Ronac picchiettò l’indice di metallo contro la parete di pietra.
«Adesso conterò fino a tre, poi aprirò il passaggio. Non si aspetta che arriviate da qui.»
Fern grugnì e sguainò la daga.
«Vedete di sbrigarvi, voi due.»
Malekith accese la torcia con il cerino che gli stava porgendo Berry. «Sicuro che basterà una torcia?»
Il golem fece segno di no.
«Non basterà, ma più avanti, oltre la sala, c’è l’ingresso sulle caverne superiori. Attiratelo lì, cercate i barili di olio di pietra che usavano i minatori e dategli fuoco. Gli impedirà di rigenerarsi in fretta.»
«Rigenerarsi?»
Un urlo di dolore provenne dall’altro lato della parete di pietra.
«Non c’è più tempo.» Berry mise mano alla spada, ma il golem lo fermò con un gesto.
«Faremo in fretta, tu le gambe e io le braccia. Tutto chiaro?»
Il mezzo-morag annuì. Guardò Malekith a fondo, scuotendo un poco il capo, come se non trovasse le parole.
«Non fatevi ammazzare.»
«Tre!»
La parete scivolò di lato al tocco di Ronac.
Cazzo!
Vileen torreggiava sull’uomo che prima brandiva l’ascia, riverso a terra con la spada del colosso nel petto. Il morag con la lancia era a terra poco lontano, in una pozza di sangue. Ven era accasciato accanto a lui, ma respirava. Cale guardò Malekith, gli occhi sbarrati, il viso a metà tra il disperato e l’esausto. Dovette vedere qualcosa nell’alfnar, perché sollevò la spada sopra la testa e partì alla carica.
«Per Krissvale!»
Esagerato che fosse, l’urlo di battaglia sortì un certo effetto. Cale scagliò l’ascia e centrò Vileen in testa, prima che potesse rendersi conto di chi erano i nuovi venuti. Il giovane non si fermò, e fece come per riprendere l’arma, che volò indietro e gli tornò in mano. Vileen barcollò indietro, strappando la spada dal corpo della sua vittima. Cale lo tempestò di colpi con entrambe le armi e lo costrinse a indietreggiare. Fern scattò alla sua sinistra.
«Mal, a destra!»
L’alfnar ubbidì e affiancò il colosso, lavorando di sciabola e di torcia; un taglio, un affondo per fargli sentire il calore delle fiamme, un altro taglio. Vileen gli dava due teste, in altezza, ma era rapido come un fulmine. Con la mano sinistra dietro al busto e le gambe larghe, faceva saettare la sua lama curva e l’acciaio strideva a ogni parata. Fern riuscì a piantargli una punta nel fianco, ma il gigante non fece nemmeno un verso di dolore.
«Intrusi, i-intrusi!» La sua voce era stridula. «Vengono nel ventre della montagna a rubare, r-rubare al maestro.»
Cale ruggì e attaccò ancora più veloce, con entrambe le armi, e cercò di tagliargli la mano. Incontrò solo l’acciaio della guardia della spada. Il volto lungo e magro di Vileen tremava e scattava, senza seguire i movimenti della sua arma o dei tre aggressori. Non sembrava nemmeno che li vedesse. Le orbite circondate da occhiaie nere spostavano lo sguardo verso l’alto.
«C-come dici? No, n-non posso, devo m-mangiare anche questi. Mi serve nutrimento.»
La lingua aguzza si leccava le labbra smorte. Mal intercettò la spada di Vileen e spinse verso il basso per aprire la sua guardia, ma fu come spingere contro un muro. Il colosso liberò la lama e spazzò, per guadagnare spazio, facendolo indietreggiare. Mal sbirciò indietro con la coda dell’occhio. Ronac, Berry e Ven erano già spariti, il passaggio si era richiuso.
Perfetto. Niente via di fuga.
