La lastra di pietra scivolò giù e scomparve nel pavimento con un rumore leggerissimo. Teagan sogghignò.
«Lo sapevo. Quel Calat era un maledetto genio, ma io gli faccio concorrenza.»
Malekith si schiarì la gola.
«E adesso? Entriamo, spade alla mano, e ammazziamo tutto ciò che si muove?»
Astrid ridacchiò.
«Pressappoco.»
Lei e Raviolo caricarono le balestre e posizionarono i dardi. Mal controllò che la sua lanterna facesse luce come quelle degli altri e sfoderò la sciabola.
«Chi sta davanti?»
«Tu e io.»
Teagan saggiò il filo della sua spada. Aveva un solo tagliente ed era più corta di quella di Mal, ma pareva più pesante, visto quanto era spessa la lama sul dorso non affilato.
«In mezzo stanno Raviolo e Astrid, Stan chiude la fila.»
Raviolo notò lo sguardo preoccupato dell’alfnar e rise.
«Tranquillo, eviteremo di bucarvi la schiena.»
Il corridoio era basso e squadrato, le mura prive di decorazioni. C’era un freddo che si appiccicava alla pelle e strisciava fin dentro le ossa. Mal tirò su col naso.
«Credo che sia il posto giusto, Teeg.» Nonostante bisbigliasse, il vocione di Raviolo rimbombò lungo il corridoio. «Questo mi sa di accesso a un laboratorio segreto. Avevi detto che non avevate trovato sarcofagi ematici, giusto?»
Teagan annuì. Mal si leccò le labbra, nervoso.
«Ehm, cosa sono questi sarcofagi?»
«Beh, sono dei dispositivi di oricalco che Calat utilizzava per far crescere—»
Astrid interruppe Raviolo con uno sbuffo.
«Ne vuoi vedere uno, chiacchierone? Eccolo.»
Entrarono in una stanza semicircolare, il soffitto a cupola avvolto nelle ombre che le lanterne scalfivano appena. La parete dritta era solcata da una fessura al centro, che disegnava la sagoma di una porta. Astrid sollevò la lanterna e illuminò un oggetto alto più di un uomo, tutto dorato. Pareva una donna stilizzata, i fianchi larghi e le forme arrotondate.
«Incredibile!» Stan strabuzzò gli occhi. «È tutto d’oro!»
Raviolo scosse la testa.
«No, è oricalco. Attento, è pericoloso.»
Il sarcofago si agitò. Mal strinse la sciabola e balzò indietro. Un pezzo di metallo saltò via da quella che pareva una serratura al centro dell’oggetto e rimbalzò per terra. Il coperchio cadde in avanti con uno schianto. Alla luce delle lanterne, una creatura rosso sangue strisciò fuori dal sepolcro, accompagnata dall’odore di sangue marcio.
Era un verme enorme, grosso quanto una persona, e aveva numerosi arti falciformi fatti d’osso. Astrid gridò e sparò un dardo dritto nel corpo dell’abominio.
Ecco cosa ci faceva crescere Calat!
Il proiettile si piantò nella carne gelatinosa del mostro, che sibilò e si lanciò su Mal e Teagan. Questi saltò di lato, ma l’alfnar non fu così pronto, e incespicò indietro.
Fauci irte di zanne gli si chiusero a un palmo dal viso. Gridò e falciò di pura forza con la sciabola, che tagliò una fetta del muso della creatura. Dalla ferita schizzò un liquido rossastro, semitrasparente e pieno di vermicelli che si agitavano.
Il mostro sibilò ancora e fece scattare avanti una zampa, Mal si chinò sotto l’attacco e schivò per un pelo, lo spostamento d’aria gli scompigliò i capelli. Rotolò sul pavimento, ma l’essere lo inseguì e cercò di colpirgli le gambe con le zampe, che però graffiarono solo il pavimento.
Stan comparve dietro alla creatura e abbatté la lama sul suo dorso.
