro quasi quanto quello di un alfnar.

«Non ti deluderò.»

Quante volte lo aveva detto a papà? Non riusciva nemmeno a contarle.

Alla fine, il risultato era solo un mare di promesse vuote che lo separavano da casa. Fern si girò e diede la schiena alla finestra.

«Sei intelligente, Malekith. Vediamo un po’: qual è la persona a cui stare più attento, nel gruppo?»

«Shar. È la più potente.»

Lo spadaccino ridacchiò, ma c’era qualcosa che non andava, non era davvero divertito.

«Certo. Ma è anche quella che resterà giù, quindi non sarà con noi nell’esplorazione. Hai notato la faccia che ha fatto la piccola elvstene quando hai detto “Sangue di Drago”?»

Mal avvampò.

«Io…»

Era il capo nemmeno da una giornata e già si era perso qualcosa di importante.

«No, non l’ho notato.»

«Fossi in te starei più attento. Hai visto che è una Predisposta?»

«Lo so. La terrò d’occhio, senza di lei non raggiungeremo mai Ven.»

«Non è solo una testa calda, ragazzo. Molto peggio.»

«Che intendi?»

Santo Kell, cos’ho tralasciato?

Fern sollevò un sopracciglio e sfoderò il suo solito sorriso.

«Osserva sempre il tuo nemico.»

«Lize non è nostra nemica.»

«Tutti sono tuoi nemici, ragazzo mio.»

Malekith incrociò le braccia.

«Davvero vedi tutti così? E Ven?»

Fernar scosse la testa.

«Mal, Mal, perché credi che uno vecchio come me faccia ancora un lavoro in cui si muore giovani?»

L’alfnar non rispose.

«Quella è a un passo dall’assuefazione al Sangue di Drago. Ne ho visti parecchi così.»

«Dici che è diventata dipendente?»

«Preciso.»

«Cazzo.» Mal si coprì la labbra con la mano. «Scusami.»

Fern scoppiò a ridere.

«Sei proprio un principino, Malekith.»

Un brivido lo attraversò da capo a piedi. Rimase paralizzato a guardare Fern.

Kell benedetto, fa che non l’abbia notato…

Lo spadaccino sollevò gli occhi al cielo.

«Fatto sta che la stiamo portando in una montagna piena di cristalli di sangue. Con tutta quella roba attorno, chissà che belle idee frulleranno in quella testolina.»

L’alfnar mollò il fiato che stava trattenendo.

«Perché mi dici queste cose?»

L’unico occhio di Fern lo guardò fisso.

«Perché, capo, se comandi ti tocca prendere decisioni difficili.»

«Che tipo di scelte difficili?»

Vuole che la uccida?

Rimasero per un lunghissimo attimo a guardarsi. Aspettava solo di sentire quelle parole. Fern ghignò e si strofinò la benda.

«Se avremo fortuna, non ci sarà bisogno di farle, ragazzo. Voglio solo sapere che sarai pronto ad agire, se necessario.»

Mal deglutì un boccone amaro.

«Te l’ho detto. Non ti deluderò, Fern.»