Gli erano addosso, le sentiva accanto ai piedi. Un’askilaga gli si gettò tra le gambe e lui cadde. Il terreno gli graffiò le ginocchia, ma lui non si fermò.
Era quasi all’imbocco delle miniere. Dietro di lui, un altro di quei mostri squittì. Mollò una falciata con la sciabola. La lama le spaccò la specie di spina dorsale che il corpo gelatinoso conteneva. Malekith ruzzolò a terra. Vileen balzò a un passo da lui. Lo afferrò alla gola con la sinistra e lo sollevò come se non pesasse nulla. L’alfnar rabbrividì. I vermi che componevano la mano del colosso gli si dimenavano contro la pelle.
«M-mi piace, quando scappano. Ci piace, quando scappano.»
Il suo alito gli fece venire un conato. Sapeva di sangue e carne marcia. Nella sua bocca, tre arcate di denti aguzzi come lame fecero accapponare la pelle dell’alfnar.
Kell santissimo!
Mal gli affondò la sciabola nel costato. Per tutta risposta, Vileen strinse di più, spremendogli l’aria dalla gola. Qualcosa si schiantò contro la sua tempia. Il colosso barcollò, l’ascia di Cale piantata nel cranio. L’arma uscì dalla carne marcia con un suono umido e volò indietro, nella mano del giovane cassadoriano. Vileen gettò a terra Malekith. Centinaia di vermi si contorsero l’uno sull’altro per rimarginare la ferita.
«Affrontami, bastardo!»
Cale puntò le sue armi verso il gigante, ma guardò l’alfnar, gli occhi azzurri spiritati. Gli fece un cenno con la testa, come a dirgli di spostarsi. Mal guardò in alto. Fern era su una delle piattaforme di legno della miniera, sopra di loro, col piede appoggiato su un barile e una fiaccola in mano.
«Ehi, pezzo di merda!»
Diede un calcio al barile e lo fece precipitare su Vileen. Il colosso lo spaccò al volo con una falciata della spada. Una cascata di olio nero lo investì.
Fern saltò giù e atterrò a due passi da lui, accucciandosi sulle ginocchia. Malekith capì. Rotolò su un fianco e si mise a correre. Fern lanciò la fiaccola addosso a Vileen.
«Brucia, bastardo.»
Corsero, uno accanto all’altro, il rombo delle fiamme nelle orecchie che si mescolava alle grida di Vileen. Mal aveva i polmoni che bruciavano.
«Dove andiamo adesso?»
Fern non si guardò alle spalle.
«Che ne so?»
Qualcosa colpì Malekith alla schiena con tanta forza da farlo volare in avanti. Atterrò sul pavimento sporco di terra della grande sala circolare. L’impatto col suolo gli scosse tutte le ossa. Un dolore sordo gli si spanse nel petto, sotto la brigantina. Tossì, le costole gemettero. Sputò per terra, la polvere negli occhi e la spada ancora stretta in mano. Si voltò. Vileen, la carne ustionata e piena di bolle, piantò un pugno in pieno petto a Cale, tanto forte da schiantarlo a terra. Il ragazzo vomitò sangue, la spada gli sfuggì di mano. Lo sciame di piccole askilaghe strisciò verso di lui. Fern evitò al pelo un fendente, parò una spazzata usando sia la daga che la spada. Vileen diede una spinta e lo sbilanciò, lo spadaccino incespicò all’indietro. Piantò la punta della sua lama sotto la spalla del colosso, ma quello la ignorò. Lo colpì con un manrovescio, Fern cadde.
Mal vide quello che sarebbe successo dopo, vide la spada di Vileen tranciargli la gola, il sangue zampillargli sul collo, giù dalle labbra e sulla barba. Lo vide morire, come suo padre.
«No!»
Caricò a testa bassa, la spada così stretta in mano da fargli male. Si mise tra il colosso e Fern e mulinò la sciabola sopra la testa più veloce che poté. Attaccò alto, poi falciò sul fianco, alla gamba, di nuovo alla testa, alla mano. Vileen parò senza neanche indietreggiare. Fece scattare la lama per spiccargli la testa, come prima. Malekith se lo aspettava. Si abbassò, piantò la sciabola nel suo ventre pallido.
E adesso? Cosa ci ho guadagnato a fare l’eroe?
Fern aveva qualche altro secondo di vita. Se riusciva a rialzarsi e a scappare, forse un minuto. Alle sue spalle giunse il rumore della pietra che scivola sulla pietra. Con la coda dell’occhio, colse un movimento sulla parete da cui erano entrati.
