Mal si aspettava una bettola piena di tagliagole dallo sguardo truce. Quella che aveva davanti, invece, era un posto alla buona e silenzioso. Il fuoco che ardeva nella buca al centro della stanza tingeva di arancione la grande sala. L’alfnar seguì Stan verso il fondo di una tavolata che poteva ospitare una trentina di persone. Lì, invece, ce n’erano solo tre.

«Sono loro.» Stan salutò con la mano e alzò la voce. «Ti sei già sbafato tutto, Raviolo?»

Il più vecchio dei tre, con la barba bianca e la pelle abbronzata, si alzò e gli venne incontro.

«Staniel, oramai sei l’unico al mondo che mi chiama Raviolo.»

Era grosso come un orso, addirittura più alto di Malekith. Cinse Stan con le braccia e lo sollevò di una spanna da terra. Lo rimise giù e strinse la mano a Mal.

«E tu sei quel giovanotto di cui Stan mi ha tanto parlato.»

L’alfnar si preparò a sentire le ossa della mano sbriciolarsi. La stretta dell’omaccione, invece, fu gentile. Una donna pallida e con i capelli color prugna sbiadito si sporse sul tavolo alle spalle di Raviolo.

«Ce lo fai conoscere o vi faccio preparare una camera, Georgie?»

L’omaccione strizzò l’occhio a Mal.

«Arriva subito, Astrid. Attenta, carino com’è potrebbe essere il tuo tipo.»

L’alfnar le si sedette davanti e lei lo guardò con sufficienza, sollevando appena il sopracciglio. Stan andò a mettersi accanto a lei, dall’altro lato del tavolo, e Astrid si spostò sulla panca, stizzita. Raviolo riprese il suo posto a capotavola, accanto a un klyn, tozzo come tutti i suoi simili. Questi si accarezzò la barbetta rossiccia e guardò Mal con i suoi grandi occhi color perla.

«Ti chiami Malekith, giusto?»

La sua voce monocorde gli fece correre un brivido dentro le ossa.

«Sì.»

Più guardava quegli occhi immoti e più nella sua testa si faceva strada il pensiero che quello sguardo lattiginoso potesse scrutargli la mente. Il klyn scoprì due file di denti bianchissimi in un sorriso.

«Io sono Teagan. Vuoi bere qualcosa, Malekith?» Parlava piano, a bassa voce, come se gli stesse dicendo un segreto. «Stavo giusto andando a prendere un altro giro.»

Mal deglutì.

«Ti ringrazio, io… una birra, per me. Grazie.»

Quello si alzò e trotterellò via.

Alto, per essere un klyn. Passerebbe per un uomo parecchio basso, se non fosse per quegli occhi inquietanti da…

Astrid fece schioccare le labbra e abbatté il bicchiere di coccio sul tavolo. Le sue mani erano coperte da guanti di tessuto scuro che si intonavano alla veste a maniche lunghe.

«Questo, quindi, è il tuo uomo, Stan?» Diede di gomito al giovane e fece un sorriso acido. «La sa tenere in mano, una spada?»

Stan rispose con uno sguardo di superiorità.

«Te lo assicuro, Astrid. Non hai mai visto nessuno combattere come lui.»

Raviolo tossicchiò in direzione di Malekith.

«Stan ti ha accennato qualcosa riguardo al lavoro, ragazzo?»

«Ha detto che si trattava di un ipogeo.»

Raviolo fece un basso fischio e sfregò le mani.

«Guarda un po’, finalmente qualcuno che usa le parole giuste.» Batté la mano sul tavolo. «Ottimo! Se non fossimo acculturati, saremmo solo dei tombaroli, dico io.»

«Avevo capito fosse solo un’impresa di scavo.»

Malekith rivolse un’occhiataccia a Stan che si strinse nelle spalle con aria colpevole.

Kell benedetto, in cosa ci siamo cacciati?

Teagan appoggiò il vassoio delle bevande sul tavolo e si risedette accanto a Mal. Si stiracchiò e si scrocchiò le dita.

«Non è proprio legale, lo concedo. La farò breve: si tratta di uno dei laboratori di Calat il Folle. Ne avrai studiato, immagino.»

Mal ebbe un mezzo singulto.

Di bene in meglio! Un giro a fare i ladri di tombe nell’ipogeo di un negromante. Perfetto.

«Lo conosco. Mi sembra molto… pericoloso.»

Teagan faceva dei piccoli cerchi con l’indice tozzo sul legno del tavolo.

«Potrebbe esserlo, non lo nascondo. Per questo stiamo cercando un quinto membro, bravo con la spada e intelligente, soprattutto. Nessuno ti chiede di fare il Valadier della situazione, a massacrare mostri con la spada in pugno.»

Mal fece un sorrisetto forzato.

«Non era proprio mia intenzione.»

«Bene.» Teagan congiunse le punte delle dita. «Le spacconate lasciamole a chi vuole imitare Valadier, allora.»

Raviolo si sporse sul tavolo, appoggiando i gomiti.

«Il punto è che l’appalto è scaduto due mesi fa. Teeg era con la spedizione, dice che c’è un passaggio che non hanno controllato per grane burocratiche. Mancavano i permessi.»

Il klyn annuì.

«Lì sotto c’è qualcosa, ne sono sicuro. Parlo di tesori, roba grossa. Non abbiamo trovato niente in tutto il laboratorio, quindi deve essere lì per forza.»

Mal si mordicchiò una pellicina accanto all’unghia del pollice. Il nome di Calat evocava, nella mente di chiunque, sia grandi pericoli che grandi ricchezze. Prese il boccale e buttò giù una sorsata di birra amara dopo l’altra.

