Una banda di straccioni.

Quasi due settimane a letto e quella frase gli rimbombava nel cranio ogni volta che restava solo nella stanza. Malekith si tirò su. A stare mezzo seduto sul materasso il sedere iniziava a dolergli. Fuori dai vetri opachi della finestra, il fianco della montagna era una macchia sfocata, grigia e bianca. La spalla faceva ancora male. Secondo Ronac e Ven, l’unico motivo per cui il suo braccio stava ancora dove doveva stare era l’incantesimo fatto da Shar. Si grattò al testa con la sinistra.

La sognava ogni notte, e durante il giorno aspettava di vederla entrare dalla porta della sua camera. Non era mai successo, e Mal sapeva anche perché. Venice gli aveva detto che era andata via. Tutto quello che restava di lei era il suo pugnale nero, appoggiato sul mobile della toletta, davanti al letto. Sbuffò e si spostò sul bordo del materasso. Anche attraverso il tappeto che lo copriva, il pavimento era freddo. Shar, la sua carta migliore per eliminare il Cremisi, era andata via. Non aveva avuto il tempo di parlarle. Non aveva avuto il tempo di ringraziarla.

Si mise in piedi e andò verso la stufa che c’era nell’angolo della stanza. Il braccio destro, appeso al collo dalla fasciatura, penzolava sul petto. Prese il paio di scarpe che qualcuno aveva lasciato ai piedi della stufa, tornò sul letto e le infilò.

Non basterà Venice a rimettermi sul trono.

Non erano una banda di straccioni, ma la realtà era quella. Non poteva portare due maghi con sé. Senza contare che, quando pensava a Shar, le farfalle ricominciavano a volargli nello stomaco. 

 

*** 

 

La fortezza fremeva di attività. Doveva essere stata così, quando Calat era ancora vivo. Mal si appoggiò al muro per far passare un trio di uomini carichi di piccole cassette di legno. I loro passi, sul tappeto scuro che portava alle stanze di Ven, si sentivano appena. Lo superarono e scesero giù per la scala a chiocciola. Lui, invece, proseguì dritto e svoltò a destra. La porta della stanza era semiaperta, la spinse e non cigolò nemmeno sui cardini.

«Cale, mi dispiace immensamente.» Venice si mordeva il labbro inferiore, seduto dietro alla scrivania. «Io non so come aggiustare quella macchina.»

Il giovane cassadoriano dava le spalle a Malekith. Aveva il capo chino, i lunghi capelli castani penzolavano verso il basso. Annuì piano.

«Me lo avevi promesso…»

Il volto di Venice s’incupì ancora di più.

«Lo so. Ho un debito con te che non potrò ripagare, Cale, e mi vergogno di non poter mantenere la mia parola. Troverò una soluzione, te lo prometto.»

Gli occhi color rame del mago si alzarono e notarono Malekith. L’alfnar si strinse nelle spalle.

«Scusate, non intendevo origliare.»

Cale fece un debole cenno con una mano.

«Non preoccuparti. Non è nulla di importante, ormai.»

Si sollevò dalla sedia come se avesse avuto cent’anni.

«Se sono ancora vivo lo devo a te, Mal.»

Scosse il capo e fece per uscire.

«Cale, quella macchina, lo Scavamente…»

«È rotta.» Il tono del giovane si fece amaro. «Irrimediabilmente rotta.»

«Serviva a tuo padre?»

Cale lo guardò con l’espressione di un bambino che sta per piangere. Annuì piano, senza riuscire a parlare. Mal gli appoggiò la sinistra sulla spalla e gli sorrise.

«So cosa si prova quando c’è di mezzo un padre. Ma uno col tuo coraggio sarà presto il favorito di Oorron.» Gli strizzò l’occhio. «E, come dicono le leggende, sono poche le cose che un Figlio della Tempesta non può fare.»

La luce tornò a illuminare il viso di Cale. Abbozzò anche lui un sorriso.

«È un onore sentirlo da uno che si è battuto come Valadier in persona.»

Qualcosa, dietro al volto di Malekith, prese fuoco. Una vampata di calore gli incendiò il corpo, dovette trattenersi per non mettersi a saltare sul posto. Aprì la bocca a vuoto per un paio di volte, senza trovare le parole giuste.

«Io… grazie, amico.»

Venice si avvicinò con passo leggero. Nessuno avrebbe mai indovinato quante costole rotte aveva solo due settimane prima.

«Cale, ti giuro sull’onore dei Chastaine che farò ogni cosa in mio potere per aiutarti. Mi serve solo tempo.»

«Lo capisco.»

«Se vuoi metterti in viaggio, cerca Berry e il circo. Almeno saprò dove trovarti e ti terranno fuori dai guai.»

Il giovane fece sì con la testa.

«Confido in te, Ven. Che Odec ti guidi.»

«Che guidi anche te, Cale.»

Li lasciò soli e sparì lungo il corridoio. Il mago tornò alla scrivania.

«Siediti, Mal. Come stai? Le costole migliorano?»

«Non in fretta come le tue.»

