Primavera, 1240 A.D.

 

Malekith si sciacquò il volto con l’acqua fredda della toletta. Oltre la finestra, solo il nero della notte. Spifferi d’aria gelida sibilavano dalle giunture. La sua stanza alla fortezza era più fredda che mai. Si sfregò ancora il volto con le mani. L’orario della cena con Venice si avvicinava. Il suo riflesso nello specchio era illuminato solo dalla luce tenue della candela. Aveva ombre pesanti sul viso, attorno agli occhi. Pareva una versione più vecchia di sé stesso, con la barba, che lui non aveva, e con i capelli corti. Per Kell, era così simile a suo padre…

Codardo.

Piantò le mani sul mobile e rimase a guardare il suo doppio. La voce nello specchio si impregnò di disprezzo.

Sei sempre stato un codardo. Per questo non mi lascerai mai andare.

Malekith strinse i bordi della toletta con tutta la forza che aveva in corpo. Il legno scricchiolò. Ma aveva ragione. Il suo doppio stirò le labbra in un sorriso pieno di odio.

Sarò sempre con te. Io sono quello che dovresti essere, tu quello che sei. Un codardo.

 

***

 

Mal stringeva ancora il corpo di Berry. Il suo calore non era ancora svanito, anche se l’alba si avvicinava. Il cielo gravido di fumo virava dal blu a un azzurro smorto. L’alfnar cullava piano la testa del suo innamorato, come se stesse dormendo.

«Sono un codardo, non ho voluto… non ho voluto farmelo dire. Non ho fatto nulla per—»

Fern gli accarezzò la testa.

«Basta così, Mal. Hai fatto tutto quello che potevi.»

Lo spadaccino si era fasciato il capo con un pezzo di stoffa, ma avrebbe avuto bisogno dei punti. Aveva chiuso gli occhi di Berry con dita delicate, e si era seduto davanti all’alfnar. Malekith sollevò piano lo sguardo dal cadavere. La puzza di bruciato gli invadeva ancora le narici, spazzava via ogni altro odore. Il circo, oramai, era solo cenere fumante. Guardò Fern, ma non parlò. In parte perché non riusciva, in parte perché non servivano parole per quello sguardo. Lo spadaccino deglutì con fatica.

«Non ti sei mai chiesto perché, ogni due o tre mesi, il circo passasse da Venice? Specialmente da un certo momento in poi, più o meno da quando ti sei unito anche tu?»

Lui scosse il capo.

«Ven…» Fern sospirò. «Lui è sommerso dai debiti. Il re chiede e chiede ancora. I guadagni si assottigliano, le spese aumentano. Ma Venice non è uno stupido, fa quello che avrei fatto anche io: trovare un modo per vendere sottobanco il Sangue di Drago, già raffinato, ai regni esteri.»

Mal si passò la lingua sul labbro inferiore. Era screpolato, come se fosse fatto di briciole. Ogni volta che si rientrava, il circo andava da Venice. Cenavano, bevevano e ripartivano il giorno seguente, dopo che il mago e il signor Larue avevano finito una delle loro lunghe chiacchierate. Ripartivano per il confine, di solito. Fern tossì.

«La copertura era perfetta. Chi sospetterebbe di un gruppo di spie del re? Il circo raccoglieva informazioni per la corona, e intanto vendeva Sangue di Drago sotto al suo naso. Solo che era un piano a cui avrei pensato anche io. Le regie cancellerie sono fin troppo efficienti, Kell maledetto. Appena hanno notato qualcosa di strano…»

«Lo hanno detto a te. L’amico di Ven.»

«Penso che, nei servizi segreti, qualcuno volesse levare di mezzo qualcun altro. È un mondo di merda, Mal, sono sempre pronti ad accoltellarsi tra di loro e a scalare i cadaveri. Avrebbero usato me per abbattere Venice.»

Mal continuò ad accarezzare i capelli di Berry. Aveva un groppo in gola, gli occhi avevano ripreso a bruciare.

«Perché non l’hai avvertito?» Si sforzò di non singhiozzare.

Lo spadaccino abbassò il capo e lo scosse, come per scusarsi.

«Sono andato piano. Ci ho messo mesi a indagare, perché volevo essere sicuro, ma il problema è peggiore di quanto pensassi. Ven è impazzito.»

«Impazzito?»

«Lo hai visto. Hai visto come si è ridotto.»

Il volto del mago, con la barba spelacchiata, la pelle cerea e le occhiaie rosso scuro, gli balenò davanti agli occhi.

«Lui era sotto pressione…»

«Non puoi credere a una stronzata simile. Hai mai visto qualcuno sotto pressione diventare così?»

Mal non ne aveva vista molta di gente che aveva tutto quel peso sulle spalle, per dire la verità. Ma le parole di Fern quadravano.

«Mal, è tutto quel Sangue di Drago. Tutta quella fottuta fortezza. Stare lì lo sta uccidendo.»

