Inverno, 1245 A.D.
Cale protese le mani sul fuoco. Il vento che spazzava la pianura era freddo, dalla collina su cui si era accampato lo vedeva scuotere i rami spogli degli alberi. Il cielo era grigio chiaro, e quegli arbusti parevano tante dita bisognose, protese verso di esso a pregare per un po’ di pioggia.
«E adesso?»
Tfalminaaz era appoggiata a un sasso, accanto a quello su cui stava seduto Cale. Il cassadoriano aprì la bocca per rispondere, ma ogni frase che aveva pensato gli scomparve dalla lingua. Gli dispiaceva essersi separato da Mal e da Fern, ma era meglio stare lontani dal Gardaire. Se ci fosse stato Venice, sarebbe andato con lui. Le parole di Malekith sulla follia del mago erano state come una stilettata, ci aveva ripensato per mesi. Gli salirono le lacrime agli occhi al solo pensiero.
Berry era morto. Malekith ce la metteva tutta per non dare a vedere quanto aveva sofferto, ma Cale lo percepiva lo stesso. Non ne avevano mai parlato, non aveva mai tirato fuori l’argomento. Avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli che gli dispiaceva, che era lì con lui, sempre suo amico. Ma non avrebbe sistemato niente.
«Cale?»
«Non lo so, Tfalminaaz.»
Sbuffò e sfregò le mani tra loro per scaldarle. Su, a nord-est, c’era Forge. Forse Bazachel era ancora lì.
«Quella donna-mostro… che legame aveva col tuo amico alfnar?»
L’aveva trovata tra le braccia di Malekith, il cuore spaccato dalla sua lancia. Quanto poteva accanirsi, il destino, su una persona sola?
«Si erano amati.»
«Oh. Meglio cambiare argomento, allora.»
Non c’era da cambiare argomento. I pensieri di Cale viravano in automatico su Talia. L’aveva abbandonata, come Mal con Shar. Peggio, anzi.
Sono scappato io.
Il vento continuava ad agitare i rami, come per pungolarli. Come se sapesse che gli alberi, comunque, non avrebbero potuto farci niente. Forse c’era qualcosa di Samwhaine in lui. Qualcosa di crudele, come gli aveva raccontato Tfalminaaz. Forse era solo il sangue che condividevano, e non poteva farci niente.
«Tu pensi… pensi che io sia come mio padre?»
Mal gli aveva detto, quella notte al circo, che non lo era affatto. Ma cosa poteva saperne, lui? Tfalminaaz fece quello strano suono simile a uno sbuffo.
«Non lo so, ragazzo. Tutta quella rabbia che ti tieni dentro, devo essere sincero, l’aveva anche tuo padre.»
«Lui la tirava fuori?»
«In battaglia. Mai visto nessuno combattere con tanta voglia di sfogarsi. Era come un fuoco che bruciava ogni cosa.»
«Io non ho più niente da bruciare. Non che mi sia caro, almeno.»
«Questo è pericoloso. Non si possono soffocare le fiamme all’infinito, ragazzo. Con quel tuo amico, quel Malekith, tu…»
Cale si grattò la nuca, piano.
«Non gli dico mai niente. Lo so.»
«Eppure, mi pare che i suoi comportamenti non ti piacciano.»
«Malekith fa quello che può. Non sai quante gliene sono capitate.»
«Sarà, ma ogni volta che torni da lui le cose peggiorano.»
Cale non rispose. Restò a guardare il vento che agitava gli alberi, e loro che continuavano a pregare che piovesse. O forse, che il vento diventasse più forte e li strappasse via, una volta per tutte. Erano così secchi che non doveva volerci molto.
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