Autunno, 1241 A.D.
Cale aveva provato a buttare quella maledetta spada prima ancora di raggiungere Malekith e Berry al Circo di Larue. Era stato inutile. L’aveva gettata in mezzo agli arbusti al lato della strada una sera, e la mattina dopo era di nuovo accanto al suo giaciglio. Aveva meditato spesso di piantarsela nel cuore e finire il lavoro che Valadier aveva iniziato. Ma Valadier era morto, e le cose che aveva detto Mal su di lui, Cale aveva cercato di dimenticarle in fretta. Fino a quella notte. L’alfnar aveva ragione. Se Bazachel aveva reso così suo padre, poteva anche farlo tornare come prima. Seduto per terra davanti al klyn, in una delle anonime stanze di pietra di Forge, si sorprese a ripensare alle parole di Malekith.
Forse è stata una malattia.
Kell, quanto avrebbe voluto fosse solo una malattia. Bazachel passò un’ultima volta la cote sul filo del pugnale. La pietra sibilò acuta contro l’acciaio. La ripose e si voltò verso il ragazzo.
«Sfodera la spada e appoggiala lì.» Indicò una piccola incudine.
Era di un metallo chiaro, pareva d’argento. Il klyn gli porse il pugnale, e Cale esitò.
Non è un compito da eroe. Questo… Kell, è un rito da eretici.
Prese il coltello e fece scivolare la lunga lama fuori dal fodero con l’altra mano. Bazachel andò in fondo alla stanza, aprì una cassapanca e ne tirò fuori un piccolo martello, dello stesso scintillante materiale dell’incudine. Lo alzò sopra la testa, come a rimirarlo alla luce fioca delle candele nelle nicchie della stanza. L’aria sapeva di umido e d’incenso. Cale la respirò a fondo e sfiorò la sua spada con le dita. La appoggiò dove gli era stato detto, e fu come liberarsi di un peso.
«Tu vuoi sapere chi era Samwhaine Vitby.»
Gli occhi azzurri del ragazzo divennero due fessure.
«Io lo so chi era, mio padre. Voglio solo sapere come salvarlo.»
Bazachel tornò da lui, i suoi passi non facevano alcun rumore.
«Per sapere come salvarlo, devi sapere da cosa salvarlo.»
Era un’impressione di Cale, o c’era del fumo, nell’aria? Le fiammelle delle candele erano sbiadite, come se le stesse guardando attraverso la nebbia. Il klyn accennò al pugnale con il capo.
«Ho bisogno del tuo sangue. Poche gocce versate sulla lama.»
Il ragazzo fece una smorfia.
«Un rito di sangue. Dovevo aspettarmelo» sputò con disprezzo.
Bazachel fece uno dei suoi orripilanti sorrisi.
«Ti sorprenderebbe sapere quanti che tu credi eroi ne hanno fatti, di questi riti. Alcuni li ho condotti io stesso, come per tuo padre.»
Cale strinse il pugnale. Soppresse la voglia di balzare addosso al klyn e piantarglielo in gola. Era un’ammissione di colpa, aveva costretto lui papà a prendere quella maledetta spada.
«Va bene» sibilò. «Allora vediamo.»
Arrotolò la manica con gesti secchi e incise l’esterno dell’avambraccio con più forza del necessario. La lama aprì un solco gelido, che si mise subito a bruciare. La stilla rossa scese lungo il gomito, e Cale lo tenne sopra la lama della spada.
Plic, plic.
Due gocce, un’altra ancora, una quarta, più lenta. Bazachel gli scostò il braccio, gentile. Calò una martellata. Il ragazzo si fece indietro, dalla lama sprizzarono scintille verde-azzurre. Il suo sangue sfrigolò, l’incudine e il martello furono solcati da crepe luminose. Le candele si spensero, il fumo nell’aria si addensò.
Per i Draghi, cosa ho fatto…
Bazachel era solo un’ombra. I due occhi lattiginosi galleggiavano nel buio. Un’altra martellata, e le scintille illuminarono il suo viso grinzoso. Era più vecchio, di cento anni almeno. Ogni centimetro della sua pelle era solcato da profonde rughe. Si gonfiò, il suo corpo tozzo divenne tanto grande da sfiorare il soffitto. Solo il volto rimase piccolo, pareva quello di un grottesco bambino nato vecchio.
«Afferra la spada.»
La sua voce era quella gracidante di sempre. Non aveva senso, ma per Cale era in qualche modo rassicurante.
Non è un compito da eroe.
Strinse l’elsa tra le dita. Un’altra martellata, altre scintille che vorticarono nell’aria. Il fumo iniziò a girare e girare, anche se non c’era un alito di vento. Ancora un altro colpo. Nel grido del metallo che colpiva il metallo, c’era una voce. Davanti ai suoi occhi, un lampo. Suo padre, i capelli così rossi che parevano sangue fresco, stringeva la mano nello stesso punto dove lui la stringeva ora. I suoi occhi verdi brillavano.