Cale ripartì all’attacco, e Malekith scattò di lato per colpire Vileen alla schiena. Quello si spostò all’improvviso e sferrò una pedata a Fern in pieno petto, buttandolo a terra. Mal non attese che passasse a Cale e ficcò la torcia nel fianco dell’avversario. Vileen gridò. Il suo collo magro si torse, i muscoli sotto la pelle cerea si gonfiarono. Balzò indietro. I suoi occhi, sempre sgranati, si posarono sulla fiamma.
«Il dolore è lo scopo.» La voce stridula divenne un sussurro. «Il dolore è… il mezzo.»
Si sfiorò l’ustione. Lo stomaco di Malekith si rivoltò. La carne bruciata si agitava, come se sotto la pelle ci fosse qualcosa, qualcosa che scavava per uscire.
«Il dolore annebbia e schiarisce…»
Fern, entrambe le armi puntate contro Vileen, si mosse di lato per attaccare sul fianco.
«Cosa cazzo sta dicendo?»
«Non lo so…» Cale ansimava. «È completamente pazzo.»
La testa di Vileen si voltò di scatto verso di lui, come quella di una serpe.
«Folle? Folle, dici, scarafaggio umano?»
Mal fece un passo indietro e si sforzò di non far tremare la sciabola.
«F-folle è un concetto irrilevante per un essere immortale. Per voi vermi, la follia è un baratro. N-non vedete che essa, invece, è una scala. Eleva la mente e le permette di capire. Sono queste l-le parole del maestro.»
L’alfnar fece un cenno a Fern col capo, per indicargli l’imboccatura delle grotte alle spalle di Vileen.
Dobbiamo attirarlo nelle caverne. Fosse stato pazzo sarebbe stato più facile.
Lo spadaccino stava fissando la mano destra del colosso. La sua bocca era storta in un’espressione a metà tra il disgusto e la paura.
«Kell fottuto…»
Vileen alzò il braccio sinistro.
«La follia l-le permette di espandersi.»
Le sue dita erano rosso vivo, scorticate e grondanti sangue. No, la carne si muoveva, palpitava. Non era carne. Erano centinaia di minuscoli vermi rossi, che si muovevano come un tutt’uno. Vileen prese la spada con la sinistra. Sul dito medio scintillava qualcosa: un anello d’oro. Dal soffitto provenne uno scrocchio umido. Dalle crepe tra gli archi in pietra e muratura e dalle fessure tra i mattoni stava uscendo qualcosa di rosso. Vermi. Migliaia di piccoli vermi piovvero dal soffitto.
«La follia ci rende una cosa sola.»
Malekith scattò verso l’apertura della caverna, in fondo alla sala.
«Via!»
***
Il cuore gli martellava in petto così forte da rischiare di spezzargli le costole. Rimbombava contro le pareti della caverna, il suono rimbalzava sulla roccia solcata da vene di Sangue di Drago cristallizzato. Se andava avanti così, Malekith era sicuro che Vileen l’avrebbe sentito. Si guardò dietro. Il cunicolo che aveva percorso era ancora vuoto, Cale e Fern erano spariti chissà dove. Chiuse lo sportellino della lanterna. Vileen avrebbe potuto seguire la luce. La torcia l’aveva persa nella fuga, così come aveva perso i suoi compagni. Anche senza Goccia di Aurenbeck, la grotta non era così buia. Un tenue bagliore rosato pulsava nell’aria. Non aveva mai visto il Sangue di Drago nella sua forma grezza. Non aveva idea che fosse luminoso. Una voce distorta echeggiò nella caverna.
«Intrusi, m-maestro… quando t-tornerai?»
Malekith non riusciva a capire se provenisse dal cunicolo alle sue spalle o dallo slargo che voltava a destra, davanti a lui. Era come se Vileen parlasse attraverso la roccia. Si schiacciò contro la parete e rimase in ascolto, con la spada stretta in pugno. Grazie a Kell e a tutti i Draghi, almeno quel maledetto folle non era un mago. Mal rivide la sua mano fatta di vermi, il suo corpo che fremeva dall’interno e quell’anello dorato che luccicava.
