Fern si arrestò davanti a un edificio basso, con i muri che necessitavano di una nuova intonacatura. In alto, sopra la porta, era inchiodata una stanga di metallo con i ganci, di quelle per tenere le insegne delle locande, ma era vuota. Mal lo seguì dentro. Lo scalino davanti alla porta cigolò quando ci mise piede. Si appoggiò al muro e l’intonaco gli rimase sulle dita. Fern si schiarì la gola.

«Ven? Ho portato il ragazzo.»

All’interno, la locanda era l’esatto contrario della facciata. Una grande sala con una buca per il fuoco al centro e il soffitto alto, sorretto da colonne di legno lucidato. I tavoli erano tutti ammassati in fondo, tranne uno, vicino al bancone. Lì seduti c’erano un mezzo-morag dalla pelle verde chiaro e una massa di ricci neri in testa e un uomo, con una fiaschetta davanti, che si massaggiava le tempie. Fern diede a Malekith una pacca sulla schiena.

«Giovane Malekith, ti presento il mio amico, Venice Chastaine.»

L’alfnar trattenne il fiato.

Il mago! Quello che conosceva Raviolo!

L’uomo si sfregò la faccia con le mani e alzò gli occhi. Erano arancione scuro, cerchiati da profonde occhiaie. Non dimostrava più di trent’anni, i capelli e la barba castani erano ben curati.

«Piacere, Malekith.» Chastaine aveva la voce impastata. «Siediti.»

Mal obbedì all’ordine e prese posto davanti a lui. Fern prese un’altra sedia e si mise accanto al mago. Salutò il mezzo-morag con un cenno del capo.

«Come te la passi, Berry?»

Quello fece spallucce. Dalla camicia mezza sbottonata fece capolino il pettorale, coperto da un grande tatuaggio colorato.

«Come stamattina, Fern.»

Tese la mano a Mal e gli strizzò l’occhio. Le sue iridi avevano il colore dell’oro appena lucidato.

«Piacere, amico.»

Mal strinse la mano e si leccò le labbra, nervoso. Abbozzò un sorriso.

«Allora, cosa dobbiamo—»

Chastaine lo interruppe con un gesto della mano.

«Quando sono in città non mi piace perdermi in chiacchiere. Perché eri da Dreke? Come mai ti hanno buttato fuori a calci?»

L’alfnar si addossò allo schienale della seggiola.

«Tu come lo sai?»

«Lo so. Rispondi.»

Fern gli fece un sorriso che doveva essere incoraggiante, ma Malekith sentì comunque un formicolio di tensione dietro la nuca.

«Ero… stavamo esplorando un ipogeo. Ero con un tuo collega, un uomo di nome Georgie.»

Chastaine alzò appena le sopracciglia.

«Intendi forse Raviolo?»

«Sì. Lui mi ha detto di andare da Jeno Dreke. Avevo delle statuette d’oro che poteva piazzare sul mercato.»

Fern ridacchiò.

«Questo spiega perché ti hanno preso a calci in culo. E pure perché ti seguivano.»

Chastaine intrecciò le dita e chiuse gli occhi. Una smorfia sofferente gli attraversò il volto.

«Dov’è Georgie, adesso? Dreke vorrà fargli la pelle.»

Le labbra di Malekith tremarono.

«Georgie è morto durante l’esplorazione. Sono sopravvissuto solo io.»

«Oh. Mi dispiace.» Il mago si massaggiò la radice del naso. «Ma Dreke non ci avrà creduto.»

«No, infatti. Mi ha preso tutto, le statuette, la sciabola…»

«Ho capito. Sei in collera con lui?»

Mal strinse il pugno, le unghie gli scavarono nel palmo.

«In collera? Voglio spaccargli la faccia, voglio…»

La rabbia gli salì dentro la gola, impedendogli di trovare altre parole. Immaginò di schiantare la guardia della sciabola sul grugno di Dreke più di una volta.

Esattamente quello che farò al Cremisi.

Chastaine sbuffò e si strofinò di nuovo la faccia.

«Bene. Adesso devo fare una cosa, ragazzo. Farà più male a me che a te, fidati.»

Le sue iridi avvamparono, come fossero due dischi di metallo arroventato. Una scossa attraversò la schiena di Malekith.

«A-aspetta, cosa stai…?»

Fu come se gli avessero piantato un chiodo incandescente nella tempia. La testa divenne pesante, prese a pulsare a ritmo col suo cuore. Mal si strinse il cranio con le mani. Il fuoco gli scivolò dentro al cervello, strisciò sotto il cranio.

