Berry si muoveva per le stradine con la sicurezza di uno stadnalv. La notte ammantava da ore la città, ma i muri e le strade irradiavano ancora il caldo del giorno. Malekith si asciugò la fronte con la manica. Anche senza brigantina, era già sudato come un animale. Accanto a lui, Venice camminava a capo chino, gli occhi sull’acciottolato. Fern teneva la lanterna. Si infilarono in un vicolo e svoltarono a sinistra, scesero una scalinata stretta tra due case e sbucarono in una strada che costeggiava il grande canale in cui passava il Felanse. Fern spense il lume e quella notte senza luna li avvolse. Passarono rasenti a un muro che prima doveva essere stato un argine, e si nascosero alla sua ombra. Gli occhi di Malekith si stavano abituando al buio. Berry srotolò il rampino.

«Andiamo.»

Scavalcarono l’argine e si avvicinarono al retro della casa di Dreke. Il mezzo-morag fece roteare il rampino e guardò in alto, verso il balcone del terzo piano. La corda frustò l’aria e il gancio di ferro volò su, Mal lo perse di vista. Il rampino ricadde a un pelo da Fern.

«Cazzo» sibilò lo spadaccino.

Berry lo rilanciò, ci fu un clang metallico. Diede due strattoni alla fune e quella restò lì.

«Speriamo che il tuo amico ci abbia lasciato aperto» sussurrò a Fern.

Iniziò la scalata, Chastaine aspettò che fosse arrivato in cima. Ci fu un rumore che pareva il tubare di un piccione e il mago salì la corda. Fern prese Malekith per il braccio.

«Sei pronto, ragazzo?»

Lui esitò.

Benvenuto nel mondo dei fuorilegge. La taglia sulla testa ce l’avevi già, dopotutto.

Dreke era un ricettatore di oggetti rubati, in fondo. Quanto poteva essere illegale rubare a un criminale?

Aspettò che la corda smettesse di ondeggiare per i movimenti di Chastaine e prese a salire. La fune grezza gli graffiava i palmi. Mal si aiutò con i nodi che aveva fatto Berry. La sciabola, appesa a tracolla, sbatacchiava appena. Ogni clack dell’elsa contro la bocca del fodero sembrava più forte del rintocco di una campana. Si aggrappò alla ringhiera, Chastaine lo prese sotto l’ascella e lo aiutò a tirarsi su. Berry spinse con cautela la porta-finestra, che ruotò sui cardini senza fare rumore. Fern li raggiunse in silenzio. Sul balconcino si stava a malapena, ma lui sganciò il rampino e recuperò la corda.

La porse a Berry e prese la bandana legata alla cintura. La indossò, sistemando i buchi per gli occhi e curando di non spostare la benda sull’occhio mancino. Malekith lo imitò. Seguì Fern e Chastaine, Berry rimase a chiudere la fila. Entrarono in un corridoio immerso nella penombra: a destra c’era una porta chiusa, a sinistra una rampa di scale. La scesero piano, tenendosi rasenti al muro, mezzi accucciati. Lo spadaccino alzò un pugno e tutti si fermarono. Delle voci dall’accento straniero si fecero più vicine. Malekith strinse il pugnale. Non c’era abbastanza spazio per la spada. Due alfnar passarono loro davanti, dandogli le spalle. Quello a destra, il più basso, parlò in myrhyan.

«Quindi la sorella di Galen ha baciato Tyr?»

L’altro ridacchiò.

«Per me hanno fatto parecchio di più.»

Uscirono dalla stanza senza voltarsi, ma Malekith continuò a trattenere il fiato, per sicurezza. I suoi polmoni erano come congelati. Fern abbassò il pugno e riprese a scendere.

Arrivarono al primo piano, in una stanza con delle teche di vetro riempite di pugnali da cerimonia, collane, catenelle d’oro e altri gioielli. Malekith l’aveva intravista quella mattina, prima di essere scortato da Dreke. L’aria era immobile, i vestiti gli si appiccicavano addosso. Fern diede un’occhiata in giro e sgusciò tra le teche. Si accostò alla massiccia porta a due battenti che stava sul lato largo della stanza. Fuori dalle finestre giungeva il mormorio sommesso del canale. Fern bussò. Un colpo, tre, due, tre. Il battente si aprì, una lama di luce arancione illuminò le teche. Un alfnar stempiato, con una cicatrice sotto l’occhio, sbirciò attorno e fece un gesto stizzito con la mano. Mal seguì i suoi compagni, Berry si chiuse la porta alle spalle.

Era una saletta piccola, il soffitto coperto a volta, solcato da travi di ferro scuro che si innestavano nei mattoni, come delle costole metalliche. Un altro alfnar stava riverso su una seggiola, russava appena.

«Mi avevate detto di essere in tre, Fern.»

Quello che aveva aperto la porta aveva una voce nasale, fastidiosa.

«Il nostro amico si è aggiunto all’ultimo, Ruben.» Lo spadaccino fece spallucce ed esibì il suo sorriso sghembo. «Il tuo amico è sistemato?»

Ruben si voltò a guardarlo.

«Gli ho dato tanto di quel sonnifero da…»

Fern guardo Chastaine e indicò l’alfnar con un cenno del capo. Si appoggiò un dito sulle labbra. Il mago annuì, socchiuse gli occhi. Mal smise di sentire quello che diceva l’alfnar. La sua voce era sparita, anche se lui muoveva ancora le labbra. Fern afferrò Ruben da dietro e gli serrò la gola con l’avambraccio. Se lo strinse al petto e diede una secca torsione col busto, ma non ci fu nessun rumore. Lo lasciò, il corpo crollò senza emettere un suono. Malekith si irrigidì, la bocca spalancata. Una ragnatela di brividi gli strisciò lungo la schiena. I passi di Fern tornarono ad avere un suono. Anche se erano leggeri, dopo quel silenzio innaturale sembravano martellate sul pavimento. L’uomo girò dietro all’alfnar addormentato e spezzò il collo anche a lui. Chastaine boccheggiò, e si passò le mani sulle tempie. Berry appoggiò la mano sulla spalla di Mal, che si scostò di scatto.

«Va tutto bene?» bisbigliò.

L’alfnar strinse i denti e si impose di non tremare. Annuì. Fern si avvicinò e lo prese sottobraccio. Si accostò al suo orecchio.  «È la prima volta che vedi un collo spezzato?»

«Sì. Quanti…quante altre volte…?»

Chastaine si voltò stizzito dal fondo della stanza. «Shh! Devo concentrarmi» sibilò.

Accennò alla porta di metallo che chiudeva la stanza. Era rotonda, più alta di un uomo. Una cinquantina di bocche di demoni urlanti con le zanne scoperte erano scolpite nel metallo, disposte a cerchi concentrici.

«Queste sono fatte apposta per rilevare la magia diretta. Mi ci vorrà molta concentrazione, o faranno tanto macello da svegliare l’intera città.»

Fern annuì e spostò l’alfnar morto dalla seggiola. Si sedette e accavallò le gambe. Chastaine si rimise a fissare la porta. Sfiorò con le dita una delle bocche e quella iniziò a contorcersi e a bisbigliare. I denti si serrarono e si aprirono, scattarono come per tranciargli le dita, ma il mago le tolse, seccato. Chiuse gli occhi, prese a borbottare tra sé e tornò a sfiorare il metallo. La bocca sussurrò ancora un po’, le labbra si aprivano sempre meno. Infine, si chiuse e Venice passò a quella successiva. Mal si sedette per terra.

Speriamo non ci siano altre sorprese.