«Sei mia» mormorò.
Accanto a lui c’erano Bazachel e un alfnar che non aveva mai visto, i capelli rasati con una frangia al centro del capo, gli occhi rossi e un sorriso che avrebbe fatto invidia a quello di una iena. Posò la mano sottile sulla spalla di suo padre e si chinò a sussurrargli qualcosa. Cale ebbe l’istinto di lasciar andare la spada, ma le sue dita erano congelate attorno all’elsa. Un’altra martellata, altre scintille e un altro lampo. Vide Samwhaine che calava la spada in testa a un uomo, in cima a una collina fangosa. Attorno a lui, la battaglia infuriava. L’uomo si voltò, brandì l’arma a due mani e menò un fendente a un ragazzo dagli occhi azzurri.
M-ma quello sono io!
La vecchia ferita alla spalla gli ustionò la carne, come se fosse stata appena inferta. Cale sbatté le palpebre per tornare nella stanza con Bazachel, ma non funzionò. Ci fu solo un altro lampo, un altro urlo d’acciaio. Samwhaine era solo, nella sala grande di Krissvale. Luce fredda entrava dai finestroni. L’uomo era seduto sul suo trono di legno intarsiato, chino sulla spada che teneva tra le mani.
«Samwhaine, sono i tuoi figli, dannazione!» ringhiò una voce che non veniva da nessuna parte.
Samwhaine era invecchiato, era come il giorno in cui Cale era scappato. Accostò le labbra alla spada.
«Sei tu che mi hai consigliato di farli. Per proseguire la mia discendenza, ricordi?»
«Sì! Non certo per ucciderli.»
Suo padre fece un sorriso con le labbra che tremolavano.
«Uccisi mio padre a quattordici anni. Non hanno… la forza. La determinazione, per essere come me. Non sono degni, e vogliono comunque il mio scranno.»
«Samwhaine, ti prego…»
Suo padre alzò lo sguardo su di Cale. Lo stesso sguardo che aveva il giorno che era impazzito. La luce svanì. Il giovane cadde all’indietro e atterrò sul pavimento di pietra, la mano ancora incollata all’elsa della spada. Bazachel si sgonfiò e tornò il solito nanerottolo di sempre. Non c’era né fumo, né luci verdastre. Era sempre la solita stanza di pietra.
«C-cosa cazzo hai fatto? Cosa…»
Cale notò che il klyn non guardava lui, ma la spada. La lama ebbe un tremito, e si deformò come se il metallo si stesse sciogliendo. La croce di guardia, dritta, si allungò e si curvò verso l’alto, il pomo si ingrandì e il manico divenne più sottile. Una colata di metallo nero gli zampillò tra le dita e le avvolse, salì rapida oltre il polso e sull’avambraccio, coprendo la pelle di una fredda corazza scura. Cale urlò e agitò la mano per staccarla da quell’affare demoniaco. Una voce gli risuonò nelle orecchie.
«Fermo, o rischi di cavarti un occhio.»
Il ragazzo sollevò l’arma per tenerla più lontana possibile da sé. L’occhio inciso al centro della guardia si mosse, sbatté due volte le palpebre di metallo.
«Ciao, Cale. E ciao anche a te, Baz.»
Il klyn fece un sogghigno.
«Ciao, Tfalminaaz. E figurati, non c’è bisogno di ringraziarmi per averti legato di nuovo. Non c’è di che.»
«Sia io che il ragazzo stavamo bene anche senza, grazie.»
Cale si tirò in piedi, continuando a tenere la spada lontana.
«Cosa significa che ti ha legato?»
Non ci voleva un genio per capire che fosse il motivo per cui non poteva mollare quel dannato affare. Bazachel fece un ampio gesto con le braccia.
«Tuo padre ci chiese un’arma speciale per uccidere una cosa speciale. Io gli diedi lui, Tfalminaaz. Come hai notato, può adattarsi a molte cose.»
«Questa non è una storia che interessa al ragazzo.»
«Lui mi ha chiesto di guarire suo padre.» Il klyn fece spallucce. «Raccontagli che malattia ha, forza.»
La spada fece uno strano suono, simile a uno sbuffo.
«Sei sempre il solito bastardo.»
«Ci provo.»
Cale guardò Tfalminaaz nell’occhio al centro della guardia.
«Cos’hai fatto a mio padre?»
«Io? Niente. Ho cercato di salvarlo da sé stesso. Dovevamo capirlo che non si sarebbe fermato.»
Bazachel scosse piano il capo, gli occhi bassi. La sua voce prese una sfumatura amara.