«Lascialo stare!»
Il verme gorgogliò e si girò di scatto. Sferzò Stan con la coda, scagliandolo via. La spada rimase piantata nella carne piena di vermi.
«Stan!» Mal si rimise in piedi e tagliò il fianco del mostro. «Brutto bastardo!»
L’essere fece uno squittio viscido e una delle sue falci d’osso passò a un dito dal volto dell’alfnar, piantandosi nella sua brigantina. Le piastre metalliche fermarono l’attacco, ma il colpo fece barcollare Malekith indietro.
«Via, ragazzo!» La voce di Teagan venne da dietro il verme.
Qualcosa volò in alto e scoppiò sulla schiena della creatura. Il mostro squittì così forte da sembrare un grido. Le fiamme avvamparono sulla sua carne come fosse stata unta di petrolio. Roteò su sé stesso per spegnere il fuoco e Malekith vide il suo corpo sfaldarsi e avvizzire, virare dal rosso al violaceo al marrone. Sotto i piccoli vermi e la carne marcia affiorarono ossa bianchissime, un’intera colonna vertebrale. La creatura si puntellò con le zampe e cercò una nuova preda.
Malekith non le diede il tempo.
Sei un codardo.
Prese la rincorsa e saltò.
Non sei un eroe.
Atterrò sul dorso del mostro che era ancora coperto dalle fiamme. Non tentò nemmeno di stare in equilibrio.
Te lo faccio vedere io un eroe.
Crollò avanti, tutto il peso sulla spada. La punta si piantò tra due vertebre e le spezzò. Mal cadde di faccia e il mostro con lui. Rotolò via, si rialzò e piantò il piede sulle ossa e la carne mezza sciolta, strappò via la lama. Raviolo fischiò.
«Complimenti, ragazzo.»
Stan si avvicinò a passo incerto. Si massaggiava la nuca, ma sorrideva.
«Ve l’avevo detto che era bravo.» Prese il braccio di Malekith e lo sollevò in aria, come a decretarlo vincitore. «Valadier in persona!»
Astrid alzò gli occhi al soffitto e scosse il capo.
«Ma piantala.»
Stan si chinò sul corpo del mostro e diede uno strattone alla sua spada per estrarla. Nel punto in cui era penetrata nel mostro, la lama aveva una sbeccatura grossa quanto un dito.
«Oh, cazzo.» Stan si grattò la testa. «Devo aver preso l’unico maledetto osso che aveva. Schifo maledetto.»
Diede un calcio alla carcassa. Malekith poggiò le mani sulle ginocchia. Sentiva le braccia e le gambe deboli, piene di piccoli dolori.
«Cosa accidenti era questo coso?»
Raviolo si avvicinò e spostò un po’ il capo del mostro col piede.
«A occhio e croce direi un’askilaga. Adulta e cresciuta alla perfezione.»
«Cos’è?»
«Uno degli esperimenti di Calat. Uno di quelli riusciti bene. Beh, questa forse non tanto.»
Mal evitò di guardare troppo la creatura. Non aveva nessuna voglia di vomitare proprio ora.
«Sembra un mangiaterra, ma più piccolo.»
«Calat le faceva riprodurre usando masse di ematovermi immerse in una placenta alchemica e lasciate a fermentare con ossa umane nel sarcofago. Al bastardo piaceva usarle come trappole.»
Stan gettò a terra la spada, stizzito.
«Ho notato.»
L’omaccione gli cinse le spalle con un braccio.
«Via, ragazzo mio, te ne comprerai dieci con quello che prenderemo.» Si voltò verso Astrid e le indicò la porta. «Ce la fai ad aprirla?»
La donna si grattò il naso e si avvicinò alla porta. Iniziò ad accarezzarla con le dita, a occhi chiusi. Malekith si avvicinò a Raviolo.
«Che cosa fa?»
«Oh, adesso lo vedrai.» Quello gli diede di gomito. «È sempre uno spettacolo.»