L’alfnar occupò la sedia e si appoggiò allo schienale. Ven congiunse le punte delle dita. La sua scrivania era ingombra di carte e pergamene, alcune così ingiallite che dovevano essere vecchie di secoli, altre invece fresche di pomiciatura. Su una, ancora arrotolata, c’era il sigillo della corona gardairiana, impresso nella ceralacca dorata.

«Devo dire, Malekith, che sono stupito. A dir poco stupito, per essere sincero.»

«Potevo fare meno stronzate.»

Gli venne l’istinto di coprirsi la bocca, ma soprassedette. Dopo tutto quello che aveva passato, si era guadagnato persino il diritto di bestemmiare. Ven rise di gusto e batté una mano sulla scrivania.

«Amico mio, hai salvato la pellaccia pure a Fern. Penso che ci siano solo un paio di persone al mondo a cui quel vecchio bastardo dovrebbe più riconoscenza.»

«Davvero?»

«Sì. E sono contento che mi abbia raccomandato te. La vecchia volpe ci aveva visto lungo.»

«Almeno un occhio gli funziona ancora.»

Risero entrambi. Le costole mandarono una scarica di dolore nei polmoni e Mal smise. Si schiarì la gola con un colpo di tosse.

«E Berry? La sua mano?»

«L’innesto è andato alla perfezione. Non immagini quanta roba fosse ancora nascosta qui.»

«Beh, siamo i primi a venirci in cento anni.»

«Motivo per cui ho un sacco di lavoro da fare. Grazie a Kell, Calat almeno era un architetto fenomenale. L’intera miniera è pronta a funzionare, dobbiamo solo ripulire alcuni settori.»

«Tutto con l’aiuto del re, immagino.»

Ven sfoggiò un sorriso a trentadue denti.

«Il re mi ha concesso il controllo completo della produzione, a patto che la distribuzione passi attraverso le regie burocrazie.»

Strofinò tra loro indice e pollice.

«Guarda bene, Malekith. Questo è il momento in cui la casa Chastaine inizia a rifarsi un nome.»

«Ven, io avrei un favore da chiederti.»

«Anche cento, per te.»

L’alfnar si umettò le labbra. Le farfalle presero a vorticare nel suo stomaco.

«Io vorrei andare a cercare Shar. Sai… sai dove si trova?»

Il mago fece segno di no con la testa.

«Temo sia difficile raggiungerla. Shar non è una persona che ama farsi trovare. Non dice mai dove va, mi hanno riferito che è partita in fretta e furia.»

«Ma ha lasciato il suo pugnale. Se torna a prenderlo…»

Venice abbozzò un sorriso, come per addolcire le sue parole.

«Forse, Mal, e dico forse… voleva solo che lo avessi. Credo tu le stessi simpatico.»

Il giovane deglutì un boccone amaro. Le farfalle avevano già smesso di volare. 

 

*** 

 

Bussarono alla porta, tre colpi secchi. Mal ruotava il braccio destro per sciogliere un po’ i muscoli. Si voltò e Venice spalancò la porta.

«Malekith!»

«Che succede?»

C’era un sorriso raggiante dipinto sul volto del mago.

«Shar è ai piedi della montagna. Mi hanno appena mandato a chiamare.»

L’alfnar scosse piano il capo, senza capire. Il suo stomaco fremette.

«Vuole parlare con te, Mal.»

Afferrò il pugnale dalla toletta e si fiondò nel corridoio. Gli elevatori erano stati rimessi tutti in funzione la settimana prima, grazie a Ronac. Mal batteva a tempo il piede sul metallo, l’ascensore pareva precipitare. Ci mette la metà del tempo, a scendere, o così diceva il golem. All’alfnar pareva comunque troppo. Schizzò via non appena l’elevatore toccò la piattaforma ai piedi del pilastro di roccia. Shar era fuori dall’imboccatura della miniera, avvolta in un pesante mantello scuro. Il vento freddo le artigliava i ricci. Gli uomini di Ven la ignoravano, non osavano nemmeno guardarla. Mal la salutò con la mano e si tirò su il colletto della veste imbottita.

«Shar, sei tornata.»

La donna annuì. C’era qualcosa nel suo sguardo, o forse nel modo in cui teneva storte le labbra, che la faceva sembrare dispiaciuta.

«Sei ancora vivo.»

L’alfnar restò spiazzato.

«Beh, sì. Grazie a te, per essere giusti.»

Lei scosse il capo.

«Non volevo restare. Avevo…» Era come se si stesse sforzando di parlare. «Temevo fosse colpa mia. Stavi a letto, non ti muovevi. Per giorni…»

«Solo tre giorni, il quarto mi sono svegliato.»

«Ti ho lasciato il pugnale. Te l’ho lasciato.» La sua voce roca era bassa. «Così se ti svegliavi, ci pensavi. A me, intendo.»

Mal sorrise.

«Avrei pensato comunque a te, Shar.»

Lei si fece un po’ indietro e sbatté le palpebre, come se le avesse sputato in faccia. Lo fissò, gli occhi spalancati, e le sue guance divennero un po’ più rosse. Lui le porse il pugnale per il manico, ma lei rifiutò con un gesto della mano.