«Avrei dovuto capirlo io, non tu. Ma ero—»
«Il solito bastardo. Sentimentale, aggiungo.»
«Basta!» Cale strinse le dita attorno all’impugnatura, come volesse strozzare la spada. «Ditemi cosa cazzo è successo a mio padre.»
Gli veniva voglia di urlare e piangere, e schiantare quella maledetta lama contro il muro fino a ridurla in briciole.
«La farò breve. Tuo padre doveva uccidere una creatura che… beh, che nessuno sapeva come uccidere. Così chiese aiuto a Bazachel, consigliato da un suo amico. Un mago di nome Caradoc.»
«E Bazachel forgiò te» sibilò il ragazzo a denti stretti. «Questo l’ho capito, cazzo. Dimmi cos’ha mio padre!»
«Non ha niente, Cale. È solo un sadico bastardo, ecco tutto.»
«Mio padre è stato un eroe.»
«Un eroe? Un eroe guerriero. Che ammazzava esattamente come ogni eroe guerriero. Solo che a lui piaceva.»
Bazachel si avvicinò piano, con una smorfia amara sul viso.
«Anche Valadier era un eroe. Eppure…»
Cale gli puntò la spada contro.
«Stai zitto.»
Il klyn alzò le mani, anche se la lama non parve impressionarlo.
«Riconosco il mio errore. Ma era importante, per me, che qualcuno mettesse fine alle sofferenze di quella creatura. Pensavo che tuo padre fosse migliore.»
«Migliore?»
Cale appoggiò la punta di Tfalminaaz sul suo piccolo petto. Bastava una pressione, un affondo veloce, per tappare la bocca a quel lurido eretico per sempre.
«Come osi dire questo di mio padre?»
«È la verità, ragazzo. Io… io ho cercato di convincerlo a non fare del male a te e a tuo fratello, ma lui voleva… era il suo modo di ragionare, lo hai visto.»
«No! Mio padre… lui non era malvagio. Era un guerriero, questo sì, ma—»
«Era un uomo che credeva nella violenza, e solo in quella.»
Bazachel spostò la punta della spada con due dita.
«Mi dispiace che la verità faccia male, Cale. Ma ora che ho legato Tfalminaaz a te, lui sentirà che il suo legame con la spada è svanito.»
Il cuore di Cale si riempì di ghiaccio.
«Che cosa significa?»
«Non lo so. Potrebbe venire a cercarti.»
«Si tratta di te o lui, ragazzo. Avete lo stesso sangue.»
I suoi occhi presero a bruciare.
«Io non voglio uccidere mio padre.»
«Lui vuole uccidere te.»
Vediamo quanto c’è di Samwhaine in te.
E se avessero avuto ragione? Se Bazachel intendesse quello, quando diceva che il destino della spada non era ancora concluso? Rivoltare il figlio contro il padre, all’infinito, e creare di generazione in generazione un guerriero più forte.
Un guerriero degno dei Vitby.
Scosse la testa, con orrore. Erano quelli, i pensieri che avrebbe fatto suo padre?
«Io vado via.»
Il metallo che gli ricopriva il braccio scivolò di nuovo dentro l’elsa di Tfalminaaz, e Cale tornò a sentire le proprie dita.
«Dove vuoi andare?»
«Da Venice. Lui, e magari anche Malekith potranno aiutarmi.» Gli nacque un sorriso appena accennato sulle labbra.
«Loro sono miei amici. Gli unici che ho.»
Bazachel sollevò un sopracciglio.
«Insomma, vuoi scappare.»
«Sì.»
«E questa potrebbe non essere una cattiva idea.»
Il klyn sbuffò piano.
«Forse. E io non posso impedirti di andare. Ma Tfalminaaz resterà con te, e questo non si può cambiare. L’hai strappata a tuo padre, ora quella spada ti appartiene.»
Cale guardò l’arma. Il suo peso, adesso, si era ribilanciato. Era più comoda da tenere in mano, come se fosse stata fatta apposta per lui.
«Mi sta bene.»
«Felice di sentirlo, ragazzo.»
«Vedo che non sei entusiasta di incontrare di nuovo Samwhaine, eh?» borbottò Bazachel.
«Sei l’ultimo che può farmi la predica.»
Era strano sentirli battibeccare, come se tutto quanto fosse normale. Cale rinfoderò la spada. L’avambraccio pizzicava ancora per il taglio. Frugava nella sua memoria, senza più ascoltare il klyn e l’arma che parlavano. Cercava un ricordo, almeno uno, che smentisse le parole di Tfalminaaz, ma tutto quello che trovava erano lezioni di scherma, di tattica, giornate di caccia e pochi, freddi, dialoghi. E la cosa peggiore, era che erano ricordi felici.
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