Teagan batté una nocca contro il sarcofago.
«A giudicare da questo e dall’askilaga ben pasciuta, direi che ci siamo, amici miei. Questo è il vero laboratorio.»
Astrid smise di tastare la parete e tornò da Raviolo.
«La porta era pensata per essere aperta con un impulso, ma quasi cent’anni di inattività lo hanno fritto.»
«Lo puoi sovraccaricare?»
«Sì, ma mi serve una dose doppia.»
Dose doppia di cosa?
Malekith la guardò senza capire. Lei si tolse i guanti. Le sue mani sottili erano solcate da profonde cicatrici bianche che si avviluppavano sul dorso e attorno alle dita, come stilizzati gambi di rosa. Mal sgranò gli occhi.
Kell benedetto, una Predisposta!
Raviolo frugò nella bisaccia e tirò fuori un pestello e un mortaio grosso quanto un pugno.
«Prenditi il tuo tempo, cara. Basta questo?»
Astrid li prese e batté il pestello sul bordo del mortaio. Una nota acuta vibrò nell’aria.
«Basta e avanza.»
Si sedette per terra e prese dalla borsa una grossa pipa di legno lucido e un sacchettino di tela. Ne trasse due cristalli, ciascuno grande quanto l’unghia di un mignolo. Alla luce delle lanterne, il Sangue di Drago cristallizzato brillava di un riflesso tra il magenta e il carminio. Malekith trattenne il fiato. Astrid mise i cristalli nel mortaio e lo frantumò con pochi, decisi colpi di pestello. Versò la polverina nel fornello della pipa e la coprì con uno scodellino metallico.
Raviolo strizzò l’occhio a Malekith.
«Astrid è la nostra chiave per qualsiasi porta. Non troverai Predisposto più esperto di lei in tutto il Gardaire.»
La donna accese con uno stoppino il cristallo frantumato e appoggiò le labbra sottili sul bocchino. Inspirò forte, e Malekith con lei. Non vedeva una dimostrazione di magia da così vicino da anni. L’unico mago a cui era stato permesso, dopo oltre quattro secoli, di vivere nel palazzo del re di Espya era stato il Cremisi. Mal rivide i suoi occhi scarlatti e il suo sorriso da iena, e rabbrividì. Qualcosa gli si incendiò nel cervello. Si immaginò di piantargli la sciabola nel ventre e aprirlo come un pesce. Una scossa di piacere gli attraversò il braccio.
Astrid trattenne il fumo nei polmoni per qualche istante. Staccò la pipa dalle labbra ed espirò. Dalle narici e dalla bocca uscì un fumo denso, del colore del sangue ma più brillante. Mal la osservò a bocca spalancata. A occhi chiusi, la donna spostò gli oggetti attorno a sé e si alzò. Andò alla porta e si punse il polpastrello del pollice con un ago un paio di volte, spremette la carne per far uscire il sangue e iniziò a tracciare un simbolo sui battenti di pietra. Aprì gli occhi e vi poggiò la mano sopra, il fumo rosso che continuava ad avvitarsi nell’aria attorno alla sua testa. Malekith scorse uno scintillio nelle sue pupille. Astrid tremò, e con lei anche la porta. Una serie di schiocchi bassi, una ragnatela di crepe si aprì nella roccia. La donna serrò i denti e gemette. Ci fu un rombo, come un tuono. Schegge di pietra schizzarono in aria. Astrid urlò e spinse con la mano, il glifo tracciato sulla porta brillò. I battenti esplosero in una nuvola di fumo, il rombo riverberò lungo le pareti.
Mal si spostò accanto a Raviolo, per farsi proteggere dalla sua mole.
«Tranquillo, ragazzo. Ha finito.»
In mezzo alla polvere che si diradava, Astrid era in ginocchio, i palmi delle mani appoggiati a terra, come se stesse per vomitare. Mal fece per raggiungerla, ma Raviolo gli posò una mano sulla spalla.
