La sala del trono del palazzo di Espya era sempre stata fredda. Malekith rabbrividì sotto la veste di seta porpora, ma rimase a capo chino. Re Dimas, assiso sul trono, lo fissava dall’alto, come un falco. Mal sentiva i suoi occhi piantati addosso.
«Mi dispiace…»
«Non ho sentito.»
Mal chinò di più la testa, come se avesse preso una bastonata.
«Mi dispiace.»
«Ti dispiace.» Poi rimase in silenzio. Le dita tamburellavano sul bracciolo del trono. «Guardami.»
Il volto magro di re Dimas, nero come il carbone, era delineato dalla perfetta barba bianca. I lineamenti duri e affilati lo facevano sembrare una statua. Mal avrebbe voluto correre da lui, salire i gradini e abbracciarlo, lì sul trono. Ma rimase fermo.
«Sono deluso da te, figlio.»
Non riuscì a reggere quello sguardo. Abbassò gli occhi.
«Molto deluso da te. Sin da quando tua madre ci ha lasciati, mi sono preso carico io della tua educazione. E tu mi fai questo?»
«Padre, ti prego… io…»
«Il linguaggio.» La voce del re era secca. «Si parla così al tuo re?»
«No, vi chiedo perdono.»
«Non ti ho cresciuto per essere un codardo, Malekith. Tu porti il nome di mio fratello.»
«Lo so! Ma adesso ho trovato degli alleati!» Mal avanzò verso il trono, a braccia spalancate. «Ora non sono più solo, potrò—»
«Torna al tuo posto.»
Il secco indice del re puntò il rettangolo di marmo verde da cui era uscito Malekith. Il ragazzo vi tornò sopra.
«Tu non hai trovato niente. È stato Staniel a fare tutto.»
Mal si sentì svuotare.
«M-ma io—»
«Stan è l’unica cosa che ti può riportare qui. A finire quello che hai lasciato incompiuto.» Il re alzò una mano. «Le senti, Malekith?»
Malekith! Aiuto!
Le grida delle cugine gli tagliarono i timpani fin dentro al cervello.
Aiutaci!
La sala del trono era fatta di ombre, le colonne erano fumo nero. Alfnar senza volto tiravano le ragazzine per le braccia. Uno aveva afferrato Alarie, di non più di dieci anni, per i capelli. Nella sua mano scintillava un pugnale.
Malekith! Ti prego!
«Ci hai abbandonati.» Re Dimas si alzò in piedi. «Sei fuggito.»
Mal non riusciva a muoversi. Il marmo gelido gli aveva congelato le gambe.
«Padre! Alarie!»
Allungò la mano verso la cugina, ma era dall’altra parte della sala. Il fumo inghiottì lei e le altre cugine.
«Padre, te lo giuro! Tornerò a salvarle, lo prometto.»
Gli occhi di re Dimas si riempirono di lacrime.
«Ti ho cresciuto come un eroe, e tu sei solo un codardo. Dove ho fallito con te?»
La gola sottile del padre si aprì in una fontana di sangue.
«No!»
Malekith lottò per staccare le gambe dal marmo, ma era come una statua su un plinto. Non riuscì a muoversi di un millimetro.
Malekith!
Aiutaci!
Il sangue inondò la stanza, divenne un mare rosso che continuava a salire e salire.
«Ti ho cresciuto per essere un eroe, Malekith.»
Il liquido gli lambì le guance, un’onda cremisi si alzò sopra di lui.
«Ma sei solo un codardo.»
***
Malekith annaspò per prendere fiato. Il lenzuolo di lino grezzo gli si era appiccicato addosso, lo strangolava. Rotolò giù dal letto e ingoiò aria, ancora e ancora. Lame di luce pallida filtravano dalle imposte. La mano di Stan gli si posò sulla spalla.
«Mal! Stai bene?»
L’alfnar continuò a inspirare ed espirare. Il battito del cuore si stava calmando.
«Ho fatto un incubo.»
«È tutto finito, tranquillo.» Stan si sedette davanti a lui, sul pavimento. «È per il lavoro? Hai paura che—»
«No, non è il lavoro. È una cosa, u-una cosa che ho fatto.»
Stan fece il suo sorriso più rassicurante e gli batté la mano sulla spalla. Risalì e gli tolse i capelli appiccicati alla faccia. Malekith deglutì a fatica. Aprì la bocca, ma non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce. Si accostò all’orecchio di Stan e strinse i denti.
Codardo.
«Quando sono scappato, la notte che… la notte che il Cremisi uccise mio padre, la mia guardia mi portò via, per fuggire dai tunnel assieme al resto della famiglia.»
Stan respirava piano, quasi tratteneva il fiato per non perdersi neanche una sillaba.
«Gli uomini del Cremisi ci avevano già trovati. Ci siamo divisi, i-io sono—»
Si interruppe, un groppo alla gola gli impediva di parlare.
«Le mie cugine erano dietro di me. Mi chiamavano, e io sono scappato via. Sono solo un codardo, Stan. Mio padre lo sapeva.»
«È tutto passato, Malekith.»
Stan gli prese il volto con una mano.
«Tu non sei più il ragazzo che è fuggito. Tu sei il principe che sta per tornare. Ti ricordi quello che mi hai detto?»
«Ho detto tante di quelle cose…»
«Tu mi hai detto che saremmo stati come re Gilbert o Agaveth la Mezzosangue. Che ci saremmo ripresi il trono con la spada in pugno. Saremmo diventati come Valadier.»
Negli occhi di Stan brillava qualcosa, una luce che, nonostante tutto, fece sorridere Mal.
«Te l’ho promesso, Malekith, sul mio onore e su quello di mio padre che ti ha affidato a me. Io ti riporterò a casa» sussurrò. «Ci vorrà del tempo, ma Georgie conosce le persone giuste, e loro conoscono altre persone, addirittura dei maghi.»
Mal strinse il pugno con rabbia.
«Avere dei maghi dalla nostra sarebbe perfetto» mormorò. «Qualsiasi cosa, pur di farla pagare al Cremisi. Dovessi resuscitare Calat il Folle in persona.»
Stan era vicino, a meno di un palmo dalle sue labbra.
«Ce la farai, e io sarò con te.» I loro nasi si sfiorarono. «Sarò sempre con te.»
Stan pareva ondeggiare appena, ora si allontanava un istante, ora era più vicino, sempre più vicino. Le assi fuori dalla stanza cigolarono. Mal si voltò di scatto e afferrò il pugnale accanto al letto. Restò accucciato, la lama vicino all’avambraccio. Un altro cigolio, un altro ancora, e il suono di passi che scendevano e scale. Mal guardò gli scuri.
«Dev’essere l’alba.»
Si sedette e appoggiò la schiena contro il bordo del letto. Stan lo guardava mordicchiandosi un labbro. Sorrise.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
«Cercherò di dormire ancora un po’, Stan.» Mal si strinse nelle spalle e scrocchiò il collo a destra e a sinistra. «Ci aspetta una nottata impegnativa.»
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