L’alfnar si voltò a indicare i resti carbonizzati del loro campo.

«Ma cosa c’entra lui con questo?»

«Lui… mi ha beccato. Ha saputo che stavo indagando. Pensava… pensava che tu, Berry, Larue, tutti quanti, sareste passati dalla mia parte, che avreste ceduto alle mie pressioni. Vi dava sempre meno carichi, spostava sempre più l’attenzione. Ho sbagliato.» Si passò una mano sul volto, le spalle curve e il capo chino. «Ho pensato che se mi avesse visto…»

Sollevò l’unico occhio, rosso e lucido, su Mal.

«Non pensavo che avrebbe reagito così, io… mi dispiace tanto, Mal. È tutta colpa mia.»

L’alfnar aveva qualcosa che gli bloccava la gola, non riusciva a parlare, a respirare. La saliva, in bocca, era acido. Le lacrime gli bruciavano gli occhi.

«È stato Venice? È stato lui, a…»

Fern annuì piano.

«Sapeva quanto Berry fosse innamorato. Sapeva che era questione di tempo, e lui… sapeva quanto eri legato a me.»

Sospirò. Un sospiro pesante, come se si fosse privato di tutte le forze.

«Temeva che mi avvertissi.»

Un alito di vento spazzò la radura, spostò per un attimo il puzzo di bruciato dalle loro narici. Berry puzzava. Puzzava di merda e sangue e di Kell sa cos’altro. Mal avrebbe dato il suo trono, le sue mani, la sua stessa maledetta anima di codardo per poter giacere lì assieme a lui. Ma non poteva.

«Cosa facciamo?»

Lo spadaccino sollevò un sopracciglio. «Cosa…?»

Mal serrò il pugno. «Io voglio vederlo. Voglio vedere il suo volto e sapere perché l’ha fatto. Voglio che se ne renda conto.»

Fern si asciugò l’occhio.

«Io non posso tornare. Devo fingere di essere morto. Tu… tu torna da lui, fai finta di non sapere. Di’ che non mi hai trovato, o che sono morto, o che sono tutti carbonizzati. Che sei stato stordito, e che pensi che a fare il massacro siano stati gli uomini del re.»

«Mi crederà?»

«Non lo so. Non credo. È paranoico, oramai, ma ti vorrà vedere. Si concentrerà su di te, e darà l’occasione al mio uomo di agire.»

«Hai una spia nella miniera?»

Lo spadaccino fece di sì con la testa.

«Non ti dirò chi è. Se Venice lo scoprisse, saremmo finiti. Forse ti frugherà nella mente, ma io penso che vorrà usarti per arrivare a me. In due potrete coglierlo di sorpresa e chiuderlo nella camera antimagia negli appartamenti di Calat. Poi mi darete il segnale, e io e i rinforzi arriveremo.»

Mal si grattò la testa. Aveva i capelli luridi, pieni di nodi. Li tirò con forza, la scarica di dolore gli riverberò nei muscoli e nel cranio.

«È un… un ottimo piano.»

Fern fece un sorriso amaro.

«Mi stavo preparando al peggio da molto tempo.» Inspirò e fece vagare lo sguardo tra gli alberi. «Mal, io so che ti sto mandando a morire, probabilmente. Se tu—»

«No. Io ci vado.»

«Va bene. Ma ricorda, è impazzito. Dirà di tutto per usarti, forse ci crede davvero.» Sospirò. «Se la scelta è tra ucciderlo o morire, ragazzo, non esitare.»

 

***

 

Le mani gli tremavano, anche se le stringeva al mobile. L’altro Malekith, nello specchio, continuava a tenere su quel sorriso sprezzante. Era come se guardasse un bamboccio che gli faceva al tempo stesso pietà e schifo.

Tu non gli credi. Sei il solito codardo.

Fern doveva aver detto la verità. Ma perché, allora, lo stomaco gli ribolliva così? Sentiva che c’era qualcosa che non andava. Se Ven non era pazzo, però, poco ci mancava. L’aveva ricevuto come ai vecchi tempi, tutto sorrisi e gentilezze, ma i suoi occhi lo avevano esaminato come se fosse uno scorpione, o qualche altro insetto pericoloso.

Fern ti ha salvato.

La voce nello specchio lo sferzò.

Cosa ci vuole perché tu mostri un po’ di coraggio?

Ma quello era Ven! La sua Predisposizione, i loro dialoghi a tavola, tutta la sua gratitudine, tutta la sua amicizia. Non poteva essere tutto passato, tutto dimenticato. Non poteva. Nocche metalliche bussarono alla porta. La voce di Ronac passò attutita attraverso l’uscio.

«Malekith, la cena è pronta. Mastro Venice ti aspetta.»

Inspirò ed espirò piano. Nello specchio c’era solo il suo volto, quello vero. Codardo o no, l’ora era arrivata.