«Stan, vai ad aiutarla.»
Il giovane si immerse nella nuvola di polvere. Raviolo si schiarì la gola.
«Devo ammettere che credevo che Stan esagerasse, ma sei davvero bravo come diceva» bisbigliò Georgie. «Pensavo che ormai sono in là con gli anni. Due come voi mi farebbero comodo, ma so che il ragazzo non verrebbe mai senza di te.»
«Mi state offrendo un lavoro?»
«Vi sto offrendo un lavoro, sì. Stan mi ha fatto capire che sei interessato a entrare nel giro.»
Mal respirava in fretta, si sentiva leggero come l’aria. Se Raviolo conosceva le persone che diceva Stan, tornare a casa sarebbe stata una questione di mesi. Non riusciva a stare fermo. Staccò una pellicina del pollice e iniziò a tamburellare col piede per terra.
«Stan aveva detto… è vero che conoscete anche dei maghi?»
Raviolo rise.
«Beh, uno lo conosco, fa il mio stesso mestiere, un certo Venice Chastaine. Un giorno, magari, te lo presenterò.»
A Malekith brillarono gli occhi. Si vide con la spada in pugno, spalla a spalla con Stan e Astrid, a dar battaglia al Cremisi.
Quando mi vedrà si toglierà quel sorriso dalla faccia. Sarà la resa dei conti.
Annuì, deciso, e strinse la mano di Raviolo con entrambe le sue.
«La ringrazio infinitamente, signor Raviolo. Qual è la nostra prossima mossa?»
«Ah! Signor Raviolo, questa è buona!» L’omaccione gli diede una pacca sulla spalla che lo fece barcollare. «Svuotato questo posto, andremo da un mio amico, ad Alavir. Jeno Dreke, il miglior commerciante di reliquie di tutto il Gardaire orientale. Un gran bastardo, ma piazzerà questo tesoro nel modo migliore.»
Teagan tossicchiò.
«Vogliamo entrare?»
Raviolo e il klyn andarono dentro per primi, la balestra carica e la spada sguainata. Una luce si accese accanto alla lanterna di Teagan che balzò di lato.
«Demoni!»
Mal sfoderò la sciabola. La luce pareva una fiamma arancione, ma non si muoveva, non ondeggiava né scoppiettava. Restava immobile sul tavolo su cui era poggiata.
«Kell onnipotente, una Goccia di Aurenbeck.»
La alzò sopra la testa e Malekith la vide meglio. Era del quarzo giallo, tagliato e lavorato a forma di goccia, grande come un pugno. Il suo bagliore illuminò un grande lampadario sopra le loro teste, composto da altre Gocce identiche. Teagan sgranò gli occhi.
«Raviolo, tirami su.»
Quello obbedì e Teagan accostò la lanterna al lampadario. Tutte le Gocce avvamparono di luce, illuminando a giorno la sala. Mal rimase a bocca aperta. Erano in una stanza circolare che poteva ospitare una cinquantina di persone, il soffitto una cupola scavata nella pietra. Il centro era occupato da un insieme di tavoli ingombri di oggetti. Mal sfiorò con le dita un’ampolla di cristallo decorata di simboli dorati, lasciando una traccia nella polvere. Sui tavoli c’erano dischi di vari metalli incisi da numeri, sfere di vetro, lenti molate e un’altra marea di cose strane. Teagan e Raviolo si lanciarono a rovistare. Mal si fermò al primo tavolo a pulire l’ampolla. I simboli disegnati sopra gli ricordavano quelli incisi sull’astrografo, nella torre del palazzo. Gli sembrava passata una vita da quando correva di nascosto, la notte, per andare a sbirciare le costellazioni dall’oculo della torre.
Astrid si appoggiò al tavolo, accanto a lui. Aveva il fiato pesante, piegò la testa verso la spalla e il collo scrocchiò. Mal lasciò perdere l’ampolla.
«Stai bene?»
