Estate, 1237 A.D.
La notte era calata troppo presto, e a Malekith quel buio non piaceva proprio per niente.
Mi hanno trovato.
Se ci fosse stato il sole, l’uomo alle sue spalle avrebbe avuto un volto. Così, invece, era solo una grossa ombra col mantello. Anche con i lumi accesi per strada non riusciva comunque a vedere sotto quel cappuccio.
Il cuore gli batteva contro le costole.
Mi hanno trovato.
Stan, incurante di tutto, gli camminava accanto. Malekith lo afferrò per il braccio e lo tirò a sinistra, nel primo vicoletto che c’era.
«Ma che—»
Mal fece segno al compagno di fare silenzio.
«Ci stanno seguendo» sibilò.
Stan cambiò faccia. Strinse l’impugnatura della spada, i muscoli si contrassero. Mal afferrò la sua sciabola, pronto a scattare fuori dalla penombra, ma il compagno lo trattenne per una spalla. Il rumore di stivali sul selciato rimbalzò tra le pareti del vicolo, si allontanò un poco. La figura ammantata attraversò la strada e bussò a una porta. L’uscio si aprì su una stanza invasa dalla luce di un focolare. Una donna, minuta come un topolino, saltò ad abbracciare l’uomo. I due entrarono e la luce scomparve, soffocata dal battente. Stan scaricò la tensione con un sospiro e ridacchiò.
«Mal, non era niente.»
Malekith non riusciva a lasciare l’impugnatura della sciabola, la stringeva tanto forte che tremava. Gli mancava il respiro. Stan posò la sua mano dalla pelle chiara su quella nero inchiostro dell’alfnar.
«Va tutto bene. Non era niente.»
La morsa che opprimeva i polmoni di Malekith si sciolse, il giovane sbuffò tutto il fiato che aveva in corpo. Si appoggiò con la schiena al muro, ansimando.
«S-scusa Stan, io…» scosse il capo. «È questa storia dell’incontro alla taverna. Non mi piace.»
Lasciò la sciabola, ma Stan continuò a tenergli la mano. Anche se c’era ancora un caldo umido, che bagnava di sudore il cranio rasato di Stan, Malekith aveva freddo.
«È tutto a posto, non ci segue più nessuno da Pont Brune. Sei mesi, Mal, sei mesi.»
«Sì, lo so, lo so.»
«Alla taverna ci saranno solo quei miei amici. Il lavoro ci serve, Mal.»
L’alfnar si passò le mani tra i capelli bianchi. Stan gli parlava come se fosse un bambino. Possibile che non capisse quanto era pericoloso girare per taverne con una taglia come la loro sulla testa?
Una taglia come la mia. Lui mi sta solo aiutando.
«Lo so che ci serve. Lo so meglio di te. Ma non mi piace.»
«Sono persone fidatissime. Certo, forse Astrid potrebbe dare qualche problema, ma…»
Mal si irrigidì.
«Problema? Chi è questa Astrid?»
Stan sorrise e gli prese il volto tra le mani.
«Tranquillo.»
I loro volti erano a meno di un palmo. Stan dischiuse un poco le labbra, come se volesse sussurrare qualcosa. Mal si ritrasse e l’uomo si bloccò. Gli lasciò il volto e fece un passo indietro.
«Santo Kell, io…» chinò il capo, contrito. «Altezza, vi prego di perdonarmi. Non avrei mai dovuto—»
«Non mi devi chiamare Altezza.»
Quella parola gli ricordava troppe cose.
Malekith! Aiutaci!
Mal si aggrappò ai mattoni del muro alle sue spalle e scacciò le grida dalla sua testa.
«Sono solo Malekith, Stan. Solo Malekith, per te.»
Il suo amico annuì.
«Avete… hai ragione. Chiedo scusa.»
Teneva gli occhi bassi, come un cane bastonato. Era alto quasi come Mal, ma stava con le spalle così curve che pareva un bambino in confronto all’alfnar.
«Non ti preoccupare.» Gli diede una pacca sulla spalla e abbozzò un sorriso. «Mi potrai chiamare Altezza quando mi avrai riportato a casa. D’accordo?»
«Te lo prometto, Malekith. L’ho giurato sia a mio padre che al tuo.»
Mio padre.
«Andiamo» tagliò corto Mal.
Uscì dal vicolo e accelerò il passo verso la taverna in fondo alla strada. Pensare a suo padre, adesso, era l’ultima cosa che voleva fare.
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