Come torno a casa senza soldi?

Incrociò lo sguardo di Stan. I suoi occhi grigi parlavano, dicevano non c’è altro modo. Dopo due anni di fuga, i fondi nascosti erano finiti.

Smetti di scappare, codardo.

La voce di suo padre gli si fece strada nella mente come una coltellata. La affogò con un’altra sorsata di birra.

«Parliamo dei guadagni. Quanto pensate di farci?»

Raviolo drizzò il capo, come se non si aspettasse quella domanda. Astrid, invece, fece una smorfia che poteva sembrare un sogghigno.

«Dritto al punto, il ragazzo, eh?»

«È giusto.» Teagan annuì piano. «Non posso esserne sicuro, ma secondo me, tra tutto quello che riusciamo a vendere, possiamo fare come minimo un migliaio di scudi, milleduecento.»

Malekith si leccò le labbra.

Abbastanza da comprarsi due cocche cariche di seta. O per assoldare una compagnia di mercenari.

«Mi sembra buono. Tu che dici, Stan?»

Il suo amico sbatté le palpebre più volte, confuso.

«Io… sì, è… sono un sacco di soldi.»

Raviolo batté le mani.

«Così ti voglio, Staniel. Allora, ci state?»

«Stai calmo, Georgie.» Astrid schioccò le dita. «C’è una cosa da vedere, prima.»

Teagan annuì di nuovo, più secco. La donna scolò la sua birra e piantò gli occhi scuri su Malekith. Sfoderò un sorrisetto.

«C’è da vedere come combatte questo qui.» 

 

*** 

 

La lama di Stan cozzò contro la sua. La vibrazione del metallo riverberò nei muscoli di Malekith, che indietreggiò di un passo. Stan si rimise in guardia alta, la spada a due mani sopra la testa. Mal aspettò con l’arma davanti a sé, il fiato corto.

Non voglio fargli del male.

Raviolo, Teagan e Astrid, però, erano lì a fissarlo. La donna, con le braccia conserte, scosse piano il capo. Stan lo aveva incensato come uno spadaccino prodigioso; naturale che adesso, a vederlo solo parare e indietreggiare, quella si sentisse delusa.

Che delusione che sei, eh Malekith?

Strinse più forte la sciabola.

«Stan, non trattenerti solo perché è il tuo amichetto!»

La risatina con cui Astrid chiuse la frase fece scattare qualcosa in Stan. Si voltò verso di lei ma tornò subito su Mal, con gli occhi sbarrati. Le torce sul retro della locanda gli disegnavano strane ombre sul volto. Calò un fendente alla testa dell’alfnar, deciso come un colpo vero. Mal schivò di lato, Stan lo incalzò. La sua lama falciò l’aria, diretta alla sua gola. Malekith deviò con la sciabola appena in tempo.

Stan, cosa stai facendo?

Stan lo spinse di nuovo indietro, a un passo dal muro. Non poteva più scappare.

Stan è la tua chiave per tornare a casa.

La voce di suo padre prese di nuovo il posto. La spada di Stan calò ancora, dritta verso la testa.

Malekith!

Mal si accucciò. La lama graffiò la parete e ci si incastrò, gli diede un istante. Ruotò su sé stesso e si tolse dalla traiettoria del colpo. Mollò una falciata di piatto, sulla mano di Stan.

«Ah!»

La sua spada cadde a terra, l’uomo abbassò gli occhi per seguirla e si trovò la sciabola di Malekith appoggiata alla gola.

La frustata del verme. Così lo chiamava papà.

I polmoni di Malekith pompavano aria come due mantici. Fece un passo indietro senza staccare gli occhi da quelli, sgranati, di Stan.

«I-io non volevo…» mormorò.

L’uomo si voltò, a braccia spalancate.

«Che vi dicevo? Un vero maestro!»

Raviolo e Teagan applaudirono, il klyn sorrise.

«Davvero notevole, in effetti.» Si voltò verso Astrid. «No?»

La donna batteva piano le mani, il rumore si sentiva appena. Sul volto aveva dipinta un’espressione strana, quasi amareggiata. Abbassò gli occhi e si morse le labbra. Dissimulò con un sorriso tirato.

«Va bene, lo ammetto. È bravo.»

Mal sospirò. Le mani gli tremavano, rinfoderò la sciabola per non darlo a vedere. Stan riprese la spada e gli diede una pacca sulla spalla.

«Ti fa male?»

Fece segno di no.

«Non preoccuparti. Te l’avevo detto che sarebbe andata alla grande.»

Astrid si avvicinò, i tacchi degli stivali grattarono sulla ghiaia.

«Fareste bene ad andare a dormire, ora.» Guardò fisso Stan e gli strizzò l’occhio. «Sempre che dormiate.»

Stan aprì la bocca come per dire qualcosa, ma si fermò e scosse il capo. La puntò con l’indice.

«Astrid, tu—»

«Me lo dirai domani, Staniel.» La donna gli voltò le spalle e tornò dagli altri due. «Andate a dormire. Ci ritroviamo qui alla stessa ora, domani.»

Mal li osservò andare via con il cuore pesante.

«In cosa ci siamo cacciati…»

Stan tornò a sorridere, come al suo solito.

«Non ci siamo cacciati in niente. Tempo una settimana e avremo duemila scudi da parte.»

Mal fece di sì con la testa.

«E casa sarà un po’ più vicina.»

Gli venne da ridere.

Stan è la tua chiave per tornare a casa.

Chissà cosa avrebbe detto suo padre, ora che stava per diventare un tombarolo.

Qualcosa dentro al suo cuore si incrinò.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire di nuovo anche solo uno dei suoi rimproveri. Ma era troppo tardi.