«Ho sopportato di peggio. La porta era complessa da aprire, la doppia dose è bastata appena.»
«Com’è essere così? Una Predisposta, intendo. Ho sentito che fa male.»
Per la prima volta, Mal le vide fare un sorriso privo di furbizia. Anzi, era pieno di nostalgia.
«Il dolore peggiore che tu possa immaginare. Pochi sopravvivevano con i vecchi metodi.»
Mal abbassò gli occhi.
«Mi spiace.»
«Senti.» La donna s’incupì e scosse la testa. «Stan è una persona a cui tengo molto. Voglio che lo tratti bene. È… speciale.»
Mal seguì lo sguardo di Astrid. Stan li stava guardando ma, come si girarono, tornò a rovistare sul tavolo.
Mal annuì.
«Sì, lo è.»
Colse un luccichio con la coda dell’occhio. A qualche passo da lui, a sinistra, nascosta nella penombra, c’era una lunga nicchia scavata nel muro. Dentro, appoggiata a dei sottili sostegni di metallo, una spada lunga. La lama era come nuova, sull’acciaio chiaro si intrecciavano quelli che sembravano due serpenti, o forse due vermi, incisi con una perizia che Malekith non aveva visto nemmeno nelle armerie di suo padre. L’impugnatura era di metallo, forgiata nella foggia di due serpi che si attorcigliavano, fino a separarsi e formare la guardia.
«Stan, vieni qui!»
L’amico gli si fece accanto in un lampo. Osservò l’arma, rapito, e guardò Malekith.
«È meravigliosa.» Gli sorrise e posò una mano sul suo braccio. «Un’arma degna di un vero principe.»
Astrid, ancora appoggiata al tavolo, li guardava. Abbassò gli occhi e si mordicchiò il labbro inferiore.
«Voglio che la prenda tu, Stan.» Mal gli prese la nuca con una mano e appoggiò la fronte alla sua. «Voglio che tu abbia questa spada, quando uccideremo il Cremisi.»
Gli occhi di Stan luccicavano.
«Malekith, io… non so cosa dire. Non sono degno di un’arma così.»
«Non dire sciocchezze. Avanti, prendila.»
Stan si fece avanti e allungò la mano sull’impugnatura.
«Oh.»
Trasse la spada dalla nicchia e la sollevò in alto, gli occhi spalancati fissi sulla lama.
«Malekith.» Raviolo gli fece segno di raggiungerlo. «Vieni.»
L’alfnar batté la mano sulla spalla di Stan e fu subito dall’altro uomo.
«Cosa succede?»
Raviolo indicò il libro che aveva aperto davanti.
«Guarda qui. Lo sai leggere? Mi pareva espyan antico.»
Erano caratteri affilati, un espyan così antico che nemmeno suo padre l’aveva mai vergato.
«Leggerli sì, ma tradurli…»
«Provaci, su. Intanto, metti questi in saccoccia.»
Raviolo, con un sorrisetto, gli passò una manciata di piccole statuine dorate. Malekith le lasciò scivolare nella bisaccia e ne prese una. Raffigurava un piccolo guerriero stilizzato, ma se la si girava al contrario l’elmo del guerriero ricordava il muso di un caprone, e il mantello ricciuto il pelo dell’animale. Lo grattò con l’unghia.
«Ma questo è oro!»
«Parte della paga, se Dreke la piazza.» Teagan gli strizzò l’occhio. «Forza, vediamo cosa riesci a capire da quell’affare.»
Malekith chiuse la bisaccia e appoggiò i palmi sul tavolo. «Allora, vediamo…»
Un urlo gli graffiò i timpani e si spezzò all’improvviso. Astrid era a terra. Il cranio era aperto a metà, vomitava cervello, sangue e capelli sul pavimento. Stan era in piedi accanto a lei. La lama con i serpenti grondava sangue.