«Ti prego, fallo smettere…»

La sua stessa voce era distante, ovattata. Di colpo, il dolore alla testa cessò. Fu come una folata di vento fresco. Chastaine grugnì di dolore, a denti stretti. Mise una mano sugli occhi e inspirò a fondo, buttò fuori l’aria un paio di volte. Afferrò la fiaschetta e tracannò un sorso.

«Grazie a Kell, non c’è quasi nessun altro mago ad Alavir.» Sospirò. «Scusa i miei modi, ragazzo. Non è una branca in cui sono un asso.»

Fern diede una pacca sulla spalla a Chastaine, strappandogli una smorfia.

«Avevo ragione, Ven? Ci possiamo fidare?»

Il mago annuì.

«Ci sono molti segreti in quella testa, ma non ci sta mentendo su Dreke.»

Mal rabbrividì.

«Cosa hai visto?»

«Non preoccuparti, non ho sbirciato nei tuoi segreti.» Fece un debole sorriso. «Non posso permetterti di spaccare la faccia a Dreke, ma di sicuro lo fotteremo in un modo che ricorderà finché campa. Ci stai?»

Fern aveva riassunto il lavoro in una manciata di parole lungo la strada per la locanda.

Entrare in casa di quel bastardo e svaligiargli la camera blindata.

«Ho una condizione.»

Chastaine sollevò un sopracciglio, sospettoso.

«È per la paga?»

«No, non mi interessano i soldi.»

Mal inspirò a fondo. Se faceva questo passo, oltre che un tombarolo sarebbe stato anche un rapinatore, un criminale a pieno titolo.

Papà si rivolterebbe nella tomba.

Ma era l’unica, vera occasione di salvare Stan. L’unico modo di tornare a casa.

«Se lavoro per voi, voglio… devi aiutarmi a salvare un mio amico. Con la magia.»

«Salvare da cosa?»

«Una spada, credo… una maledizione. Da quando l’ha impugnata è impazzito, ha ucciso—»

Si morse la lingua. Meglio non dire che il sangue di Raviolo stava sulle mani di Stan. Chastaine si passò la mano sulla barba, gli occhi socchiusi.

«Posso provarci. Non ti do altre garanzie.»

Malekith sentì un peso togliersi dal petto.

«Allora sono dei vostri.»

Il mago si voltò verso Fern.

«Tu garantisci che il tuo piano…?»

Lo spadaccino esibì il suo sorriso sghembo.

«In questi tre anni, quante volte seguire un mio consiglio si è rivelato sbagliato?»

Chastaine si alzò in piedi e aggirò il tavolo.

«Speriamo che questa non sia la prima.»

«Ven, devo ricordarti quanto cazzo sia difficile trovare qualcuno che si metta contro Jeno Dreke, in questa città di merda?» Fern batté la mano sulla spalla di Berry. «E per di più, il giovane Malekith, qui, è l’unico tra noi che parla bene il myrhyan. Ci serve.»

«Lo so.» Il mago strinse la mano di Malekith. «Benvenuto a bordo, allora. Berry ti spiegherà tutto. Ci vediamo stasera.»

Chiamò con un gesto lo spadaccino e andò alla porta.

«Che io sia maledetto se resto in questa città un giorno di più.»

Fern lo seguì e si chiuse la porta alle spalle.

Il mezzo-morag si alzò.

«Bene, ora che i due chiacchieroni se ne sono andati, è il momento di bere. Birra?»

Mal annuì.

«Sì, per carità.»

Berry saltò oltre il bancone. Era più basso di lui, ma il suo fisico atletico non mentiva.

«Perfetto. Ora beviamo, poi vedrò di darti una sbarbata.»

Detto così, l’alfnar pensò fosse una minaccia.

 

***

 

Malekith si tastò la nuca. Non portava i capelli così corti da quando era un bambino. La sua chioma, che prima gli arrivava oltre le spalle, adesso era per la maggior parte sul pavimento.

«C’era davvero bisogno di tagliarmeli tutti?»

Berry prese una scopa e spazzò via i capelli bianchi, cacciandoli in un angolo.

«Mi spiace, avevi dei gran bei capelli. Però la maschera non ti sarebbe mai stata addosso, con tutta quella roba. Hai fame?»

«Da morire.»

Il mezzo-morag rise.

«Abbiamo uova, pancetta, pane e—»

«Va benissimo.»