Se lo avesse il Cremisi…
In un certo senso, il pensiero di combattere quel mostro non gli stritolava la bocca dello stomaco come quello di affrontare il Cremisi.
Cozzare di ciottoli contro altri ciottoli. Vicino. Il fiato gli si bloccò nei polmoni. Qualcosa nella testa gli diceva di darsela a gambe, ma restò lì. Non era il suo trono, stavolta, la posta in gioco. Non era casa sua, la sua vendetta. Era una miniera. Una maledetta miniera. Una volta presa voleva dire avere un mago dalla sua parte. Forse due. La prospettiva di affrontare il Cremisi così era più incoraggiante. Papà avrebbe potuto essere fiero, in un modo o nell’altro. Si osservò i piedi. Stava a gambe larghe, le ginocchia un poco flesse, pronto a combattere. Tredici anni di addestramento, la memoria muscolare di un vero principe.
Peccato che il cuore sia quello di un codardo.
Re Dimas emerse dal buio, come fosse sempre stato lì.
«Sei fuggito.»
Mal fu avvolto dalle fiamme. Gli strisciarono sottopelle, ustionandogli la carne e carbonizzando la paura che provava, trasformandola in rabbia.
«Dovevo stare lì a farmi ammazzare?»
Gli occhi di suo padre si strinsero.
«Volevo che ti comportassi da principe. Un degno principe.»
«Come mio zio? Se non te ne sei accorto, tuo fratello è morto.»
«È morto con onore. Una cosa che tu sembri aver dimenticato.»
Fu come se gli avesse piantato una lama in mezzo alle costole. Mal abbassò lo sguardo e parlò a denti serrati.
«Non l’ho dimenticato.»
«Sei fuggito tante di quelle volte…»
«Ma sono ancora qui!» ringhiò. «Sono ancora qui proprio perché sono scappato così tante volte. Se questo lavoro va in porto…»
Re Dimas fece una smorfia di sdegno.
«Ti farai aiutare da un mago e quattro mercenari a recuperare il trono del nostro casato?»
Mal sputò.
«E perché no?»
Nel suo petto vorticava una nube ardente di rabbia, gli mandava a fuoco i polmoni.
«Mio fratello non l’avrebbe fatto.»
«Io non sono quel Malekith!» Gli andò a un palmo dal viso, anche se suo padre non poteva essere davvero lì. «Tu vorresti che fossi un Malekith che non c’è più. Ma io non sono come tuo fratello.»
Se lo fossi stato, Stan sarebbe ancora qui.
La carezza del suo vecchio amico tornò a sfiorargli la guancia. Malekith sentì il suo sangue scorrere sulle mani e strinse più forte la sciabola. Rivide il braccio di Berry tagliato di netto, il volto di Lize esplodere.
Mi dispiace.
«Dispiace anche a me.»
Re Dimas arricciò il naso e si allontanò di un passo.
«Ma allora tu, Malekith, chi sei?»
Chi sei?
Il giovane indietreggiò come se gli avesse dato uno schiaffo. Qualcosa nelle sue orecchie riverberò, assordandolo.
«Chi sono…?»
«G-già.» Una voce stridula si piantò nei suoi timpani. «Chi sei, p-piccolo alfnar?»
Mal scattò indietro, ma Vileen non lo attaccò. Venne avanti piano, la spada nella destra. Sollevò la sinistra, dietro di lui ci fu una serie di schiocchi umidi. Delle askilaghe lunghe quanto la gamba di Malekith strisciarono fuori da dietro la svolta.
«Nel v-ventre della montagna, smarrito e r-ritrovato…» Vileen guardava in alto, era come se parlasse a sé stesso. «Trovato, tornato… maestro Calat… niente intrusi.»
Spazzò verso la testa di Mal.
Kell benedetto!
L’alfnar si abbassò ed evitò per un soffio la decapitazione. Si voltò e corse via, nel cunicolo da cui era venuto. Alle sue spalle, solo un mare di askilaghe e suoni viscidi.
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