«È per te. A me non serve.»

«Lo conserverò come il più prezioso dei regali.»

Shar rimase in silenzio a lasciarsi passare addosso il vento. Mal non sapeva cosa dire, quindi infilò il pugnale tra la cinta e la veste. La maga tossì nel pugno.

«Bene. Io vado.»

«Vai via?»

A meno che dorma nelle miniere, non può restare qui.

«Sì. Vado al Bosque Doré. Sai dove si trova?»

«Sì. Sì, lo so.»

Lei deglutì e parlò secca, come se volesse troncare la conversazione.

«Bene. C’è una strada che dal villaggio va verso est. È la più veloce.»

Le farfalle nello stomaco gli si dovevano essere infilate pure nel cervello, perché Malekith non trovò niente da dire. Lei gli voltò le spalle.

«C-che Odec ti guidi.»

«Anche a te, Mal.»

L’alfnar rimase lì a farsi schiaffeggiare dal vento.  

 

***  

 

«E nulla, ha detto che andava ed è andata. Dritta verso il Bosque Doré.»

Venice, a braccia conserte davanti alla finestra del suo studio, sgranò gli occhi.

«Ti ha detto dove andava?»

«Al Bosque Doré, sì. Faceva la strada per le colline verso est…»

«Malekith, lo sai quante volte Shar ha detto a qualcuno dove andava?»

«Ven, io non…»

«Zero.»

«Zero?»

«Zero.» Il mago gli sorrise. «Prendi subito la tua roba e corrile dietro.»

L’alfnar non se lo fece ripetere. Si fiondò per i corridoi e giù per le scale, scansò un domestico, due manovali e uno degli affrescatori solo per rischiare di schiantarsi contro Ronac, che aspettava davanti alla porta della sua stanza.

«Quanta fretta, signor Malekith.»

«Sto per partire, sono più che di corsa.»

Il golem aprì la porta.

«Permettetemi di aiutarvi con i bagagli. La spalla ha completato la sua guarigione?»

«Sì. È solo un po’ indolenzita.»

Mal prese lo zaino e lo gettò sul letto. Aprì la cassapanca e prese a tirar fuori i vestiti.

«Dove andate con tanta furia, se mi è permesso l’ardire?»

«Al Bosque Doré.» Mal tirò fuori il pesante mantello di lana. «Vado con Shar.»

«Con la maga? Oh, delizioso. Una vera forza della natura, quella Shar, siano benedetti i Draghi e il loro sangue.»

«Sì, lei è… incredibile.»

Ronac inclinò un poco il capo. Infilò un paio di camicie nello zaino.

«Vi attrae, non è vero? Il suo potere.»

L’alfnar fece spallucce.

«Beh, non solo… e poi, chi non ne sarebbe attratto?»

«Individui diversi bramano cose diverse. La vera natura di una persona trova sempre il modo di venir fuori, signor Malekith.»

«Chiamami solo Malekith, ti prego.»

Ronac fece una riverenza.

«Tanta confidenza mi lusinga.»

«Senza di te non avremmo mai avvertito Shar. Hai anche la mia gratitudine, oltre alla mia confidenza.»

Mal diede uno strattone alle cinghie dello zaino. Sfoderò la sciabola, passò il dito sopra il filo. A chi importava se non era più così affilata? Ci sarebbe stata Shar, con lui.

«Tu dove andrai, Ronac?»

«Da nessuna parte.» Il tono del golem era piatto.

«Non vuoi andar via da qui? Ci sei rimasto rinchiuso per quasi un secolo.»

«Appunto. Non c’è nulla per me lì fuori.»

«Ma… tutti vogliono tornare a casa.»

«Le mie figlie sono morte, Malekith. Mia moglie anche. Tutto quello che mi resta del mio passato sono queste vecchie mura e le ricerche di Calat. È quello che mi interessa. Si possono usare per un fine buono.»

Mal lo guardò dritto nei fori della maschera di metallo.

«Ti interessa stare qui a lavorare con Venice?»

«Io faccio quello che mi riesce meglio. Seguo la mia natura. Come te con quella ragazza. Nemmeno tu sei diretto alla tua casa, no?»

L’alfnar sentì come una stilettata.

Non sto abbandonando il trono. Devo solo…

Ronac fece spallucce e gli porse il mantello.

«Andare contro la nostra natura non porta altro che sofferenza, mio giovane amico. Uno come te deve avere un motivo molto forte per seguire una donna del genere. Evidentemente Shar tira fuori la tua vera natura, Malekith. Qualunque essa sia.»

Lui prese l’indumento, la lana grezza gli pizzicò i palmi delle mani.

Qual è la tua natura? Chi sei, Malekith?

Le dita di metallo del golem si poggiarono sulla sua spalla.

«Non restare qui a cincischiare, forza.» Fece un cenno con la testa, come per incoraggiarlo. «È sempre meglio seguire sé stessi, Malekith. Siamo gli unici che non possiamo mai ingannare davvero.»