Vileen strappò la spada dal suo corpo e la gettò via. Calò un fendente, un fulmine. La spalla di Mal esplose di dolore. Lui si accartocciò sulle ginocchia, il gigante gli diede un calcio in petto e lo scagliò via. Fern era ancora a terra. Non aveva guadagnato nulla.
Passi, accanto alla sua testa. Passi pesanti. Shar torreggiava sopra di lui. Gli rivolse solo un’occhiata.
«Mi servirà una mano contro questo… coso.»
Mal provò a parlare, ma dalle sue labbra non uscì un suono. La spalla era metallo fuso piantato nella carne. Vileen alzò il capo da Fern e puntò la maga. Lei aprì la mano. Sul palmo levitarono cinque cristalli di Sangue di Drago grossi quanto l’unghia di un mignolo.
«Farà male. Preparati.»
Cos—?
Una scintilla attraversò i cristalli, che volarono in aria e si fiondarono nella ferita di Malekith, dove la spada di Vileen aveva sfondato d’armatura. Tutto diventò bianco, ardente. Una scossa gli attraversò la carne, le sue ossa scrocchiarono, tutte assieme. Mal si contorse, ingoiò terra senza nemmeno riuscire a urlare il suo dolore. Nelle sue orecchie ronzavano suoni acuti.
L’incendio dentro al suo corpo cessò. La pelle gli formicolava. Davanti a lui, per terra, c’era il pugnale nero che Shar aveva trasformato in una lancia, nelle caverne ai piedi della montagna. Mal allungò il braccio. Non faceva più male, la spalla era solo indolenzita. Strinse il pugnale. L’immagine della lancia gli attraversò la mente, il manico fremette sotto le sue dita e si allungò.
La lancia di Espya.
Una mano metallica lo prese per il braccio.
«Berry…»
Ronac lo tirò su.
«Una donzella davvero fenomenale, signor Malekith.»
Shar danzava tra le fiamme, i piedi nudi e gli occhi ardenti. Attorno a lei, le askilaghe bruciavano. Schivò la lama di Vileen. Lui tentò un rientro e lei afferrò la spada a mani nude. L’acciaio sbeccato e sporco di sangue le si sbriciolò tra le dita. Una ridda di energia attraversò il petto di Malekith. Si ritrovò a correre, la lancia salda in mano. Vileen si chinò ed evitò il soffio di fuoco della maga, le assestò un pugno che la fece piegare in due. Mal gli centrò la testa con un affondo.
«Vaffanculo, mostro.»
Strappò la lancia, balzò indietro e lo tempestò di attacchi, alle articolazioni, alle gambe, al busto. Non gli faceva nulla, ma lo teneva occupato. Abbastanza da far soffiare Shar.
Una nube di fiamme investì il suo braccio destro e lo carbonizzò in un battito di ciglia. L’urlo del gigante fu più acuto stavolta. Buttò indietro la maga con un calcio e alzò la mano sinistra. Il braccio destro non stava più ricrescendo. L’anello brillò. Mal frustò l’aria con la lancia, la lama mozzò la mano all’altezza del polso. Prima ancora che cadesse a terra, l’alfnar la calciò via, lontano.
«No! No! No!» Vileen gli si gettò addosso e lo schiacciò per terra. «Il mio dono! I-il dono del maestro!»
La mano mozzata si dimenò e zampettò come uno schifoso ragno di carne. Un piede di pezza la schiacciò a terra. Ronac la raccolse e la tenne stretta per non farla scappare.
«Signora maga, se vuole favorire…»
La lanciò in aria, Shar inspirò e soffiò un getto di fiamme. Furono cenere prima di toccare il suolo, la mano e l’anello. Vileen guardò il golem, la bocca semiaperta.
«Tu…»
La sua carne si sciolse, la pelle volò via come fatta di carta. Il suo cranio piovve sull’armatura di Malekith e rimbalzò via, assieme alle altre ossa.
Kell onnipotente benedetto, sia santificato il tuo nome. Un fottuto miracolo.
L’alfnar fece per alzarsi ma non ci riuscì. Non sentiva più le braccia. Non sentiva più niente, a dire il vero. Gli pareva di essere un’incudine. Aprì la bocca, ma la lingua restò incollata al palato. La caverna divenne sfocata, la luce sempre più chiara. Sbatté le palpebre. Era una sua impressione o Shar, vista da quell’angolazione e con quegli occhi infuocati, sembrava proprio un drago?
Mi piacerebbe conoscere un drago…
La luce si spense, e non ci furono più né draghi, né Shar, né niente.
Scrivi un commento