Quasi due anni lontano da palazzo gli avevano insegnato ad accontentarsi. Berry prese un tegame largo, uguale a quello che si portava dietro Stan, e andò al fuoco che bruciava già da un’ora. Smosse le braci con un attizzatoio e appoggiò il tegame sulla griglia. Le fiamme si erano abbassate, solo ogni tanto quel che rimaneva dei ciocchi lasciava uno scoppiettio. Girò attorno al tavolo e prese dalla sua borsa un pezzo di pancetta lungo una spanna e una pagnotta scura. Malekith sbirciò il gigantesco fiore colorato che aveva tatuato sul petto.

«Che cos’hai lì?»

«Il tatuaggio, intendi?»

Berry andò dietro al bancone, si abbassò e tornò su con quattro uova. Mal tossicchiò.

«No, dico sotto. Le ho notate quando mi tagliavi i capelli. Sembrano cicatrici…»

Il mezzo-morag si irrigidì. Si abbottonò in fretta la camicia.

«Non è niente. Non farci caso.»

Tornò al fuoco. Presto la pancetta iniziò a sfrigolare, e così anche le uova. Berry tagliò due fette di pane e le mise sulla griglia ad abbrustolire, in silenzio. Mal se ne rimase al tavolo, incerto se aprire un nuovo argomento. Quando era con Stan era sempre lui a parlare per primo. Si ritrovò a fissarsi i palmi delle mani, che tremavano appena. Come aveva potuto abbandonarlo?

Codardo.

Alzò gli occhi. Per un momento, nella penombra della locanda, suo padre lo guardò con disapprovazione. Berry gli depositò davanti una scodella col pane immerso nelle uova ancora morbide e la pancetta accanto.

«Buon appetito.»

«Grazie, Stan.» Mal si morse la lingua. «S-scusami, volevo dire…»

Il mezzo-morag fece spallucce.

«Un tuo amico?»

Mal rimase a guardare il piatto, senza riuscire a rispondere. Annuì. Berry fece un mezzo sorriso.

«Ho capito. Cambiamo argomento.»

«L’ho abbandonato. È… è per lui che mi serve l’aiuto di Chastaine.»

«Mi pareva. Mi spiace, Mal. Posso chiamarti Mal?»

«Sì. Anche lui mi chiamava così.»

«Beh, se vuoi la mia visione della cosa, Mal, non l’hai affatto abbandonato.»

L’alfnar strinse i pugni.

«Sì invece. L’ho lasciato…»

«Ma la prima cosa che hai chiesto a Ven è stata di salvarlo, o no? Non hai nemmeno voluto parlare della paga.» La voce di Berry era gentile. «Non devi mica fare per forza il Valadier per salvare qualcuno. A questo servono gli amici.»

Malekith aprì la bocca per rispondere, ma non gli venne niente. Aveva un calore al centro del petto, qualcosa che non riusciva a identificare. L’altro indicò il piatto.

«Mangia, che si fredda.»

Mal attaccò il cibo. La consistenza del pane abbrustolito sotto i denti gli fece ricordare quanto aveva fame.

«Non ne so molto di magia,» Berry masticò un pezzo di pancetta, «ma, per quel che vale, credo che Ven possa salvare il tuo amico.»

«È molto potente?»

«Meno di altri maghi, a quanto ho capito, ma è preciso, a differenza di tanti altri. Nessuno lavora bene quanto lui.»

Mal inghiottì, si pulì le labbra col dorso della mano e la strofinò sui calzoni, curando di non farsi vedere.

«Cos’aveva prima?»

«È lo stare in città. Non giudicarlo male, è una brava persona, ma in città diventa intrattabile.»

«È per il campo di Aurenbeck? Non pensavo che facesse tutto quell’effetto.»

Berry buttò giù l’ultimo boccone di pane.

«Basta che ci sia un altro mago a meno di sette-ottocento metri, e Alavir non è poi così grande. E quando usa la magia, peggiora.»

«È per quello che beve dalla fiaschetta? È una pozione?»

«Un suo intruglio, sì.» Berry si picchiettò l’indice sulla tempia. «Una specie di calmante per la mente.»

«M-ma questa notte, allora come…»

Il mezzo-morag scosse piano la testa, con un sorriso dolce.

«Fidati di Venice, Mal. lui ha sempre un piano per tutto.» Il suo volto si adombrò. «Stavolta ne fai parte anche tu.»

«Che intendi?»

L’altro scosse il capo.

«Nulla, che è strano lavorare con qualcuno di nuovo. Per tutto questo tempo siamo stati solo io, Fern e Venice.» Tornò a sorridere. «Ma spero di continuare a lavorare anche con te. Mi sei simpatico.»

Mal si grattò la testa, le guance si scaldarono un poco.

Io spero di arrivare a domattina vivo.