Santo Kell onnipotente…
Rimase paralizzato a guardarlo. Stan aveva gli occhi rossi, i capillari erano esplosi. L’angolo della bocca continuava a scattare verso l’alto, a ripetizione. Le serpi incise sulla lama si contorcevano come fossero vive. Raviolo fece un passo avanti.
«S-Staniel…»
L’altro spalancò la bocca. Singultò, come se stesse per rigettare. I muscoli del collo erano contratti dallo spasmo, le vene gonfie.
«Georgie.» Dagli angoli della bocca di Stan colò un rivolo di bava, spostò gli occhi sul klyn. «Teagan.»
Alzò la spada.
«Malekith.»
L’alfnar indietreggiò.
«Stan, no…»
Il guerriero scattò avanti. Raviolo si gettò di lato, ma Stan puntava a Malekith. Riuscì a estrarre la sciabola e parò il fendente appena in tempo, una spanna più giù e gli avrebbe aperto il cranio. Le lame cozzarono e il suo braccio assorbì tutto l’impatto.
Stan è la chiave per tornare a casa.
L’uomo menò un secondo colpo che lo schiacciò contro il tavolo. Come faceva a essere così forte?
Ha fatto tutto per te.
Mal si gettò sotto una spazzata che gli avrebbe staccato di netto la testa. Georgie scaricò la balestra contro Stan.
«Staniel, fermati!»
Il dardo lo mancò e si conficcò nel muro. Stan si gettò addosso a Georgie, spaccò la balestra con un colpo e col secondo gli tranciò via mezza mano. L’uomo urlò, serrando la mano buona attorno al moncone.
Senza di lui, sei perduto.
Stan gli piantò la spada nel petto e dalla gola di Georgie salì un crepitio strozzato. Malekith tremava. Balzò indietro per evitare un’altra spazzata del guerriero. Quello caricò un fendente.
Non puoi ucciderlo.
Malekith lo schivò e tirò una sciabolata dal basso verso l’alto, sulle dita, come aveva fatto la notte prima, ma più forte. La mano di Stan non cedette nemmeno di un millimetro. L’uomo gli tirò una punta, lo prese in pieno petto. Le piastre della brigantina stridettero, il polmoni vomitarono aria. Cadde all’indietro, urtò il tavolo e finì per terra. Una lama affondò nella coscia di Stan che si voltò a fronteggiare Teagan. Mal si aggrappò alla tavola e si tirò su.
«Malekith, aiutami!»
Un brivido gli attraversò la pelle, come una scarica elettrica.
Malekith!
Sul volto del klyn c’era un’espressione tesa al limite dello spasmo. Parò un colpo tanto violento da strappare una scintilla dalla lama del suo lungo coltello. Il laboratorio tremò, le mura si sfaldarono e la luce sbiadì.
Aiutaci!
Era in un cunicolo buio, le torce illuminavano i volti delle sue cugine. Alarie, con le lacrime che le rigavano le guance, urlò. Mal strinse la sciabola. Non aveva scelta, ma la sua mano tremava, non riusciva a tenerla ferma.
Stan ti riporterà a casa.
Il cunicolo sparì. Teagan balzò indietro. Aveva un lungo taglio sull’avambraccio che gli inzuppava la manica di rosso scuro.
«Malekith!»
Malekith! Aiutaci!
L’alfnar, tremante, si guardò attorno. Le voci delle sue cugine echeggiavano nel laboratorio.
Aiutaci, non lasciarci qui a morire!
«No no no no no…»
Teagan gridò con la voce di Alarie.
«Aiutaci!»
Si abbassò per schivare un colpo orizzontale e la lama gli passò a due dita dal cranio. Stan caricò un altro colpo, il volto deformato, irriconoscibile. Malekith si voltò e corse via, verso il buio oltre la porta.
«Malekith!»
Malekith! Aiutaci!
«Codardo!»
Non lasciarci qui a morire!
Verme!
Continuò a correre, le grida diventavano sempre più acute.
Salvaci, salvaci! Non fuggire!
«Malekith!»
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